«È per via delle gambe» disse Lula. «Si sono irrigidite mentre era seduto.» Prese una sedia da giardino da una pila in fondo al garage e la mise accanto al tizio morto. «Se lo mettiamo su una sedia sembrerà più naturale, come se stesse aspettando un passaggio o qualcosa del genere.»
Così lo sollevammo, lo mettemmo sulla sedia e ci scostammo un po’ per dare un’occhiata. Quando ci allontanammo, però, lui cadde dalla sedia. Faccia a terra.
«Meno male che è morto» disse Lula «altrimenti si sarebbe fatto un male del diavolo.»
Lo mettemmo di nuovo a sedere sulla sedia e questa volta lo avvolgemmo con una corda elastica. Il naso era leggermente schiacciato e un occhio si era chiuso a causa dell’impatto dopo la caduta» così che uno era aperto e l’altro no, ma a parte questo aveva un discreto aspetto. Ci allontanammo nuovamente e lui rimase al suo posto.
«Me ne vado» disse Cynthia. Abbassò tutti i finestrini dell’auto, premette il pulsante di apertura del garage, fece retromarcia e partì.
La porta del garage si richiuse e Lula e io rimanemmo con il morto.
Lula si dondolava da un piede all’altro. «Pensi che dovremmo dire qualche parola di commiato per il defunto? Non mi piace mancare di rispetto ai morti.»
«Penso che dovremmo andarcene alla svelta da qua.»
«Amen» disse Lula, e si fece il segno della croce.
«Credevo che tu fossi battista.»
«Già, ma noi non abbiamo alcun gesto rituale per occasioni come questa.»
Uscimmo dal garage, sbirciammo dalla porta sul retro per assicurarci che non ci fosse nessuno in giro, e ce la svignammo dalla porta sotto il patio. Ci chiudemmo il cancello alle spalle e percorremmo la pista ciclabile fino all’auto.
«Non so tu» disse Lula «ma io ho intenzione di tornare a casa e rimanere sotto la doccia per un paio d’ore, poi mi sciacquerò con un detergente al cloro.»
Sembrava una buona idea, specialmente perché una doccia mi avrebbe dato l’opportunità di rimandare a più tardi la visita a Morelli. Voglio dire, che cosa gli avrei raccontato? «Indovina un po’, Joe, oggi sono entrata in casa di Hannibal Ramos scassinando la porta. Poi ho manomesso la scena del delitto, aiutato una donna a cancellare delle prove e infine me ne sono andata. Perciò, se mi troverai ancora attraente dopo dieci anni di galera…» Per non parlare del fatto che questa era la seconda volta che Ranger veniva visto allontanarsi dal luogo di un omicidio.
Quando tornai nel mio appartamento avevo tutti i sintomi di un pessimo umore. Ero andata a casa di Hannibal per cercare informazioni, e ora ne avevo più di quante ne desiderassi e non volevo pensare al loro significato. Chiamai Ranger sul cercapersone e pranzai il che, nello stato di distrazione mentale in cui mi trovavo, si ridusse a qualche oliva. Di nuovo.
Portai il telefono in bagno con me prima di fare la doccia. Poi mi cambiai d’abito, asciugai i capelli e diedi alle ciglia un paio di colpetti di mascara. Stavo considerando la possibilità di usare anche l’eye-liner quando Ranger telefonò.
«Voglio sapere che cosa sta succedendo» dissi. «Ho appena trovato un tizio morto nel garage di Hannibal.»
«E allora?»
«E allora voglio sapere chi è. E voglio sapere chi lo ha ucciso. E voglio sapere che cosa stavi facendo ieri notte, quando sei sgattaiolato fuori dalla casa di Ramos.»
Riuscivo a percepire la forza della personalità di Ranger dall’altro capo del filo. «Non occorre che tu sappia nessuna di queste cose.»
«Col cavolo, non occorre. Sono appena rimasta invischiata in un omicidio.»
«Sei capitata sulla scena di un delitto. È diverso dall’essere coinvolti in un omicidio. Hai già chiamato la polizia?»
«No.»
«Sarebbe una buona idea chiamare la polizia. E potresti rimanere vaga sulla parte che riguarda l’ispezione e la serratura scassinata.»
«Dovrei rimanere vaga su un mucchio di cose.»
«È una tua scelta» disse Ranger.
«Sei perfido!» gli strillai al telefono. «Sono stufa di questa faccenda del Misterioso Ranger. Tu hai qualche problema, te ne rendi conto? Un giorno mi infili le mani sotto la maglietta e il giorno dopo mi dici che non sono affari miei. Non so neppure dove vivi.»
«Se non sai niente, non puoi rivelare niente.»
«Grazie per il voto di fiducia.»
«Le cose stanno così» disse Ranger.
«E c’è dell’altro, Morelli vuole che tu lo chiami. Sta sorvegliando qualcuno da molto tempo e ora tu sei in qualche modo collegato con questo qualcuno, e Morelli pensa che tu potresti essergli di aiuto.»
«Più tardi» disse Ranger. E riagganciò.
Ottimo. Se questo era quello che voleva, allora andava benissimo anche a me.
Mi precipitai in cucina, presi la pistola dal vaso dei biscotti, afferrai la borsa e attraversai a grandi passi il corridoio, scesi le scale, uscii dall’ingresso e andai alla Buick. Joyce era parcheggiata in cortile, nella fuoristrada con il paraurti accartocciato. Mi vide uscire dal palazzo e mi fece un gestaccio. Glielo restituii e partii per andare a casa di Morelli. Joyce mi seguiva a un’auto di distanza. Benissimo. Poteva seguirmi quanto voleva, a quel punto. Per quello che mi riguardava, Ranger doveva cavarsela da solo. Io mi tiravo fuori dalla scena.
Morelli e Bob erano seduti fianco a fianco sul divano a guardare la televisione, quando entrai. C’era una scatola vuota della pizzeria Pino sul tavolino del salotto, un contenitore da gelato vuoto e un paio di lattine di birra accartocciate.
«Pranzo?» domandai.
«Bob aveva fame. E non preoccuparti, non ha bevuto birra.» Morelli mi indicò il posto accanto a sé battendo leggermente la mano sui cuscini. «C’è posto per te, qui.»
Quando Morelli era un poliziotto, i suoi occhi marrone scuro erano duri e determinati, il volto asciutto e spigoloso, e la cicatrice che gli attraversava il sopracciglio destro dava la giusta impressione che Joe non avesse mai vissuto una vita prudente. Quando si sentiva sexy, gli occhi castani erano come cioccolato fuso, la bocca si ammorbidiva e la cicatrice dava l’errata impressione che avesse bisogno di amorevoli cure materne.
E in quel preciso momento Morelli si sentiva molto sexy. E io mi sentivo molto poco sexy. In realtà mi sentivo assolutamente scontrosa. Mi lasciai cadere sul divano e gettai un’occhiata torva alla scatola di pizza vuota, ricordandomi del pranzo a base di olive.
Morelli fece scivolare il braccio attorno alle mie spalle e mi solleticò il collo. «Finalmente soli» disse.
«Devo dirti qualcosa.»
Morelli si irrigidì.
«Mi sono imbattuta in un tizio morto, oggi.»
Lui sprofondò nel divano. «Ho una ragazza che trova tizi morti. Perché proprio a me?»
«Sembri mia madre.»
«Mi sento come se lo fossi.»
«Be’, non farlo» lo rimbeccai. «Non mi piace nemmeno quando è mia madre a sentirsi mia madre.»
«Immagino che tu voglia parlarmene.»
«Ehi, se non vuoi ascoltare non c’è problema. Posso semplicemente telefonare alla stazione di polizia.»
Lui si drizzò a sedere. «Non li hai ancora chiamati? Oh merda, fammi indovinare: sei entrata in casa di qualcuno e hai inciampato in un omicidio.»
«La casa di Hannibal.»
Morelli si alzò in piedi. «La casa di Hannibal?»
«Ma non sono entrata con la forza. La porta sul retro era aperta.»
«Che cosa diavolo stavi facendo in casa di Ramos?» strillò. «Che cosa credevi di fare?»
Mi alzai in piedi anch’io e gli gridai di rimando. «Stavo facendo il mio lavoro.»
«La violazione di domicilio con scasso non è il tuo lavoro.»
«Ti ho detto che non è stata una violazione. Sono soltanto entrata.»
«Ah, una differenza sostanziale. E chi è il morto che hai trovato?»
«Non lo so. Qualcuno è stato fatto fuori nel garage.»
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