Alle cinque si avviarono nel tepore delle strade verso La Maestranza, l'odore di sigari costosi e da poco prezzo mescolato a quello della colonia, della brillantina e del profumo da donna. Il sole era ancora alto e la brezza lievissima, condizioni quasi perfette. Ora toccava ai tori.
Il gruppo si divise. Paco e Javier si portarono ai loro posti privilegiati nella Sombra , mentre la famiglia si dirigeva a quelli omaggio nella Sol y sombra. Paco e Javier si sistemarono due file sopra l'arena, nelle barreras. Paco consegnò al fratello un cuscino con l'insegna della finca ricamata e tutti e due si immersero nell'atmosfera della España profunda. Il brusio della folla, i Ducados e i puros , gli uomini con i capelli imbrillantinati e pettinati all'indietro che aiutavano le loro consorti in abiti di seta a salire la gradinata. Una fila di ragazze con la tradizionale mantiglia di pizzo bianco sedeva sotto il palco reale. Ragazzi con secchielli di ghiaccio pieni di birra e di altre bevande giravano tra le gradinate, lanciando le lattine che i clienti afferravano al volo con altrettanta bravura. I soldi per le consumazioni passavano rapidamente di mano in mano.
I toreri avanzarono nell'arena con le loro squadre, tutti nei loro trajes de luces , dietro tre stalloni dal mantello grigio pomellato perfettamente presentati, con gli anteriori ben sollevati, che porgevano il collo alle redini. Pepe Leal si era ripreso ed era splendente nel suo abito blu e oro, sul volto l'espressione tranquilla dell'uomo pronto a svolgere il suo compito.
Gli stalloni si ritirarono, seguiti dai muli che avrebbero trascinato i tori uccisi fuori dalla plaza ; parevano annuire sotto i pompon rossi. I tre toreri eseguirono una serie di gesti lenti e aggraziati con le cappe rosse. L'emozione del pubblico in attesa crebbe. I toreri si portarono dietro le barriere lasciando Pepe Leal, che doveva affrontare il primo toro, solo nell'arena con la sua muleta.
La porta sul buio si spalancò. Silenzio. Un'unica voce gridò parole di incoraggiamento e il toro, mezza tonnellata di animale, si precipitò incontro al sole della plaza e al ruggito della folla. Si guardò intorno, caricò, poi rinunciò e si mise a trotterellare. Pepe lo incitò e il toro gli passò accanto in un frastuono di zoccoli, senza mostrare nessun interesse per la muleta e infierendo con le corna sulla barriera. Pepe lo riportò indietro ed eseguì due medias verónicas e la folla ruppe il silenzio per applaudirlo.
Una tromba annunciò i picadores , che avanzarono nell'arena armati di lance, in sella ai cavalli dagli occhi coperti e protetti da imbottiture. Pepe attirò il toro verso un cavallo e nel momento in cui l'animale lo incornava, il picador si chinò con la sua lancia e la piantò nella gibbosità dei muscoli. Le zampe anteriori del cavallo si sollevarono da terra e la folla applaudì la volontà di combattere e la forza del toro.
I picadores lasciarono l'arena e la squadra di Pepe si allineò per piantare con abilità le banderillas nel collo dell'animale. Pepe si fece avanti per la sua faena e Javier e Paco si sporsero in avanti in attesa dell'azione finale.
Il nervosismo e il disinteresse per la muleta che il toro aveva mostrato all'inizio divennero più evidenti: Pepe occupò quasi mezza faena per persuaderlo ad attaccare e quando finalmente l'animale ebbe risposto, la banda attaccò un lento paso doble. Pepe dimostrò bravura nell'uccidere il toro, un animale distratto, e Javier e Paco giudicarono la prova tutto sommato buona. La folla applaudì, ma non si vide sventolare nessun fazzoletto bianco per chiedere un orecchio.
Il primo toro di Pepín Liria si rifiutò di combattere. Dopo una decina di passi nell'arena, nella luce abbagliante e nel clamore, fece dietrofront. Trotterellò lungo le barriere, colpendole con le corna. Il solo momento interessante fu quando si gettò contro la muleta: un corno si piantò nel terreno e il toro eseguì una perfetta capriola ricadendo con tutto il suo peso nell'arena.
Il toro di Vicente Bejarano era forte, veloce, interessato alla muleta e piacque subito alla folla; ma non era la giornata di Bejarano, che non riuscì a stabilire nessun contatto con l'animale e, pur costruendo qualche bel momento scultoreo, non arrivò mai a controllare il suo avversario.
Alle 18.40 il sole brillava ancora sulla folla in attesa fremente sulle gradinate del Sol : la porta si aprì sull'arena e Biensolo avanzò al trotto, poi si fermò e rimase immobile. Nessuna esplosione di furia, nessuna carica contro le barriere o insensati tentativi di incornare qualcosa. Si guardò intorno e decise che la plaza era sua.
Dalla folla si levò un mormorio: gli spettatori erano incerti su quel toro, un animale che forse la sapeva troppo lunga. Pepe si avviò verso di lui e distese la muleta davanti a sé. Il toro non gradì l'intrusione e lo caricò, rapido, diretto, a testa bassa. Da quell'istante la folla fu sicura che quello sarebbe stato il toro del giorno e tutti compresero che avrebbero assistito a qualcosa di unico, se Pepe fosse riuscito a controllarlo.
«Quel toro toccava a Pepín», commentò l'uomo seduto accanto a Paco.
«Stia a vedere», affermò Javier, «alla fine si ritroverà a urlare come tutti noi.»
Pepe eseguì due verónicas complete e una chicuelina. L'esaltazione della folla crebbe a dismisura e quando Biensolo, dopo qualche parola scambiata tra il torero e il picador , si lanciò con una violenza superba contro l'imbottitura che proteggeva il fianco del cavallo, con uno slancio tale che cavallo e cavaliere furono sospinti contro la barriera, il pubblico esplose. Quel toro lo aveva conquistato.
Paco abbracciò Javier passandogli un braccio intorno al collo e lo baciò sulla fronte.
« ¿Eso es un toro, no? »
Uno dei banderilleros di Pepe, straordinario nel piantare le banderillas , si chinò al punto che le corna gli sfiorarono quasi l'ascella: un momento di immobilità assoluta, tutti trattennero il respiro nell'istante in cui uomo e animale furono quasi una cosa sola, poi i due si separarono come per miracolo.
Pepe avanzò per la faena e nella folla si creò il silenzio più puro di tutta la Spagna: il silenzio del rispetto per il toro.
Biensolo, le fauci serrate, i muscoli del dorso contratti, una striscia rossa di sangue che gli correva lungo il fianco destro fino alla zampa anteriore, fissò Pepe. Il giovane dispiegò la muleta in tutta la sua estensione e s'incamminò, a ogni passo puntando verso il toro la punta del piede e tenendo la cappa dietro di sé. Biensolo aspettava paziente. A quattro metri dal toro, Pepe si girò di fianco, distese il braccio e lentamente gli mostrò la muleta, come se volesse dirgli: «Posso offrirtela?» Il toro si lanciò all'attacco, le corna abbassate, ma Pepe parve dominarlo, costringendolo a rallentare, e solo quando il muso toccò la muleta permise all'animale di spingersi avanti, attirandolo, dicendogli che era quello, sì, l'incedere reale. E fu una cosa bella da vedere, la graduale torsione del corpo di Pepe, cedevole e forte come ferro battuto incandescente.
Il torero condusse Biensolo avanti e indietro e a ogni passo la danza si faceva più bella, il rapporto tra l'uomo e l'animale più forte, il reciproco rispetto diveniva più profondo. Un processo così lento che la folla non si accorse che il contatto si era stabilito, che il patto era stato accettato, che il torero e il toro avrebbero continuato nella loro rappresentazione fino all'unico finale possibile.
In nessun punto della faena Pepe cercò di soggiogare del tutto l'animale, perché lo aveva compreso fin dal primo momento nell'arena: quel territorio era di Biensolo ed era stato Biensolo a permettere a Pepe di entrarvi.
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