Boris Akunin - La Regina d'Inverno

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La Regina d'Inverno: краткое содержание, описание и аннотация

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12.01.2024 Борис Акунин внесён Минюстом России в реестр СМИ и физлиц, выполняющих функции иностранного агента. Борис Акунин состоит в организации «Настоящая Россия»* (*организация включена Минюстом в реестр иностранных агентов).
*НАСТОЯЩИЙ МАТЕРИАЛ (ИНФОРМАЦИЯ) ПРОИЗВЕДЕН, РАСПРОСТРАНЕН И (ИЛИ) НАПРАВЛЕН ИНОСТРАННЫМ АГЕНТОМ ЧХАРТИШВИЛИ ГРИГОРИЕМ ШАЛВОВИЧЕМ, ЛИБО КАСАЕТСЯ ДЕЯТЕЛЬНОСТИ ИНОСТРАННОГО АГЕНТА ЧХАРТИШВИЛИ ГРИГОРИЯ ШАЛВОВИЧА.


Mosca, 1876: in un parco affollato, un giovane si spara davanti agli occhi di una ragazza che poco prima gli aveva rifiutato un bacio. И solo il primo di un'inquietante catena di suicidi apparentemente inspiegabili. Dietro quei gesti tanto assurdi si nasconde forse un intrigo internazionale, ordito al di fuori della madre Russia? A indagare sul caso и Erast Fandorin, investigatore alle prime armi pieno di entusiasmo e acume. La pista che segue lo condurrа ai quattro angoli della Terra, in una serie di avventure rocambolesche che approderanno a una veritа sconvolgente e imprevedibile. Con Fandorin nasce una indimenticabile figura di detective in grado di rivaleggiare con «classici» quali Poirot, Sherlock Holmes e Montalbano.

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Le sue labbra borbottano: «Se solo avesse aspettato fino a domani con la spedizione. Se solo avesse aspettato…»

TREDICESIMO CAPITOLO

in cui si descrivono gli eventi del 25 di giugno

Il vivido sole estivo disegnava a riquadri dorati il pavimento della sala operativa dell’Ufficio postale principale di San Pietroburgo. Verso sera uno di questi, trasformatosi nel frattempo in un lungo rettangolo, si allungò fino allo sportello «Corrispondenza fermoposta» riscaldandone in un attimo il ripiano. L’atmosfera s’era fatta soffocante e sonnolenta, una mosca ronzava tranquilla, e l’impiegato di servizio allo sportello era sfinito — meno male che la fiumana dei visitatori si era a poco a poco esaurita. Ancora una mezz’oretta, e la porta dell’ufficio postale sarebbe stata chiusa, e non sarebbe rimasto che da consegnare il registro, dopodiché a casa. L’impiegato (ma sì, chiamiamolo per nome: Kondratij Kondratevič Štukin, diciassette anni di servizio alle poste, traiettoria gloriosa da semplice portalettere a rango di quattordicesima classe) consegnò a un’anziana finlandese dal buffo cognome di Pyrvu un plico arrivato da Revel e guardò se l’inglese era ancora lì.

Questo inglese stava lì e non se ne andava da nessuna parte. Proprio una nazione ostinata. L’inglese era comparso al mattino, non appena la posta aveva aperto, e come si era seduto col giornale accanto al muro, così era rimasto lì tutto il giorno, senza bere, senza mangiare e, scusate, senza nemmeno allontanarsi una volta per un bisognino. Come una statua. Si vede che gli avevano dato appuntamento lì, e poi non erano venuti — da noi capita di continuo, ma a un britannico nemmeno verrebbe in mente, è un popolo disciplinato, puntuale. Ogni volta che qualcuno, specie se dall’aria straniera, veniva allo sportello, l’inglese si avvicinava furtivo e si abbassava perfino gli occhiali azzurri sulla punta del naso. Ma non era mai la persona che aspettava. Uno della nostra gente si sarebbe già agitato da tempo, avrebbe allargato le braccia, avrebbe cominciato a lamentarsi davanti a tutti, quello lì invece si sprofondava nel suo Times e non si muoveva.

A meno che l’uomo non avesse dove andare. Poteva essere arrivato direttamente dalla stazione — dopotutto indossava un vestito da viaggio a quadretti, e aveva una borsa da viaggio — pensava sarebbero venuti a prenderlo, invece no. Cosa gli restava da fare? Tornato dal pranzo, Kondratij Kondratevič si impietosì del figlio di Albione, gli mandò il cameriere Trifon a chiedere se aveva bisogno di qualche cosa, ma l’uomo a quadretti si limitò a scuotere irosamente la testa e diede a Trifon una moneta da venti copechi, come a dire che lo lasciassero in pace. Come vuoi, allora.

Allo sportello spuntò un omino, dall’aspetto un cocchiere, che esibì un passaporto gualcito.

«Guarda un po’, buon uomo, c’è mica qualcosa per Krug Nikola Mitrofanyč?»

«Da dove l’aspetti?» chiese severamente Kondratij Kondratevič, prendendo il passaporto.

La risposta fu inattesa: «Dall’Inghilterra, dalla città di Londra».

La cosa più sorprendente fu che la lettera da Londra c’era, non alla K però, ma alla C latina. Guarda un po’ chi spuntava, «Mr. Nicholas M. Croog»! Cosa mai non si vede, allo sportello del fermoposta!

«Ma questo saresti proprio tu?» chiese Štukin più per curiosità che per dubbio.

«Non dubitare, sono io», rispose assai rudemente il cocchiere, infilò nello sportello la zampa e agguantò il pacchetto giallo con francobollo espresso.

Kondratij Kondratevič gli mise davanti il registro.

«Sai firmare?»

«Non peggio di altri», rispose quel villano apponendo una specie di scarabocchio alla rubrica «ricevuto».

Accompagnando lo sgradevole visitatore con sguardo irritato, Štukin come d’abitudine lanciò un’occhiata di sbieco all’inglese, ma quello era scomparso. Si vede che aveva perso ogni speranza.

Erast Petrovič con una stretta al cuore attese il corriere in strada. Guarda un po’ questo Nicholas Croog! Più andava avanti, meno ci capiva. Ma la cosa più importante era che i sei giorni di marcia rapida per l’intera Europa non erano passati invano! Aveva anticipato, raggiunto, agguantato! Adesso avrebbe avuto cosa riferire al suo capo. Bastava solo non perdesse di vista questo Croog.

Accanto a un bornio sonnecchiava il suo vetturino ingaggiato per l’intera giornata. L’inattività forzata lo aveva fatto cadere in uno stato sonnacchioso, e gli rincresceva assai di avere chiesto a quello strano signore soltanto cinque rubli in tutto — per un tormento simile, un vero martirio, poteva chiederne anche sei. Quando infine vide comparire il suo passeggero, il vetturino assunse un’aria dignitosa e tirò le redini, ma Erast Petrovič nemmeno guardava dalla sua parte.

Apparve l’oggetto. Scese alcuni gradini, si mise un berretto azzurro e si avviò verso una carrozza lì vicino. Fandorin gli mosse dietro senza fretta. L’oggetto si fermò alla carrozza, si ritolse il berretto e, con un inchino, porse il pacchetto giallo. Dalla finestra spuntò una mano maschile guantata di bianco che prese il pacchetto.

Fandorin affrettò il passo per riuscire a vedere il viso dello sconosciuto. E ci riuscì.

Nella carrozza, nell’atto di esaminare alla luce i sigilli di ceralacca, era seduto un signore dai capelli rossi con penetranti occhi verdi e uno sciame di lentiggini sulla faccia pallida. Erast Petrovič lo riconobbe subito, come no, era mister Gerald Cunningham in persona, il grande pedagogo, amico degli orfani e mano destra di lady Esther.

Venne fuori che il vetturino era stato tormentato invano: conoscere l’indirizzo di mister Cunningham non era difficile. Adesso c’era una faccenda più urgente.

A Kondratij Kondratevič era riservata una sorpresa: l’inglese era tornato. Adesso aveva una fretta tremenda. Corse all’accettazione telegrammi, infilò la testa nello sportello e prese a dettare a Michail Nikolaevič qualcosa di molto urgente. E Michail Nikolaevič si diede da fare, si sbrigò, cosa che in genere gli assomigliava ben poco.

Štukin era molto incuriosito. Si alzò (per fortuna non aveva nessuno al suo sportello) e facendo vista di sgranchirsi le gambe si diresse dall’altra parte della sala, verso l’apparecchio dei telegrammi. Si fermò accanto a Michail Nikolaevič che stava lavorando concentrato a tutto vapore, si chinò un po’ e lesse scarabocchiato di fretta:

All’investigativo della polizia di Mosca. Urgentissimo. Al consigliere di Stato signor Brilling. Sono tornato. Chiedo di entrare in contatto immediato con me. Attendo risposta all’apparecchio. Fandorin.

Ecco, adesso ci si capiva qualcosa. Štukin guardò «l’inglese» con occhi nuovi. Allora era un investigatore. Uno che acchiappava i malfattori. Ma guarda un po’ che roba!

L’agente si era aggirato per la sala una decina di minuti, non di più, che già Michail Nikolaevic, che era rimasto in attesa all’apparecchio, gli faceva cenno con la mano e gli porgeva il nastro del telegramma di risposta.

Kondratij Kondratevič lesse subito, direttamente dal nastro:

AL SIGNOR FANDORIN. IL SIGNOR BRILLING SI TROVA A PIETROBURGO. INDIRIZZO: VIA KATENIN, PALAZZO SIVERS. FUNZIONARIO DI TURNO LOMEJKO.

Chissà per quale motivo questa comunicazione riempì di gioia indicibile l’uomo a quadretti. Batté perfino le mani e chiese a Štukin che lo guardava con interesse: «Via Katenin dov’è? Lontano?»

«Niente affatto», gli rispose con deferenza Kondratij Kondratevič. «È molto semplice arrivarci. Prendete la carrozza con fermata a richiesta, scendete all’angolo della prospettiva Nevskij con la prospettiva Litejnaja, e poi…»

«Non importa, ho il mio vetturino», disse l’agente senza finire di ascoltarlo e, agitando la borsa da viaggio, corse verso l’uscita.

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