— In ansia? — L’ombra di un sorriso increspò le labbra di lei.
Casey notò che la sua bocca era larga, dall’espressione volitiva, ma nel suo sorriso aleggiava qualcosa di tragico.
— Lo so — riprese in fretta — è passata quasi una settimana. Io volevo mettermi in contatto con voi anche prima, ma non mi è stato possibile. Phyllis…
Esitò. Non era necessario raccontare proprio tutto, sebbene la donna gli facesse compassione.
— Dite pure, signor Morrow.
— La signorina aveva paura.
— Della polizia?
Ecco di nuovo il poco larvato sospetto.
— No, non della polizia. Ha paura dell’assassino di suo padre.
Allora, accadde una cosa… una cosa che mise Casey in allarme. La signora Brunner non fiatò, ma il suo viso subì un mutamento, una luce interna parve illuminarlo, ma quella luce si spense subito.
— Si direbbe che sappiate ben altro che il recapito di mia figlia — disse alla fine. — Forse potremmo continuare la conversazione in casa.
“Cerca di guadagnare tempo” pensò Casey. “Cerca di farsi un giudizio su di me, come sto facendo io con lei. Non le sarà però possibile tendermi un tranello e andare al telefono.” Del resto, non pareva essere quella la sua intenzione. Lo guidò lungo il sentiero inghiaiato, fiancheggiato da arbusti e cespugli, fino a due porte-finestre, e lo fece entrare in una grande stanza accogliente dai pannelli in legno di pino, rallegrata da stoffe a fiorami e da un gaio fuoco che divampava nel camino. Casey concluse che dovesse essere la biblioteca o lo studio, e l’atmosfera era proprio indicata per togliersi le scarpe e mettersi a proprio agio su uno dei comodi divani, con un libro. Lui non era molto amante della lettura, ma era un tipo di stanza che infondeva quel desiderio, che disperdeva ogni spavento o nervosismo. Un luogo dove era difficile concentrare il proprio pensiero su un delitto.
— Un caffè? — chiese la signora Brunner calmissima, come se avesse avuto a che fare con un normale visitatore. — O forse non avete fatto colazione?
— Non faccio mai la prima colazione — disse Casey. — Però se voi prendete un caffè…
L’andamento della casa era quello. Poco dopo avere ordinato una cosa la si vedeva apparire su un vassoio d’argento, e Casey si chiedeva che effetto gli avrebbe fatto passare l’infanzia in un ambiente come quello. L’aroma del caffè superava perfino quello di mamma, forse perché non era accompagnato da un diffuso sentore di birra, e il sapore era degno del profumo. Mentre beveva, non lasciò riposare il proprio cervello, e soltanto quando la tazza fu pressoché vuota cominciò a sentir pesare su di sé lo sguardo della signora Brunner.
— Suppongo che siate ansiosa di avere notizie di Phyllis — disse. Non si accorse neppure della familiarità con cui pronunciava quel nome.
— Ho atteso una settimana, ma la vita tra le altre cose mi ha insegnato a essere paziente.
Casey depose la tazza sul tavolino dal ripiano di cuoio, che separava la sua poltrona da quella della sua interlocutrice, e si protese in avanti.
— Scusate se insisto — continuò Casey — ma non eravate ansiosa sul suo conto? — L’enfasi che aveva dato alle parole suonava un po’ severa, e allora fu pronto ad aggiungere: — Intendo su quanto poteva esserle capitato. La domanda che mi avete rivolto in giardino mi ha sconcertato.
— Le volete bene? — chiese lei, fissandolo attentamente.
— È una brava ragazza.
— Molto bella anche.
Casey non era tipo da arrossire facilmente, ma sentì una vampata di calore salirgli al viso.
Intanto la signora Brunner continuava: — Ero in ansia per lei, s’intende, ma suppongo che sia naturale sfogare per primo il timore più grave. Che cosa dovevo pensare quando mi avete detto che sta bene? Questo, se non erro, ci riporta a una vostra frase di poco fa.
— Infatti. Phyllis ha paura di tornare a casa. — Casey aspettò un momento, ma la signora Brunner continuava a tacere. Ormai toccava a lui raccontare, e le riferì i fatti fin dall’inizio, dall’incontro al bar Nuvola, a lei noto, fino all’arrivo alla taverna di Big John (omettendo i nomi). Tralasciò d’informarla del matrimonio, un argomento che era meglio rimandare a quando il pasticcio fosse stato chiarito.
— Dunque avete intrapreso una vostra indagine personale — fu il commento di lei.
— Per forza. Si tratta anche della mia pelle.
— Avete scoperto nulla?
— Alcune cose. Ditemi, udiste mai vostro marito parlare di un certo Groot, Carter Groot?
Phyllis e la madre avevano una cosa in comune: quel modo fisso, quasi sconcertante di guardarlo negli occhi mentre parlava. Ammesso che il nome, o l’avervi accennato, significasse qualcosa per lei, non lo diede a vedere e finì per rispondere: — No, sono sicura che non lo nominò mai in mia presenza. È un indizio?
Sorrise lievemente, nel pronunciare l’ultima frase, dimostrando di non prendere troppo sul serio quella sua attività.
— Senz’altro — ribatté Casey. — Carter Groot è un investigatore privato che lavorava per conto di vostro marito. Portò a termine il suo compito e venne liquidato il lunedì. La stessa sera vostro marito fu ucciso.
— Non capisco — fece la signora Brunner. — Un investigatore privato? E che cosa investigava?
Casey esitò. Avrebbe potuto svelarle i suoi sospetti su Gorden, facendoli passare per affermazioni basate su solide prove, ma non avrebbe guadagnato nulla. Essendo a caccia di ciò che Groot aveva scoperto, aveva bisogno di aiuto e doveva quindi chiederle di fidarsi della sua parola, di fidarsi di lui più di quanto lui stesso non avrebbe fatto con chicchessia. Concluse che l’unica strada consisteva nell’essere sincero da quel momento, e così disse: — Non so esattamente su che cosa stesse investigando, ma ho i miei sospetti. Sospetti piuttosto seri. Carter Groot è scomparso da lunedi sera.
Occorre un certo tempo per digerire una dichiarazione di quel genere, e infatti soltanto dopo qualche momento la signora Brunner disse, con voce un poco afona: — E quali sono i vostri sospetti?
— Da quanto tempo conoscete Lance Gorden?
Non era una questione da essere presa alla leggera, soprattutto per Casey che lottava per la propria felicità e fors’anche per la propria vita, ma la tensione, che era andata aumentando in silenzio, s’infranse al suono della risata di lei, suono che pareva quello di un fragile ramo che si spezzi per il troppo peso.
— Ancora Lance! — esclamò. — Vogliate scusarmi, signor Morrow, non volevo essere scortese…
— Ancora Lance? — fece eco Casey.
— È un’idea di Phyllis?
— All’inizio l’idea infatti fu sua.
— Lo sapevo. Tutte le volte che litigano, Lance per lei diventa un nemico mortale, che mira soltanto al suo patrimonio. Suppongo del resto che per le ragazze ricche sia un timore abbastanza naturale. Io non ebbi mai preoccupazioni di questo genere.
Casey non avrebbe saputo dire se l’ultima osservazione era stata pronunciata con una sfumatura di sollievo o di rimpianto.
In quel momento sapeva soltanto che non sarebbe riuscita a eliminare Lance Gorden quale sospetto omicida, con una semplice risata. No davvero, dopo lo scontro avvenuto sul marciapiede di fronte alla casa di Maggie. Era incerto se raccontarle l’accaduto, ma qualcosa lo ammoni che sarebbe riuscita a smantellare la sua versione con qualche alibi. E a proposito di alibi disse: — Ho letto sui giornali che Gorden dichiara di essere stato qua tutta la notte del lunedì. — Ora non rideva più. Il tono di Casey aveva avuto un’inflessione ammonitrice. — Non voglio insegnarvi nulla — proseguì — ma se fossi in voi non sarei tanto pronta a spalleggiare una menzogna come questa, neppure trattandosi di un eventuale futuro genero.
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