Emilio Salgari - Gli ultimi flibustieri
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Capitolo II. LE MERAVIGLIOSE TROVATE D’UN GUASCONE
Il fiammingo, che si reggeva già male sulle gambe, non avendo la resistenza di Mendoza e di Buttafuoco, abituati alle sfrenate orge dei filibustieri e dei bucanieri, si era lasciato cadere sulla sedia, non cessando di guardare, con spavento, quelle tre spade che gli pareva gli si appuntassero contro il petto.
– Pfiffer ! – esclamò, dopo aver mandato un profondo sospiro.
– Questo è cattivo scherzo.
– V’ingannate, mastro Arnoldo, – rispose Mendoza. – Questo non è affatto uno scherzo e le nostre spade non sono fatte di burro, bensí di puro acciaio di Toledo temprato nelle acque del Guadalquivir.
Il fiammingo proruppe in una risata.
– Datemi da pere, brafo amico.
– Finché vorrete, mastro Arnoldo. La cantina d’ El Moro è tutta a nostra disposizione, purché vi prepariate a rispondere alle domande che vi farò.
– Pene!… Pene!… Dite… dite… – rispose il fiammingo, riprendendo un po’ d’animo.
– Allora, – disse Mendoza, – ci spiegherete per quale motivo voi ci seguite ostinatamente da tre giorni, comparendoci sempre come un uccellaccio di malaugurio, nei luoghi che frequentiamo.
– Foi ed il fostro amico siete molto simpatici.
– Ma chi siete voi?
– Fe l’ho detto.
– Che cosa fate a Panama?
– Niente; fifo di rendita.
– Eh, messer Arnoldo, non cercare d’ingannarci, perché potreste uscire di qui conciato male.
Il fiammingo divenne livido come un cadavere, tuttavia rispose con abbastanza fermezza:
– Sono molto ricco.
– E per questo vi divertite a pagare da bere alle persone che vi sono simpatiche, – disse Mendoza, ironicamente. – Compare Arnoldo, non saremo noi che berremmo queste frottole. Sapete come si chiamano nel mio paese le persone che s’attaccano alle altre, come tante mignatte, senza perderle mai di vista?
– Calantuomini.
– No, compare Arnoldo, le chiamano spie.
Il fiammingo prese un bicchiere colmo e lo vuotò lentamente, certo per nascondere la sua emozione.
– Spie, – disse poi. – Io mai afer fatto questo prutto mestiere.
– Eppure vi ripeto che voi dovete essere la spia di qualche pezzo grosso di Panama: del marchese di Montelimar per esempio.
Il bicchiere sfuggí dalle mani del fiammingo e si ruppe con fracasso.
– Ohé, messer Arnoldo, vi piglia male? – chiese don Barrejo.
– Siete piú giallo d’un limone. Volete che vi faccia preparare da mia moglie della camomilla?
Il fiammingo ebbe uno scatto d’ira.
– Taferniere della malora, occupati del tuo fino tu!… – gridò.
– In questo momento le mie botti non hanno affatto bisogno di me, quindi posso prendermi la libertà di scambiare due chiacchiere anch’io.
– Ebbene, mastro Arnoldo, – proseguí l’implacabile Mendoza. – Perché, quando ho pronunciato il nome del marchese di Montelimar, le vostre mani sono state prese da un tremito? Vedete bene che la tazza l’avete spezzata.
– Io pagarla.
– Il padrone d’ El Moro è generoso e non vi farà pagare niente. Non approfittate però della rottura del bicchiere per cambiare discorso.
“Ditemi invece come e dove m’ha veduto il marchese di Montelimar e come ha fatto a riconoscermi, dopo sei anni che manco da Panama.”
– Non conoscere marchese di Montelimar, – disse il fiammingo asciugandosi la fronte che appariva bagnata di grosse stille di sudore.
– Ah!… Non volete dirmelo!… – gridò Mendoza. – Vi avverto che quel signor lí, che non parla mai, è uno dei piú famosi bucanieri di Sandomingo, e che io non sono affatto un negoziante di muli, bensí un filibustiere che ne ha fatte di tutti i colori con David e con Raveneau de Lussan.
– Quest’uomo sta male!… – esclamò don Barrejo. – Presto, Panchita, prepara una tazza di camomilla pel signore.
“Gli farà molto bene.”
Infatti pareva che il fiammingo fosse lí lí per svenire, tanto era pallido e disfatto.
– Non vedete che vi tradite? – gridò Mendoza. – O vi decidete a parlare o vi caccio in gola tutta la vostra misericordia.
– Aspetta che abbia almeno bevuta la camomilla, – disse don Barrejo, ridendo.
– Confessate: lo conoscete il marchese di Montelimar, si o no?
È inutile che vi ostiniate a negare ancora.
Arnoldo fece finalmente col capo un cenno affermativo.
– Finalmente!… – esclamò il biscaglino, mentre Buttafuoco, per dimostrare la sua soddisfazione, tracannava due bicchieri, uno dietro l’altro.
– Messer Arnoldo, bevete una goccia anche voi di questo vecchio Xeres , che si dice sia stato imbottigliato nientemeno che da papà Noè, – disse il guascone porgendogli un altro bicchiere. – Vi darà un po’ d’animo e vi rimetterà in gambe, ve l’assicura un vecchio taverniere.
Messer Arnoldo, quantunque fosse completamente ubbriaco, non rifiutò il consiglio. Aveva ben bisogno, dopo tante emozioni e tante angosce, di rimettersi un po’.
– Quando mi ha veduto? – riprese Mendoza.
– Tre giorni fa, – rispose il fiammingo.
– Tu sei dunque uno dei suoi confidenti, per sapere queste cose.
Il fiammingo crollò il capo senza rispondere.
– Dove? – continuò Mendoza, con voce minacciosa.
– Sulle calate del porto.
– Corpo d’un archibugio!… – esclamò il biscaglino, dandosi un paio di pugni sulla testa. – Ed io non mi sono accorto della sua presenza!..
– Ti avevo detto di non mostrarti nei luoghi troppo frequentati, – disse Buttafuoco.
– Sono trascorsi sei anni.
– Si vede che non sei troppo cambiato, compare, e che sei rimasto sempre giovane, – disse don Barrejo. – Che uomo fortunato!
Mendoza si accingeva a riprendere l’interrogatorio e s’avvide che il fiammingo si era abbandonato sulla sedia, lasciando penzolare le sue lunghissime braccia fino quasi a toccare il suolo.
– Che sia morto? – si chiese.
– È briaco fradicio, – disse il guascone, il quale si era avvicinato. – Oh!… Me ne intendo io di sbornie!… Quest’uomo, mio caro, non potrà sciogliere la sua lingua prima di ventiquattro ore.
– Lasciamolo pure a digerire il suo vino e facciamo quattro chiacchiere fra noi. Ti dobbiamo delle spiegazioni, don Barrejo.
– Le sospiro da tre ore, – rispose il taverniere.
– Te le avremmo già date, senza la comparsa di questa mignatta.
– Una parola, prima, Mendoza, – disse Buttafuoco. – Come avevi fatto a sapere che questo fiammingo era una spia del marchese di Montelimar?
– Io ne sapevo quanto voi, signor Buttafuoco. Avevo avuto semplicemente un vago sospetto ed ho pronunciato il nome del marchese, cosí a caso.
– Ed hai indovinato subito! – esclamò don Barrejo. – L’ho sempre detto io che tu eri un uomo meraviglioso.
“Ora dammi le spiegazioni promessemi. Sono curioso di sapere il perché siete venuti a trovarmi e vi siete ricordati che in America esisteva un bravo guascone e fedelissimo amico.
“In questa faccenda deve entrarci il figlio del Corsaro Rosso.”
– O meglio sua sorella, – disse Mendoza.
– Chi? La figlia del Gran Cacico del Darien!…
– L’abbiamo condotta qui, noi.
– È qui la señorita !… Quale imprudenza! Se il marchese di Montelimar riuscisse a scoprirla, non la lascerebbe piú libera.
– Oh!… Abbiamo prese le nostre precauzioni, amico, L’abbiamo nascosta in una posada tenuta da un amico del signor Buttafuoco, un vecchio bucaniere anche lui, che trova piú utile ora fare l’albergatore anziché uccidere buoi selvaggi a Sandomingo od a Cuba.
– E perché è venuta qui, mentre doveva trovarsi presso il conte di Ventimiglia, suo fratello e la Marchesa di Montelimar sua cognata?
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