Emilio Salgari - Gli ultimi flibustieri
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– Meno male: non si trovano sempre delle persone generose, – disse il taverniere empiendo i bicchieri. – Vorrei però sapere perché vi segue con tanta ostinazione.
– Io non credo che sia una spia, – disse Buttafuoco.
– E non avete trovata ancora l’occasione di sbarazzarvi di quel signore? Tu, Mendoza, hai sempre avuto la mano lesta.
– Non hai mai potuto incontrarlo di sera e solo.
– Credi che finisca per entrare?
– Certamente, compare.
– Allora vedremo se sarà capace di uscire di qui. Ho ricevuto stamane una botte contenente dieci ettolitri di Alicante, e capace di contenere un uomo per quanto sia grosso.
– Che cosa vorresti fare? – chiese Mendoza.
– Farlo sparire dentro quella botte, cosí l’Alicante acquisterà un sapore di piú.
Mendoza, che stava in quel momento gustando l’eccellente Xeres del taverniere, sputò via tutto il vino che aveva in bocca, facendo una brutta smorfia.
– Ah!… Cane d’un taverniere!… – gridò, fingendosi stomacato. – Ci offre del vino dove ha conservato dei morti!…
Don Barrejo scappò via, tenendosi il ventre, mentre il bravo biscaglino approfittava del momento per afferrare la bottiglia che gli stava dinanzi e per vuotarla in tre tempi.
In quel momento l’uomo misterioso ripassò dinanzi alla porta della taverna e si soffermò a guardare dentro.
– Eccolo, – disse Buttafuoco. – In guardia, Mendoza.
– La botte è pronta, – rispose il biscaglino ridendo. – Si conserverà magnificamente là dentro, ma io, per paura che don Barrejo mi offra di quell’Alicante, non metterò poi piú i piedi nella taverna d’ El Moro .
“Questi osti meriterebbero di venire appiccati.”
La bella castigliana, vedendo lo sconosciuto mettere la mano sulla maniglia, fu pronta ad aprire la porta, dicendo:
– Entrate, señor : il vino è eccellente alla taverna d’ El Moro .
L’uomo misterioso, che grondava acqua da tutte le parti, si fece innanzi e si tolse il feltro adorno d’una vecchia penna, dicendo:
– Pona sera, signori: io averfi cercato tutta mattina.
Era un individuo fra i trenta ed i quarant’anni, magro come il guascone, colla carnagione bianchissima, i capelli biondissimi, anzi quasi bianchi e gli occhi azzurri.
Nel suo insieme inspirava una certa ripulsione, quantunque potesse benissimo darsi che fosse un galantuomo.
Mendoza e Buttafuoco avevano risposto al saluto, poi il primo si era affrettato a dire:
– Scusate, signore, se non ci avete trovati al solito albergo. La pioggia ci ha sorpresi lungo la via e ci siamo rifugiati qui, dove l’ostessa è amabilissima, l’oste un brav’uomo ed il vino squisitissimo.
– Foi permettere a me di tenerfi compagnia?
– Con tutto il piacere, – disse Buttafuoco.
L’uomo misterioso si levò il cappello ed il mantello che erano alla lettera inzuppati, mostrando una draghinassa ed uno di quei pugnali chiamati misericordie .
Don Barrejo si era messo a girare e rigirare attorno al tavolo, fissando quell’individuo sospetto.
Quella curiosità però non parve andare troppo a sangue al fiammingo, poiché volgendosi d’un colpo verso il guascone, gli chiese con tono un po’ piccato:
– Foi folete qualche cosa da me?
– Niente affatto, signore, – rispose prontamente don Barrejo. – Aspettavo i vostri preziosissimi ordini.
– Io non afere ordini da dare a foi, avete capito? Io befo con gli amici.
– Befete pure, mio gentiluomo, – rispose il guascone, andando a sedersi, insieme a Panchita, dietro il lunghissimo banco.
– Assaggiate, – disse Mendoza, porgendo un bicchiere ben colmo all’uomo misterioso. – Di questo vino non se ne beve nemmeno in Spagna.
L’uomo misterioso bevette d’un fiato il contenuto, poi fece schioccare la lingua.
– Pfiffer ! Io mai afere befuto fino cosí buono. Ah!…
– Oh!… – fece Mendoza, tornando ad empirgli il bicchiere. – Bevete pure, mastro Pfiffer .
– Che cosa Pfiffer ? – chiese il fiammingo.
– Non vi chiamate cosí?
– Io mai essere stato un Pfiffer .
– Avrete qualche nome suppongo, – disse Mendoza, versandogli un terzo bicchiere. – Io per esempio mi chiamo Rodrigo de Pelotas, ed il mio compagno invece Rodrigo de Peloton.
Il fiammingo guardò bonariamente il biscaglino, con un certo fare da sornione, poi disse:
– Pfiffer essere un interca.
– Un intercalare, volevate dire. Abbiamo capito, ma non sappiamo ancora come chiamarvi.
– Arnoldo Fifferoffih.
– Ah!… Dei fi fi ce ne sono nel vostro nome. Si poteva quindi chiamarvi benissimo mastro Pfiffer . Si faceva piú presto.
– Se folete, chiamatemi cosí.
– Eh… come va la vita, mastro Fiffer… fi… fer…?
– Pene!… Pene!… – rispose il fiammingo. – A Panama stare tutti penissimo. Conoscete la città?
– Non ancora tutta.
– Foi fenite da lontano?
– Ma che!… Da Nuova Granada.
– E… per affari?
– Dobbiamo comperare cinquanta muli per conto d’un ricco baciendero che si crede intenda poi venderli ai filibustieri.
– Oh!… – fece il fiammingo.
– Bevete mastro Fiff… fiff… Questo vino è eccellente.
– Oh molto pono!… Ostessa pelissima, oste brutto e fino ponissimo.
– È stata una vera fortuna scoprire questa taverna cosí fuor di mano, – disse Mendoza, il quale, pur chiacchierando, non cessava di empire i bicchieri.
Il fiammingo, quantunque dovesse essere piú abituato a tracannare birra che vino, resisteva tenacemente a Mendoza, però non doveva lottare a lungo con quel formidabile bevitore.
Già le sue esclamazioni s’imbrogliavano maledettamente, facendo sorridere il silenzioso Buttafuoco, il quale se era avaro di parole non risparmiava nemmeno lui i buoni bicchieri.
Cominciava intanto ad annottare e la pioggia non cessava di scrosciare di fuori, con largo accompagnamento di tuoni e lampi.
Pareva che su Panama, che allora era la regina del Pacifico, si rovesciasse un vero ciclone.
Don Barrejo, dopo aver portato altre bottiglie, accese la fumosa lampada ad olio, poi, ad un segno di Mendoza, chiuse le porte della taverna mettendovi dietro, per sicurezza, una spranga di ferro.
– Taferniere, che cosa fate? – chiese il fiammingo, il quale si era accorto di quella manovra.
– È tardi e chiudo, – rispose asciuttamente il guascone.
– Noi folere uscire presto.
– Con questa pioggia?
– Io afere mia testa pesante e folere andare a dormire.
– Forse che non c’è del buon vino qui? – disse Mendoza. – Il padrone della taverna d’ El Moro è un brav’uomo e rimarrà in piedi fino a domani mattina, sempre pronto a servirci.
– Io folere andare, – ripeté il fiammingo. – Pfiffer ! Afer befuto troppo.
– Ma che!… Abbiamo appena cominciato!… È vero, don Rodrigo de Peloton?
Buttafuoco fece col capo un gesto affermativo.
– Pasta, – rispose l’ostinato fiammingo, prendendo il suo mantellone ed il suo cappello. – Pona sera a tutti! Taferniere, aprite.
Mendoza allontanò la sedia, subito imitato da Buttafuoco, e due spade brillarono nelle mani dei due avventurieri.
Don Barrejo aveva già preso la sua arrugginita draghinassa, portatagli di nascosto da sua moglie e si era messo dinanzi alla porta.
– Pfiffer ! – esclamò il fiammingo, gettando intorno uno sguardo smarrito. – Cosa folere voi, signori? Assassinarmi?
– No, mettervi in conserva dentro una botte di Xeres , – disse don Barrejo. – Mio caro Pfiffero!
– Sedete, – disse Mendoza, con voce minacciosa, posando la spada sul tavolo. – Abbiamo da vuotare altre bottiglie ancora e anche molto da discorrere, amico.
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