Emilio Salgari - I figli dell'aria
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- Название:I figli dell'aria
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I due mandarini si sussurrarono alcune parole, guardando di traverso i due europei, poi il più anziano si volse verso Fedoro, chiedendogli:
– Voi comprendete il cinese?
– Sì, ma il mio compagno non parla che il russo, quindi domando che vi sia un interprete dell’ambasciata russa.
– Tradurrete voi; noi non vogliamo stranieri qui, all’infuori dei colpevoli.
– Noi non siamo sudditi cinesi, quindi voi non avete alcun diritto di giudicarci senza la presenza d’un rappresentante del nostro paese.
– Per far intervenire l’ambasciatore e levarvi dalle nostre mani? Oh! Le conosciamo queste cose.
– Io protesto.
– Lo farete poi – disse il mandarino. – Voi siete accusati di aver assassinato Sing-Sing, un fedele suddito dell’Impero.
– Chi lo afferma?
– Tutta la servitù di Sing-Sing ha deposto contro di voi.
– Sono dei miserabili, degli affiliati alla società segreta della «Campana d’argento», che per salvare i veri assassini incolpa noi.
– Sì, sì, la vedremo. Da dove venite voi?
– Io ed il mio amico Rokoff, ufficiale dell’armata russa, siamo sbarcati a Taku sette giorni or sono per venire qui ad acquistare cinquecento tonnellate di tè.
– Siete un negoziante di tè, voi?
– Sì, e la mia casa si trova a Odessa.
– Siete venuto altre volte in Cina?
– Tutti gli anni ci torno.
– E conoscevate Sing-Sing?
– Da molto tempo ed ero suo amico. Quale scopo dovevo dunque avere io per assassinarlo?
– L’odio che tutti gli europei nutrono verso di noi e…
– Mentite!
– E poi quello di derubarlo, perché il suo forziere è stato trovato vuoto.
– E dove volete che noi abbiamo nascosto il suo denaro?
– Chi mi assicura che non abbiate avuto dei complici? – chiese il mandarino. – Il maggiordomo di Sing-Sing ha affermato d’aver veduto delle persone sospette aggirarsi intorno al palazzo, anche dopo che tutte le lanterne erano state spente.
– Allora è lui il colpevole! È lui il ladro! È lui che ha protetto gli affiliati della «Campana d’argento».
– Il maggiordomo era affezionato al suo padrone; tutta la servitù lo ha confermato.
– Sicché voi siete convinto che Sing-Sing sia stato assassinato da noi?
Il mandarino alzò le braccia, poi le lasciò ricadere con un gesto di scoraggiamento, più simulato però che reale.
Fedoro fu preso da un impeto di furore.
– Voi non ci ucciderete, canaglie! – urlò, battendo furiosamente il pugno sul tavolo. – Noi siamo innocenti e per di più europei.
– Se siete innocenti, provatelo – rispose il mandarino con calma.
– Cominciate coll’arrestare il maggiordomo e costringerlo a confessare la verità. A voi i mezzi non mancano per strappargli quanto egli sa e che non vuol dire.
– Non abbiamo alcun motivo per tradurlo qui e sottoporlo alla tortura. Non è già nella sua stanza che fu trovato il pugnale che servì agli assassini per trucidare Sing-Sing.
– Siete dei banditi!…
– Dei giudici.
– No, delle canaglie, che per odio di razza volete sopprimerci, ma le ambasciate europee non vi permetteranno di compiere una simile infamia.
Il mandarino alzò le spalle, poi fece un gesto.
Prima che Fedoro e Rokoff potessero sospettare ciò che significava, si sentirono afferrare per le spalle e per le braccia da dieci mani vigorose ed atterrare.
Una banda di carnefici o di carcerieri, tutti di statura gigantesca, era entrata silenziosamente nella sala ed al cenno del mandarino si era scagliata improvvisamente sui due europei, prendendoli di sorpresa.
Né Fedoro, né Rokoff avevano avuto il tempo di opporre la menoma resistenza, tanto quell’assalto era stato fulmineo.
Mentre i giudici si ritiravano per deliberare sulla pena da infliggersi ai due colpevoli, i carcerieri ed i carnefici, aiutati anche dai soldati, strappavano di dosso ai due russi le loro vesti, costringendoli ad indossare una ruvida keu-ku, specie di casacca fornita d’ampie maniche ed un paio di keu-ku, sorta di calzoni molto ampi che formano sul ventre una doppia piega e che usano portare i barcaioli ed i contadini.
Levarono quindi loro gli stivali, surrogandoli invece con le ha-tz, ossia scarpe grosse, a punta quadra e un po’ rialzata, con suola di feltro bianco, poi con pochi colpi di rasoio fecero cadere le loro capigliature, non lasciando coperta che parte della nuca.
Era una trasformazione completa: i due europei erano diventati due cinesi e per di più dell’ultima classe.
Quando quei manigoldi ebbero finito, sollevarono violentemente Fedoro e Rokoff e li cacciarono a forza entro una gabbia di bambù, d’una solidità a tutta prova e così stretta da contenerli a malapena.
Quando Rokoff si sentì libero, mandò un vero ruggito. S’aggrappò alle sbarre e le scosse con furore, mentre dalle sue labbra contratte uscivano urla feroci.
– Banditi! Canaglie! Vi mangerò il cuore! Siamo europei! Aprite o vi uccido tutti!
Erano vani sforzi. I bambù non si piegavano nemmeno, quantunque l’ufficiale, come abbiamo detto, fosse dotato d’una forza più che straordinaria. Fedoro invece, accasciato da quell’ultimo colpo, si era lasciato cadere in fondo alla gabbia girando intorno sguardi inebetiti.
Intanto il cancelliere era rientrato tenendo in mano un cartello su cui si vedevano dipinte delle lettere contornate da geroglifici superbi. Lo mostrò per un momento ai due prigionieri, poi lo appese sotto la gabbia.
Fedoro era diventato orribilmente pallido e si era avventato contro le traverse come se avesse voluto strappare al cancelliere quel cartello che annunciava la loro pena.
Ed infatti aveva potuto leggere:
Condannati a morte perché assassini.
Subito otto uomini avevano alzato la gabbia ed erano entrati in un’altra sala dove se ne vedevano parecchie altre contenenti ciascuna due prigionieri, ma molto più piccole, tanto anzi, che i disgraziati che vi erano rinchiusi non potevano fare il più piccolo movimento senza mandare urla spaventose.
– Fedoro – disse Rokoff, che aveva gli occhi schizzanti dalle orbite. – È finita, è vero?
– Sì, se non interviene l’ambasciatore russo.
– E oseranno ucciderci?
– Come cinesi.
– Perché ci hanno vestiti così?
– Onde nessuno possa sospettare che noi siamo europei.
– E come ci faranno morire?
– Non so… ma ho paura e sento che divento pazzo!…
I CONDANNATI
L’Inquisizione di Spagna ha avuto nei cinesi i suoi maestri. Questo popolo, che da duemila anni si è, per così dire, cristallizato, senza fare un passo nella via della civiltà, fra le molte cose ha conservato anche oggidì i suoi supplizi.
Come torturavano venti secoli or sono, i giustizieri cinesi martirizzano i disgraziati prigionieri anche ora.
Gli uomini erano così fatti allora: bricconi ve n’erano in quei tempi remoti e ve ne sono ancora: perché cambiare? Ecco il ragionamento della magistratura cinese.
Una, sola tortura è stata abbandonata, la terribile colonna di fuoco, inventata dall’imperatore Chean-Sin per far piacere alla bella Fan-ki, che desiderava vedere contorcersi, sul bronzo ardente, i condannati a morte. Strumento spaventevole, consistente in una colonna di bronzo cava, che si riempiva di carbone finché diventasse tutta rossa, intonacata esternamente di pece e di resina e che i condannati dovevano a forza abbracciare, mediante catene, e rimanervi finché le loro carni fossero completamente consumate. Eccettuata questa, tutti gli strumenti di tortura sono stati conservati.
Per punire coloro che hanno commesso piccoli falli, si servono del bastone. Cinquanta e anche cento legnate, somministrate con una rapidità così prodigiosa che il condannato rischia sovente di morire soffocato, bastano a punire piccoli falli, e anche a rovinare talvolta il dorso al disgraziato che le riceve e che non ha avuto la precauzione di regalare qualche tael agli esecutori.
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