Emilio Salgari - Gli ultimi flibustieri

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Tirato il fiato, il guascone si decise finalmente a scendere gli altri venti o venticinque gradini ed a raggiungere il fondo.

La cantina s’apriva dinanzi a loro, ampia, altissima e, come abbiamo detto, ben fornita di botti piú o meno piene.

Uno spettacolo terrificante, tale da far gelare il sangue anche ad un filibustiere s’offerse allora agli occhi delle tre guardie e del cantiniere.

I gemiti, le urla, i fragori di ferramenta erano cessati ed invece erano comparsi improvvisamente due spettri, i quali erano saltati giú dalle ultime botti delle due file, mettendosi subito a girare su se stessi e facendo vivamente agitare i loro drappi bianchi.

Don Barrejo aveva cacciato un urlo ed aveva subito lasciata cadere a terra la lampada.

– Scappiamo!…Scappiamo!… – aveva gridato con voce strozzata.

Le tre guardie avevano già voltate le spalle e stavano arrampicandosi affannosamente su per la scala, spingendosi innanzi Panchita la quale strillava come se la scorticassero.

In pochi istanti si trovarono tutti nella taverna. Le guardie erano pallide ed affannate e pareva che non avessero piú voce.

Fortunatamente vi era ancora del vino sul tavolo ed un paio di bicchieri di vecchio Xeres , cacciati un dietro all’altro, diedero un po’ di animo ai disgraziati.

– La tua cantina è maledetta, – disse l’ufficiale, appena poté tirare il fiato. – Erano ben dei fantasmi quelli?

– Se lo erano!… – esclamò Don Barrejo. – Chiedetelo alle vostre guardie ed a mia moglie.

– Sí, sí, capo, – si affrettarono a confermare i due alabardieri.

– Erano dei veri spettri.

– Allora mio caro, cavatela come puoi, – disse l’ufficiale. – Io non mi occupo di questi affari.

“Aprici.”

– Come!… Ve ne andate, signore ufficiale? – strillò Panchita, la quale si era abbandonata su una sedia, simulando uno spavento impossibile a descriversi.

– I soldati non hanno mai battagliato contro le ombre, bella mia, – rispose il capo della ronda, il quale non vedeva il momento di trovarsi all’aperto. – Le nostre spade e le nostre alabarde non ci servirebbero a nulla.

– E dove volete che andiamo a dormire? Sotto la pioggia? – disse don Barrejo, il quale fingeva di strapparsi i capelli.

– Andate a bussare alla porta di qualche vicino.

– Dovrò allora raccontargli il motivo per cui io e mia moglie siamo fuggiti e domani tutto il quartiere saprà che la mia cantina è frequentata dagli spiriti dell’ossario.

– E saremo completamente rovinati, – sospirò la bella castigliana.

– Io non so che cosa farvi, miei cari, – rispose l’ufficiale, il quale fissava la porta della cantina rimasta aperta, come se temesse di veder comparire, da un momento all’altro, uno di quei due spettri giganti. – Io non posso darvi che un consiglio.

– Dite su, signor ufficiale, – piagnucolò don Barrejo.

– Di recarvi domani mattina dal Padre Superiore del convento piú vicino e di pregarlo di mandarvi una mezza dozzina di frati con delle croci e con molta acqua santa.

– Rimanete qui fino a domani?

– No, mio caro taverniere, ne abbiamo abbastanza dei misteri che si succedono qui. Domani in pieno giorno, verremo forse a ritrovarvi per sapere qualche cosa. Aprite ora e lasciateci andare.

– Piove ancora al di fuori.

– Preferisco prendermi dell’acqua, piuttosto di scendere ancora nella tua cantina. Andiamo camerati.

Don Barrejo, fingendosi disperato, aprí la porta della taverna e tutti, compresa Panchita, uscirono sulla via.

– In quel momento passavano alcuni nottambuli, non curanti della pioggia che continuava a cadere a catinelle.

Vedendo aprirsi la taverna ed uscire delle persone che subito non avevano potuto scorgere, poiché le guardie si erano bene avviluppate nei loro ampi mantelli, si accostarono, ed uno della comitiva, quantunque sembrasse abbastanza alticcio, chiese:

– Si può bere una bottiglia?

– Eccovi in buona compagnia, – disse l’ufficiale a Don Barrejo. – Queste brave persone non se ne andranno finché offrirete da bere.

– E chi è che andrà in cantina a prendere le bottiglie se vi sono i fantasmi?

– Come, vi sono i fantasmi nella vostra casa? – chiese un altro della comitiva, facendosi precipitosamente il segno della croce.

– Si caballeros , e cosí terribili che hanno fatto scappare perfino le signore guardie.

I nottambuli non ne vollero sapere di piú s’allontanarono correndo, mentre le guardie se ne andavano pure dall’altra parte rasentando i muri delle case.

Don Barrejo attese che il rumore dei passi fosse completamente cessato, poi rientrò nella taverna e, mentre sua moglie si affrettava a chiudere, si gettò su una sedia ridendo a crepapelle e con tale fragore da attirare perfino l’attenzione dei due fantasmi, i quali non tardarono a comparire sulla porta della cantina, facendo svolazzare le candide tovaglie che li coprivano.

Vade retro Satana!… – gridò il guascone, impugnando una bottiglia. – Tu puzzi troppo di zolfo.

Mendoza che era dinanzi, si sbarazzò delle tovaglie e si precipitò verso il tavolino, seguito da Buttafuoco, il quale, forse per la prima volta dopo tanti anni, si permetteva pure di ridere allegramente.

Rajo de Sol !… – esclamò il basco, afferrando pure lui una bottiglia che non era stata ancora interamente vuotata. – Ti proclamo, don Barrejo, il piú grande ed il piú furbo guascone che la terra degli spadaccini e degli avventurieri abbia allattato.

– Sí, un brav’uomo, – confermò Buttafuoco, il quale cercava pure di bagnarsi la gola.

– Sono scappati come lepri, – rispose don Barrejo. – Ah!… Che commedia, amici!… Io non so come abbia fatto a trattenere fino a questo momento le risa. Non ne potevo proprio piú.

– Che ritornino? – chiese Mendoza.

– Ecco quello che temo. Sono capaci di venire ancora qui accompagnati forse da una mezza dozzina di frati. Ecco quello che io temo, amici.

“L’avventura non finirà certamente qui, anche perché il marchese di Montelimar vorrà sapere che cosa è successo del corpo o dell’anima di compare Pfiffero.

“Questo fiammingo comincia a diventare pericolosissimo, anche se è ubbriaco morto. Vi pare signor Buttafuoco?”

– Purtroppo prevedo dei grossi guai ora che il marchese ha dei sospetti su di noi e che ci fa pedinare dovunque dalle sue spie, – rispose il bucaniere.

– Allora io ritorno sulla mia prima idea, disse il guascone. – Scendo in cantina, scoperchio la botte e ve lo getto dentro.

“Per un ubbriaco deve essere una morte dolcissima quella di finire affogato dentro dieci ettolitri di Xeres .”

Che poi dovresti gettar via, – disse Mendoza.

– Ma che!… Domani lo ripesco, scavo una buca e lo seppellisco in qualche angolo della cantina. In quanto al vino vedrai che saprò venderlo egualmente, anche se ha conservato un morto per dodici ore.

– Ah!… Canaglia!…

– Oh!… I meticci e gl’indiani non hanno il palato raffinato.

– No, – ripeté per la seconda volta Buttafuoco. – Io penso che quell’uomo potrebbe diventare per noi preziosissimo.

“Se è, come sembra, il confidente del marchese di Montelimar, noi potremo sapere da lui molte cose preziosissime.”

– E se domani il marchese manda altre persone a cercarlo? Se lo scoprono, mi appiccano, signor Buttafuoco.

– Che non vi sia qualche nascondiglio nella tua cantina? – chiese Mendoza. – In casa non hai qualche granaio?

Don Barrejo stette un momento silenzioso, poi picchiò un pugno sulla tavola, esclamando:

– Ho trovato!… Anch’io ho scoperto l’America!…

– Ehi, guascone, hai il cervello guasto? – chiese Mendoza. – Che i fantasmi abbiano fatta anche a te troppa impressione?

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