Emilio Salgari - Il Corsaro Nero
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Gli abitanti, svegliati dalle urla della pattuglia ed allarmati dalla presenza di quei formidabili scorridori del mare, cosí temuti in tutte le città spagnole dell’America, si erano alzati e si udivano porte e finestre aprirsi o chiudersi con fracasso, mentre qualche colpo di fucile rimbombava.
La situazione dei fuggiaschi stava per diventare, da un istante all’altro, disperata; quelle grida e quegli spari potevano spargere l’allarme anche nel centro della città e fare accorrere l’intera guarnigione.
– Tuoni!… – esclamava Carmaux, galoppando furiosamente. – Tutte queste grida di oche spaventate finiranno col perderci! Se non troviamo il modo di gettarci nella campagna, finiremo su una forca con una solida corda al collo.
Sempre correndo, erano allora giunti all’estremità d’una viuzza la quale pareva che non avesse nessuno sbocco.
– Capitano! – gridò Carmaux, che si trovava dinanzi. – Noi ci siamo cacciati in una trappola.
– Che cosa vuoi dire? – chiese il Corsaro.
– Che la via è chiusa.
– Non vi è alcun muro da scalare?
– Non vi sono che case alte assai.
– Torniamo, Carmaux. Gl’inseguitori sono ancora lontani e possiamo forse trovare qualche nuova via che ci conduca fuori di città.
Stava per riprendere la corsa, quando disse bruscamente:
– No, Carmaux! Mi è balenata una nuova idea nel cervello. Io credo che con un po’ d’astuzia possiamo fare perdere le nostre tracce.
Egli si era rapidamente diretto verso la casa che chiudeva la estremità di quella viuzza. Era quella una modesta abitazione a due piani, costruita parte in muratura e parte in legno, con una piccola terrazza verso la cima, adorna di vasi e di fiori.
– Carmaux, – disse il Corsaro. – Aprimi questa porta.
– Ci nascondiamo in questa casa?
– Mi sembra il mezzo migliore per fare perdere le nostre tracce ai soldati.
– Benissimo, capitano. Diventeremo proprietari senza pagare un soldo di pigione.
Presa la lunga navaja, introdusse la punta nella fessura della porta e facendo forza fece saltare il chiavistello.
I due filibustieri si affrettarono ad entrare, chiudendo tosto la porta, mentre i soldati passavano all’estremità della viuzza, urlando sempre a squarciagola:
– Fermateli! fermateli!
Brancolando fra l’oscurità, i due filibustieri giunsero ben presto ad una scala che salirono senza esitare, fermandosi solo sul pianerottolo superiore.
– Bisogna vedere dove si va, – disse Carmaux, – e conoscere gli inquilini. Che brutta sorpresa per quei poveri diavoli!
Estrasse un acciarino ed un pezzo di miccia da cannone e l’accese, soffiandovi sopra per ravvivare la fiamma.
– To’!… Vi è una porta aperta, – disse.
– E qualcuno che russa, – aggiunse il Corsaro.
– Buon segno!… Colui che dorme è una persona pacifica.
Il Corsaro intanto aveva aperta la porta procurando di non fare rumore ed era entrato in una stanza ammobiliata modestamente e dove si vedeva un letto che pareva occupato da una persona.
Prese la miccia, accese una candela che aveva scorta su di una vecchia cassa che doveva servire da canterano, poi si avvicinò al letto ed alzò risolutamente la coperta. Un uomo occupava il posto. Era un vecchietto già calvo, rugoso, dalla pelle incartapecorita e color del mattone, con una barbetta da capra e due baffi arruffati. Dormiva cosí saporitamente da non accorgersi che la stanza era stata illuminata.
– Non sarà certamente quest’uomo che ci darà dei fastidi, – disse il Corsaro.
Lo afferrò per un braccio e lo scosse ruvidamente, però dapprima senza successo.
– Bisognerà sparargli una trombonata in un orecchio – disse Carmaux.
Alla terza scossa però, piú vigorosa delle altre, il vecchio si decise ad aprire gli occhi. Scorgendo quei due uomini armati, si alzò rapidamente a sedere, sgranando due occhi spaventati ed esclamando con voce strozzata dal terrore:
– Sono morto!
– Ehi, amico! C’è del tempo a morire, – disse Carmaux. – Mi sembra anzi che ora siate piú vivo di prima.
– Chi siete? – chiese il Corsaro.
– Un povero uomo che non ha mai fatto male a nessuno – rispose il vecchio, battendo i denti.
– Noi non abbiamo intenzione di farvi del male, se risponderete a quanto vorremo sapere.
– Vostra eccellenza non è dunque un ladro?…
– Sono un filibustiere della Tortue.
– Un fili… bu… stiere!… Allora… sono… morto!…
– Vi ho detto che non vi si farà nulla di male.
– Cosa volete adunque da un povero uomo come me?
– Sapere innanzi tutto se siete solo in questa casa.
– Sono solo, signore.
– Chi abita in questi dintorni?
– Dei bravi borghesi.
– Che cosa fate voi?
– Sono un povero uomo.
– Sí, un povero uomo che possiede una casa, mentre io non ho nemmeno un letto, – disse Carmaux. – Ah!… vecchia volpe, tu hai paura per i tuoi denari!…
– Non ho denari, eccellenza.
Carmaux scoppiò in una risata.
– Un filibustiere che diventa eccellenza!… Ma quest’uomo è il piú allegro compare che io abbia mai incontrato.
Il vecchio lo sbirciò di traverso, però si guardò bene dal mostrarsi offeso.
– Alle corte, – disse il Corsaro, con un tono minaccioso. – Che cosa fate voi a Maracaybo?
– Sono un povero notaio, signore.
– Sta bene: sappi intanto che noi prendiamo alloggio nella tua casa, finché giungerà l’occasione di andarcene. Noi non ti faremo male alcuno; bada però che se ci tradisci, la tua testa lascierà il tuo collo. Mi hai compreso?
– Ma che cosa volete da me? – piagnucolò il disgraziato.
– Nulla per ora. Indossa le tue vesti e non mandare un grido o metteremo in esecuzione la minaccia.
Il notaio si affrettò ad obbedire; era però cosí spaventato e tremava tanto, che Carmaux fu costretto ad aiutarlo.
– Ora legherai quest’uomo, – disse il Corsaro. – Stà attento che non fugga.
– Rispondo di lui come di me stesso, capitano. Lo legherò cosí bene che non potrà fare il piú piccolo movimento.
Mentre il filibustiere riduceva all’impotenza il vecchio, il Corsaro aveva aperta la finestra che guardava sulla viuzza, per vedere che cosa succedeva al di fuori.
Pareva che le pattuglie si fossero ormai allontanate, non udendosi piú le loro grida; però delle persone, svegliate da quegli allarmi, si vedevano alle finestre delle case vicine e si udivano chiacchierare ad alta voce.
– Avete udito? – gridava un omaccione che mostrava un lungo archibugio. – Pare che i filibustieri abbiano tentato un colpo sulla città.
– È impossibile, – risposero alcune voci.
– Ho udito i soldati a gridare.
– Sono stati messi in fuga?
– Lo credo poiché non si ode piú nulla.
– Una bella audacia!… Entrare in città con tanti soldati che vi sono qui!…
– Volevano certamente salvare il Corsaro Rosso.
– Ed invece lo hanno trovato appiccato.
– Che brutta sorpresa per quei ladroni!…
– Speriamo che i soldati ne prendano degli altri da appiccare – disse l’uomo dell’archibugio. – Del legno ce n’è ancora per rizzare delle forche. Buona notte, amici!… A domani!…
– Sí, – mormorò il Corsaro. – Del legno ve n’è ancora, ma sulle nostre navi vi sono ancora tante palle da distruggere Maracaybo. Un giorno avrete mie nuove.
Rinchiuse prudentemente la finestra e tornò nella stanza del notaio.
Carmaux intanto aveva frugata tutta la casa ed aveva fatto man bassa sulla dispensa. Il brav’uomo si era ricordato che la sera innanzi non aveva avuto tempo di cenare, ed avendo trovato un volatile ed un bel pesce arrostito che forse il povero notaio s’era serbato per la colazione, si era affrettato a mettere l’uno e l’altro a disposizione del capitano.
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