Lei non le obbedì e Lydia si trovò spiazzata. Se le avesse sparato Marc avrebbe sentito la detonazione e si sarebbe reso conto che qualcosa non andava. Ma Rachel capì che l’indecisione della donna sarebbe durata poco e allora le venne un’idea abbastanza idiota. Si mise a correre. Lydia avrebbe dovuto spararle o inseguirla, oppure…
La vetrata.
Lydia capì ciò che Rachel aveva in mente, ma non riuscì a fermarla. Rachel chinò il capo come un ariete e si tuffò contro la vetrata, Lydia sollevò la pistola per fare fuoco e Rachel si irrigidì prima dell’impatto con il vetro. Sapeva che sarebbe stato doloroso. Volò attraverso la vetrata, che andò in frantumi con sorprendente facilità, ma ciò che l’ex agente federale non aveva calcolato era la distanza dal suolo. E con le mani legate dietro la schiena non poteva attutire la caduta.
Si voltò e assorbì l’impatto sulla spalla, poi udì un rumore sordo e sentì un dolore acuto alla gamba, mentre un frammento di vetro le s’infilava in una coscia. Marc non poteva non avere udito quel fracasso, poco ma sicuro. E avrebbe potuto salvarsi. Ma, mentre rotolava su se stessa, Rachel fu colta dalla disperazione: in quel modo aveva attirato l’attenzione di Marc, che l’aveva vista cadere dalla finestra.
E adesso, incurante del pericolo, lui stava correndo verso di lei.
Verne era accovacciato sulla rampa di scale.
Stava per entrare in azione quando Rachel si era improvvisamente alzata in piedi. Ma era ammattita? Capì subito quanto fosse coraggiosa, quella donna. Dopo tutto non poteva sapere che lui se ne stava nascosto al piano di sopra e non poteva permettere che Marc cadesse nelle mani di quei due. Non era il tipo, Rachel.
«Siediti.»
Era la voce della donna, di quella specie di ragazzina di nome Lydia, che sollevò subito la pistola. Verne fu colto dal panico, non era ancora pronto ad agire, non aveva la giusta visuale per sparare. Ma Lydia non premette il grilletto e lui rimase a guardare sbalordito Rachel che si tuffava contro la vetrata.
Ottima manovra diversiva.
Verne si mosse. Aveva sentito infinite volte parlare del tempo che nei momenti più difficili si ferma, di quei brevi secondi in cui riesci a vedere tutto con la massima chiarezza. In realtà erano tutte stronzate. I fotogrammi di quelle scene sembra che si susseguano lenti soltanto quando ti passano per la mente mentre stai comodo e al sicuro. Ma nella concitazione del momento, come la volta in cui lui e tre commilitoni erano rimasti coinvolti in una sparatoria con alcuni soldati dei reparti d’élite di Saddam, il tempo subisce invece un’accelerazione. E lo stesso stava succedendo in quel momento.
Verne sbucò da dietro l’angolo. «Butta quella pistola!»
L’omaccione teneva l’arma puntata in direzione della vetrata dalla quale era caduta Rachel. Verne non poteva perdere tempo e sparò quindi due volte. Heshy crollò sul pavimento. Lydia urlò. Verne rotolò a terra e sparì dietro il divano. La donna urlò di nuovo.
«Heshy!»
Verne fece capolino, convinto che Lydia tenesse la pistola puntata contro il divano, ma si sbagliava. Lei lasciò l’arma e, sempre urlando, cadde in ginocchio e prese a cullare dolcemente la testa di Heshy.
«No! Non morire! Ti prego, Heshy, ti prego, non lasciarmi!»
Verne diede un calcio alla pistola di Lydia e le puntò contro la sua.
La voce della donna si era fatta più bassa, morbida, materna. «Ti prego, Heshy. Ti prego, non morire. Oh Dio, per favore, non mi lasciare.»
«Non ti lascerò mai» disse lui.
La donna guardò con occhi imploranti Verne, che non stette nemmeno a telefonare al Pronto intervento. Già si udivano infatti le sirene. Heshy afferrò la mano di Lydia. «Lo sai quello che devi fare» le ricordò.
«No» fece lei, questa volta con una vocina da bambina.
«Lydia, sapevamo che sarebbe arrivato questo momento.»
«Non morirai.»
Heshy chiuse gli occhi, il suo respiro si era fatto più affannoso.
«Il mondo penserà che eri un mostro» disse lei.
«A me interessa solo quello che pensi tu. Promettimelo, Lydia.»
«Guarirai.»
«Promettimelo.»
Lydia scosse il capo, mentre le lacrime le rigavano le guance. «Non posso.»
«Sì che puoi.» Heshy riuscì ad abbozzare un ultimo sorriso. «Sei una grande attrice, non dimenticarlo.»
«Ti amo.»
Ma gli occhi di lui si erano chiusi. Lydia continuò a singhiozzare, a implorarlo di non lasciarla. Le sirene si fecero più vicine. Verne arretrò di un passo. Quando gli agenti entrarono, si raccolsero in circolo attorno a lei. E Lydia all’improvviso sollevò il capo che teneva poggiato sul petto di Heshy.
«Dio ti ringrazio» disse, con il viso rigato di lacrime. «Il mio incubo finalmente è finito.»
Rachel fu portata d’urgenza all’ospedale, io avrei voluto seguirla, ma la polizia la pensava diversamente. Allora telefonai a Zia pregandola di prendersi cura di lei.
Fummo interrogati per ore. Sentirono Verne, Katarina e me, prima separatamente e poi tutti assieme. Sono convinto che credettero alle nostre parole. C’era anche Lenny, e dopo un bel po’ arrivarono Regan e Tickner che stavano passando in rassegna gli archivi di Bacard come gli aveva chiesto Lenny.
Fu Regan a parlarmi per primo. «Giornata faticosa, vero, Marc?»
Ero seduto di fronte a lui. «Le sembro nello stato d’animo per una chiacchierata, detective?»
«La donna si fa chiamare Lydia Davis, ma il suo vero nome è Larissa Dane.»
Feci una smorfia. «Perché questo nome non mi giunge nuovo?»
«Era stata un’attrice bambina.»
All’improvviso ricordai. «Trixie, di Family Laughs. »
«Proprio lei, o quanto meno così dice. Sostiene che quell’uomo, del quale sappiamo solo che si chiamava Heshy, la teneva prigioniera e la violentava. Dice che la costringeva a fare certe cose. Secondo il suo amico Verne è tutta una balla, ma la cosa per il momento non ha importanza. Sempre la Dane giura di non sapere niente della sua bambina.»
«Com’è possibile?»
«Dice che lei e quell’Heshy erano soltanto dei manovali, che Bacard aveva proposto a Heshy di chiedere il riscatto di una bambina che non avevano rapito. Un sacco di soldi e oltretutto quasi senza rischiare, dal momento che la bambina non l’avevano loro.»
«Dice anche che non c’entra con quello che è successo a casa mia un anno e mezzo fa?»
«Proprio così.»
Guardai Lenny e anche lui la pensava come me. «Ma avevano la mia pistola, quella con cui hanno ucciso il fratello di Katarina.»
«Sì, lo sappiamo. Secondo la donna era stato Bacard a darla a Heshy per incastrare lei, Marc. Heshy ha sparato a Pavel e poi ha lasciato lì la pistola per farci credere che eravate stati voi due.»
«E come hanno fatto a procurarsi i capelli di Tara per la richiesta di riscatto? E anche la tutina?»
«Secondo la Dane glieli aveva dati Bacard.»
Scossi il capo. «Quindi sarebbe stato Bacard a rapire Tara?»
«La donna dice di non saperlo.»
«E mia sorella? Che parte avrebbe avuto?»
«Ancora una volta la Dane dà la colpa a Bacard, che avrebbe fatto il nome di Stacy perché le si attribuisse tutta la colpa. Heshy ha dato i soldi a Stacy, dicendole di versarli in banca, e poi l’ha uccisa.»
Guardai Tickner, poi mi rivolsi di nuovo a Regan. «Non quadra, come spiegazione.»
«Ci stiamo ancora lavorando sopra.»
«Avrei una domanda» intervenne Lenny. «Perché dopo un anno e mezzo ci hanno riprovato?»
«La Dane sospetta che l’abbiano fatto solo per avidità, anche se non ne è sicura. Bacard avrebbe telefonato a Heshy chiedendogli se gli andava di guadagnare altri due milioni di dollari, e lui aveva accettato. Dai conti di Bacard risulta chiaramente che era in serie difficoltà, perciò probabilmente la Dane sta dicendo la verità: Bacard in sostanza ha voluto dare un altro morso alla mela.»
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