Janet Evanovich - Cacciatrice di taglie

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Cacciatrice di taglie: краткое содержание, описание и аннотация

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Stephanie Plum fa la cacciatrice di taglie per un’agenzia del New Jersey. Il suo compito è ritrovare il misterioso Ranger, sospettato di aver ucciso il figlio di un boss del traffico d’armi. Ma Ranger è anche l’uomo che ha insegnato a Stephanie tutto quello che sa del suo mestiere e che esercita su di lei un fascino pericoloso. E la cattura di Ranger non è l’unico pensiero che non la fa dormire di notte. La spassosa nonna Mazur si è trasferita da lei, un amico le ha affidato un cane bulimico, l’intimità con il fidanzato Joe Morelli è diventata impossibile, Stephanie deve più volte dissuadere dal suicidio un’amica e un maniaco tenta di ucciderla.

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Morelli tirò fuori un paio di manette dalla tasca della giacca e prima che mi rendessi conto di quello che stava succedendo mi ammanettò al frigorifero.

«Che cosa stai facendo?» dissi.

«Avevi intenzione di seguirmi. Lascerò la chiave nella cassetta della posta giù da basso.»

Ma questa è una storia d’amore o cosa?

«Sono pronta» disse la nonna.

Indossava la tuta da ginnastica viola e scarpe da tennis bianche. I capelli erano accuratamente arricciati e aveva messo un rossetto rosa. Teneva sotto braccio la sua grande borsa di pelle nera. Quello che temevo era che dentro ci fosse la pistola e che potesse minacciare l’esaminatore durante la prova di guida, se non le avesse concesso la patente.

«Non c’è la pistola lì dentro, vero?» domandai.

«Certo che no.»

Non le credetti neppure per un istante.

Quando scendemmo nel parcheggio, la nonna si diresse verso la Buick. «Suppongo di avere più possibilità di ottenere la patente se guido la Buick» disse. «Ho sentito dire che i giovani alla guida di macchine sportive li preoccupano.»

Habib e Mitchell entrarono nel parcheggio. Avevano di nuovo la Lincoln.

«Sembra nuova» dissi.

Mitchell si illuminò. «Già, hanno fatto un gran lavoro. L’abbiamo ritirata questa mattina. Abbiamo dovuto aspettare che la vernice si asciugasse.» Guardò la nonna, seduta al volante della Buick. «Che cosa c’è in programma oggi?»

«Sto accompagnando la nonna a fare l’esame di guida.»

«Molto gentile da parte tua» disse Mitchell. «Sei una brava nipote, ma lei non è un po’ troppo vecchia?»

La nonna digrignò la dentiera. «Vecchia?» strillò. «Te lo faccio vedere io se sono vecchia.» Sentii il rumore della borsa che si apriva, la nonna ci infilò una mano e la estrasse con la pistola. «Non sono tanto vecchia da non poterti sparare in un occhio» disse, puntando l’arma.

Mitchell e Habib sprofondarono nei sedili, nascondendosi.

Gettai un’occhiataccia alla nonna. «Credevo avessi detto che non avevi portato la pistola.»

«A quanto pare mi sbagliavo.»

«Mettila via. E sarà meglio che tu non minacci nessuno durante l’esame, altrimenti ti arresteranno.»

«Vecchia pazza» disse Mitchell dal fondo della Lincoln.

«Così va meglio» si acquietò la nonna. «Mi piace essere pazza.»

Capitolo 12

Avevo sentimenti contrastanti riguardo al fatto che la nonna prendesse la patente. Da un lato pensavo fosse una gran cosa che potesse essere più indipendente. Dall’altro lato non volevo trovarmi in strada con lei. Mentre andavamo all’esame di guida passò con il rosso e mi proiettò contro il finestrino più di una volta. Poi parcheggiò nell’area riservata agli handicappati, insistendo che la cosa aveva a che fare con l’iscrizione all’Associazione Nazionale Pensionati.

Quando rientrò a passi pesanti nella sala d’attesa, dopo aver fatto l’esame di pratica, seppi immediatamente che le strade sarebbero state sicure ancora per un po’.

«Non esagero» disse lei. «Non mi ha promossa praticamente in niente.»

«Puoi sempre rifare l’esame» dissi.

«Certo, maledizione, certo che posso. Lo rifarò finché non sarò promossa: ho il sacrosanto diritto di guidare un’auto.» Strinse forte le labbra. «Immagino che ieri avrei dovuto andare in chiesa.»

«Non ti avrebbe fatto male» dissi.

«Be’, la prossima volta farò tutto per bene. Accenderò anche una candela. Mi comporterò come si deve.»

Mitchell e Habib ci stavano seguendo, ma erano a circa quattrocento metri di distanza. All’andata ci avevano quasi tamponato svariate volte, quando la nonna aveva frenato bruscamente, e ora, sulla via del ritorno, non volevano correre rischi.

«Hai ancora intenzione di traslocare?» chiesi alla nonna.

«Certo. L’ho già detto a tua madre. E Louise Greeber verrà questo pomeriggio per aiutarmi. Perciò non devi preoccuparti di niente. È stato gentile da parte tua permettermi di rimanere, l’ho apprezzato molto, ma ho bisogno di un po’ di sonno come si deve. Non so come tu faccia ad andare avanti dormendo così poco.»

«Va bene» dissi. «Suppongo che tu abbia già deciso.» Forse anch’io avrei dovuto accendere una candela.

Quando rientrammo, Bob ci stava aspettando.

«Credo che Bob abbia bisogno di tu-sai-che-cosa» disse la nonna.

Perciò Bob e io scendemmo nel parcheggio. Habib e Mitchell erano lì, seduti in auto, ad aspettare pazientemente che io li portassi da Ranger, e adesso c’era anche Joyce. Feci dietrofront, rientrai nel palazzo e uscii dalla porta principale.

Bob e io passeggiammo lungo la strada per tutto un isolato e poi svoltammo in una zona residenziale di piccole villette unifamiliari. Bob fece tu-sai-che-cosa circa quaranta o cinquanta volte nel giro di cinque minuti e poi tornammo a casa. Una Mercedes nera svoltò l’angolo due isolati più avanti e il cuore mi balzò in gola. La Mercedes si avvicinò e il battito cardiaco si bloccò. C’erano solo due possibilità: spacciatori di droga oppure Ranger. L’auto si fermò accanto a me e Ranger fece un leggero cenno della testa che significava: «Sali».

Feci sistemare Bob sul sedile posteriore e mi sedetti accanto a Ranger. «Ci sono tre persone parcheggiate nel mio cortile che sperano di incontrarti» dissi. «Che cosa ci fai qui?»

«Voglio parlarti.»

Un conto era possedere l’abilità di penetrare in un appartamento di nascosto; tutt’altra cosa era essere capaci di indovinare sempre che cosa stessi facendo in ogni momento del giorno. «Come sapevi che ero uscita con Bob? Che cosa sei, un sensitivo?»

«Niente di tanto strano. Ho telefonato e tua nonna mi ha detto che eri andata a portar fuori il cane.»

«Caspita, che delusione. Adesso mi dirai anche che tu non sei Superman.»

Ranger sorrise. «Vuoi che io lo sia? Allora passa la notte con me.»

«Credo di essere un po’ troppo nervosa» gli dissi.

«Astuta» disse Ranger.

«Di che cosa vuoi parlarmi?»

«Ti sollevo dal tuo incarico.»

Il nervosismo scomparve e fu sostituito dal germe di un sentimento maligno che mi si annidò in fondo allo stomaco. «Tu e Morelli avete fatto un accordo, vero?»

«Ci siamo chiariti.»

Stavano tagliandomi fuori, mettendomi da parte come un bagaglio inutile. O peggio, come un intralcio. In tre secondi passai da una dolorosa incredulità alla furia totale.

«È stata un’idea di Morelli?»

«È stata una mia idea. Hannibal ti ha vista. Alexander ti ha vista. E adesso metà della polizia di Trenton sa che sei entrata in casa di Hannibal e hai trovato Junior Macaroni nel garage.»

«Lo hai saputo da Morelli?»

«L’ho saputo da tutti. La mia segreteria telefonica era intasata. È solo che è troppo pericoloso per te continuare a indagare su questo caso. Ho paura che Hannibal possa fare due più due e darti la caccia.»

«È umiliante.»

«Ma davvero lo hai messo a sedere su una sedia da giardino?»

«Sì. E a proposito: sei stato tu a ucciderlo?»

«No. La Porsche non era nel garage quando io sono entrato in casa. E non c’era nemmeno Macaroni.»

«Come hai superato il sistema di allarme?»

«Nello stesso modo in cui lo hai fatto tu: l’allarme non era inserito.» Guardò l’orologio. «Devo andare.»

Aprii la portiera e feci per scendere.

Ranger mi afferrò il polso. «Non sei molto brava a obbedire agli ordini, ma questa volta mi ascolterai, vero? Devi starne fuori. E devi stare molto attenta.»

Sospirai, scesi dall’auto e presi Bob dal sedile posteriore. «Fa’ solo in modo che Joyce non ti trovi. Questo mi rovinerebbe definitivamente la giornata.»

Lasciai Bob a casa, presi le chiavi dell’auto e la borsa e scesi di nuovo nel parcheggio. Dovevo andare da qualche parte. Da qualunque parte. Ero troppo scossa per rimanere a casa. Per la verità non ero tanto agitata per il fatto di essere stata sollevata dall’incarico, era solo che odiavo essere licenziata per la mia stupidità. Ero caduta da un albero, per l’amor del cielo. E poi avevo messo Junior Macaroni a sedere su una sedia da giardino. Voglio dire, fino a che punto si può essere idioti?

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