Harlan Coben - Non hai scelta

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Marc Seidman ha tutto ciò che si può desiderare dalla vita: chirurgo plastico di successo, vive con la bella moglie e la figlioletta Tara di pochi mesi in una bella casa nei sobborgi di New York. Ma quando riprende conoscenza in una camera d’ospedale dove è stato ricoverato in fin di vita, Marc scopre con orrore d’aver subito un’aggressione durante la quale la moglie è stata uccisa e sua figlia è scomparsa senza lasciare traccia. Come se non bastasse Marc si ritrova ad essere il primo sospetto…

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Che fare, allora?

Avevo pochissimo tempo. Se avessi cercato di guadagnarne un altro po’, se avessi impiegato più di mezz’ora per arrivare, il tipo al telefono avrebbe cominciato ad agitarsi. E non potevo permettermelo. Ripresi in considerazione l’idea di chiamare la polizia, ma poi ricordai il suo consiglio di “non fare il furbo” e ancora una volta temetti che potessero avere un informatore. Avevo una pistola, sapevo usarla e anche bene: ma al poligono. Sparare a qualcuno sarebbe stato diverso, immaginavo. O forse no. Non mi facevo più molti scrupoli al pensiero di uccidere quella gente, e forse non me ne ero mai fatti.

Parcheggiai un isolato prima di quello di Denise Vanech, presi la pistola e m’incamminai.

Lui la chiamava Lydia, lei lo chiamava Heshy.

La donna era arrivata cinque minuti prima, era piccolina e carina con quegli occhi da bambola spalancati per l’emozione. Stava in piedi davanti al cadavere di Denise Vanech e osservava il sangue che ancora sgorgava. Rachel sedeva immobile, le avevano legato le mani dietro la schiena con del nastro adesivo da pacchi. Lydia si voltò verso di lei.

«Sarà un bel problema far sparire quella macchia.»

Rachel la guardò e quella sorrise.

«Non lo trovi divertente?»

«Sì. Non lo do a vedere, ma dentro di me mi sto sbellicando dalle risate.»

«Oggi sei andata da una ragazza, una certa Tatiana. Vero?»

Rachel non rispose. L’omone di nome Heshy cominciò ad abbassare le tendine avvolgibili.

«È morta, pensavo che t’interessasse saperlo.» Lydia andò a sedersi accanto a Rachel. «Ti ricordi Family Laughs , quella serie televisiva?»

Rachel si chiese come comportarsi: quella Lydia era visibilmente fuori di testa. «Sì» rispose esitante.

«Ti piaceva molto?»

«L’ho sempre trovata terribilmente infantile.»

Lydia rise buttando indietro la testa. «Io facevo la parte di Trixie» annunciò sorridendo a Rachel.

«Ne sarai sicuramente orgogliosa.»

«Ah certo, certo.» Lydia si abbassò avvicinando il viso a quello di Rachel. «Sai, naturalmente, che stai per morire.»

Lei non batté ciglio. «Perché allora non mi racconti che fine hai fatto fare a Tara Seidman?»

«Ti prego.» Lydia si alzò. «Ero un’attrice, ti ricordo, lavoravo in televisione. Questo quindi, secondo te, sarebbe il momento in cui il colpevole racconta tutto a beneficio del pubblico e del protagonista, che sta a sentire pronto a intervenire? Mi dispiace, tesoruccio.» Si rivolse a Heshy. «Imbavagliala, orsacchiotto.»

Lui mise il nastro adesivo sulla bocca di Rachel, fermandoglielo dietro la testa, poi tornò accanto alla finestra. Lydia si avvicinò all’orecchio di Rachel, che si sentì il fiato della donna addosso.

«Questo te lo voglio proprio dire perché è buffo» le sussurrò, chinandosi ancora un po’. «Non ho idea di che cosa sia successo a Tara Seidman.»

Certo, non sarei andato a bussare alla porta.

Era chiaro che quelli volevano farci fuori e quindi non avevo alternativa, dovevo coglierli di sorpresa. Non conoscevo la pianta della casa, ma avrei sicuramente trovato una finestra laterale dalla quale tentare di introdurmi. Ero armato ed ero convinto che non avrei avuto esitazioni a sparare. Avrei tanto voluto escogitare un piano migliore, ma anche avendo più tempo a disposizione probabilmente non l’avrei trovato.

Zia aveva a suo tempo parlato del mio “ego da chirurgo’’ e ammetto che la cosa mi spaventava. In quel momento ero sicuro di farcela perché ero intelligente, sapevo essere prudente. Avrei quindi cercato una soluzione e, se non ci fossi riuscito, avrei proposto uno scambio: me al posto di Rachel. Non mi sarei fatto infinocchiare con l’argomento Tara. Certo, volevo credere che fosse ancora viva, volevo credere che quelli sapessero dove si trovava. Ma non avrei più messo in pericolo la vita di Rachel per un sogno: la mia sì, ma non quella di Rachel.

Mi avvicinai alla casa di Denise Vanech, cercando di mettermi al riparo dietro gli alberi e al tempo stesso di non farmi notare. E non sarebbe stato facile, perché in una zona residenziale come quella la gente non si muove furtivamente. Mi immaginavo già qualcuno dietro le veneziane che seguiva i miei movimenti, con il dito sul telefono per chiamare il Pronto intervento. Ma la cosa non mi preoccupava, perché in ogni caso tutto sarebbe avvenuto prima dell’arrivo della polizia.

Quando squillò il mio cellulare, ebbi un soprassalto. Mi trovavo ormai a tre case di distanza e imprecai sottovoce: il furbone, il prudente, aveva dimenticato di togliere la suoneria e lasciare solo la vibrazione. Mi resi conto con assoluta certezza di quanto fossi una schiappa fuori dal mio elemento. E se il telefono avesse squillato mentre stavo entrando in casa?

Mi chinai dietro un cespuglio e risposi.

«Hai tanto da imparare se vuoi giocare a nascondino» sussurrò Verme. «Fai proprio schifo da questo punto di vista.»

«Dove sei?»

«Dai un’occhiata alla finestra del secondo piano, l’ultima.»

Sollevai lo sguardo e dalla finestra Verne mi fece un gesto di saluto con la mano.

«La porta sul retro non era chiusa a chiave e sono entrato» bisbigliò.

«Che sta succedendo lì dentro?»

«C’è stato un omicidio. Li ho sentiti dire che hanno ucciso quella ragazza del motel, poi hanno fatto fuori Denise. Il suo cadavere è sul pavimento, a meno di un metro da Rachel.»

Chiusi gli occhi.

«È una trappola, Marc.»

«Lo immaginavo.»

«Sono in due, un uomo e una donna. Ora fai quello che ti dico, risali in macchina e parcheggia davanti alla casa, sarai abbastanza distante perché quelli possano colpirti. Rimani lì, senza avvicinarti. Voglio solo che tu attiri la loro attenzione, capito?»

«Sì.»

«Cercherò di non ammazzarli tutt’e due, ma non posso promettertelo.»

Riattaccò. Tornai velocemente all’auto e feci come mi aveva detto, con il cuore che mi batteva all’impazzata. Ma ora avevo qualche speranza, ora c’era Verne, era in casa, armato. Mi fermai di fronte alla casa di Denise, le tende e le veneziane erano abbassate. Feci un respiro profondo, aprii lo sportello e scesi.

Silenzio.

Mi aspettavo di udire degli spari, ma il primo rumore che sentii fu un altro, quello di una vetrata che andava in frantumi. E poi vidi Rachel cadere dalla finestra.

«La sua auto si è appena fermata qui di fronte» disse Heshy.

Rachel aveva ancora le mani legate dietro la schiena e la bocca coperta dal nastro adesivo. Sapeva che ormai era arrivata la fine, Marc avrebbe bussato alla porta e quelle due imitazioni di Bonnie e Clyde l’avrebbero fatto entrare per poi sparargli e fare fuori anche lei.

Tatiana era già morta. Denise pure. Heshy e Lydia non potevano quindi permettersi di lasciare vivi loro due. Rachel aveva sperato che Marc l’avesse capito e fosse andato alla polizia, aveva sperato che non sarebbe nemmeno venuto: ma quell’eventualità lui naturalmente non l’aveva nemmeno considerata. E adesso era lì. Con molta probabilità avrebbe compiuto qualche gesto temerario oppure era ancora talmente accecato dalla speranza che sarebbe caduto nella trappola.

In ogni caso lei doveva fermarlo.

L’unica speranza era quella di coglierli di sorpresa. E anche in tal caso, se tutto fosse andato come doveva, lei avrebbe potuto al massimo sperare di salvare Marc. Riguardo a se stessa c’era poco da farsi illusioni.

Era ora di muoversi.

Non si erano preoccupati di legarle i piedi, imbavagliata e con le mani legate dietro la schiena che cosa poteva mai fare? Lanciarsi contro di loro sarebbe equivalso a suicidarsi: un bersaglio così non l’avrebbero certo mancato.

E proprio su questo lei faceva affidamento.

Si alzò in piedi, Lydia le puntò subito contro la pistola. «Siediti.»

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