Emilio Salgari - Il Corsaro Nero
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I sette uomini lottavano con furore, ma in silenzio, essendo tutti assorti nel parare e vibrare colpi. S’avanzavano, indietreggiavano, balzavano ora a destra ed ora a manca, percuotendo forte i ferri.
Ad un tratto il Corsaro, vedendo uno dei tre avversari perdere l’equilibrio e fare un passo falso, scoprendo per un istante il petto, si allungò con una mossa fulminea.
La lama toccò e l’uomo cadde senza mandare un gemito.
– E uno, – disse il Corsaro, rivolgendosi agli altri. – Fra poco avrò la vostra pelle!
I due baschi, per nulla intimoriti, stettero fermi dinanzi a lui, senza fare un passo indietro; d’improvviso però il piú agile gli si precipitò addosso curvandosi verso terra e spingendo dinanzi il serapé che gli riparava il braccio, come se volesse portare il colpo della parte baja, che se riesce squarcia il ventre, ma poi si rialzò e scartandosi bruscamente tentò di vibrare la botta mortale, il desjarretazo.
Il Corsaro fu lesto a gettarsi da un lato e partí a fondo, però la sua lama s’imbarazzò nel serapé del valiente.
Tentò di rimettersi in guardia per parare i colpi che gli vibrava l’altro basco e quasi subito mandò un grido di rabbia.
La lama era stata spezzata a metà dal braccio dell’uomo che stava per vibrargli il desjarretazo.
Balzò indietro agitando il pezzo di spada, e urlando:
– A me, Carmaux!…
Il filibustiere che non era ancora riuscito a sbrigarsi dei suoi due avversari, quantunque li avesse costretti a indietreggiare fino all’angolo della via, in tre salti gli fu presso.
– Per mille pescicani!… – tuonò, – eccoci in un bell’impiccio!…Saremo bravi se riusciremo a levarci d’attorno questa muta di cani arrabbiati.
– Teniamo la vita di due di quei bricconi, – rispose il Corsaro, armando precipitosamente la pistola che teneva alla cintola.
Stava per far fuoco sul piú vicino, quando vide precipitarsi addosso ai quattro baschi, che si erano radunati, credendosi ormai certi della vittoria, un’ombra gigantesca. Quell’uomo, giunto in cosí buon punto, teneva in mano un grosso randello.
– Moko!… – esclamarono il Corsaro e Carmaux.
Il negro invece di rispondere alzò il bastone e si mise a tempestare gli avversari con tale furia, che quei disgraziati in un baleno furono tutti a terra, chi colla testa rotta e chi colle costole sfondate.
– Grazie compare!… – gridò Carmaux. – Mille fulmini!… che grandinata!…
– Fuggiamo, – disse il Corsaro. – Qui piú nulla abbiamo da fare.
Alcuni abitanti, svegliati dalle grida dei feriti, cominciavano ad aprire le finestre per vedere di che cosa si trattava.
I due filibustieri ed il negro, sbarazzatisi dei cinque assalitori, svoltarono precipitosamente l’angolo della via.
– Dove hai lasciato il cadavere? – chiese il Corsaro all’africano.
– È già fuori della città – rispose il negro.
– Grazie del tuo soccorso.
– Avevo pensato che il mio intervento poteva esservi utile e mi sono affrettato a ritornare.
– Vi è nessuno all’estremità del borgo?
– Non ho veduto alcuno.
– Allora affrettiamoci a battere in ritirata, prima che giungano altri avversari, – disse il Corsaro.
Stavano per mettersi in marcia, quando Carmaux, che s’era spinto innanzi per perlustrare una via laterale, tornò rapidamente indietro, dicendo:
– Capitano, sta per giungere una pattuglia!…
– Da dove?
– Da quella viuzza.
– Ne prenderemo un’altra. Le armi in mano, miei prodi, e avanti!…
Va’ a disarmare il biscaglino che ho ucciso; in mancanza di altro è buona anche una navaja.
– Col vostro permesso v’offro la mia sciabola, capitano; io so adoperare quei lunghi coltelli.
Il bravo marinaio porse al Corsaro la propria sciabola, poi tornò indietro e andò a raccogliere la navaja di uno dei biscaglini, arma formidabile anche in mano sua.
Il drappello s’avvicinava a grandi passi. Forse aveva udito le grida dei combattenti ed il cozzare delle armi e s’affrettava ad accorrere.
I filibustieri, preceduti da Moko, si misero a correre tenendosi presso i muri delle case; percorsi circa centocinquanta passi, udirono il passo cadenzato di un altra pattuglia.
– Tuoni! – esclamò Carmaux. – Stiamo per essere presi in mezzo.
Il Corsaro Nero s’era arrestato, impugnando la corta sciabola del filibustiere.
– Che siamo stati traditi?… – mormorò.
– Capitano, – disse l’africano. – Vedo otto uomini armati di alabarde e di moschettoni avanzarsi verso di noi.
– Amici, – disse il Corsaro, – qui si tratta di vendere cara la vita.
– Comandate che cosa si deve fare e noi siamo pronti – risposero il filibustiere ed il negro, con voce decisa.
– Moko!
– Padrone!
– Affido a te l’incarico di portare a bordo il cadavere di mio fratello. Sei capace di farlo? Troverai la nostra scialuppa sulla spiaggia e ti porrai in salvo con Wan Stiller.
– Sí, padrone.
– Noi faremo il possibile per sbarazzarci dei nostri avversari, ma se dovessimo venire sopraffatti, Morgan sa cosa dovrà fare. Va’, porta il cadavere a bordo, poi verrai qui a vedere se siamo ancora vivi o morti.
– Non so decidermi a lasciarvi, padrone; io sono forte e posso esservi di molta utilità.
– Mi preme che mio fratello sia sepolto in mare come il Corsaro Verde e poi tu puoi renderci maggiori servigi recandoti a bordo della mia Folgore, che qui.
– Ritornerò con dei rinforzi, signore.
– Morgan verrà, sono certo di questo. Vattene: ecco la pattuglia.
Il negro non se lo fece ripetere due volte. Essendo però la via sbarrata dalle due pattuglie, si cacciò in una via laterale mettendo capo ad una muraglia che serviva di riparo ad un giardino.
Il Corsaro, vistolo scomparire, si volse verso il filibustiere, dicendo:
– Prepariamoci a piombare sulla pattuglia che ci sta dinanzi. Se riusciamo con un improvviso attacco ad aprirci il passo, forse potremo guadagnare la campagna e poi la foresta.
Si trovavano allora sull’angolo della via. La seconda pattuglia, già scorta dal negro, non era lontana piú di trenta passi, mentre la prima non si scorgeva ancora, essendosi forse arrestata.
– Teniamoci pronti, – disse il Corsaro.
– Lo sono, – disse il filibustiere, che s’era nascosto dietro l’angolo della casa.
Gli otto alabardieri avevano rallentato il passo come se temessero qualche sorpresa, anzi uno di loro, forse il comandante, aveva detto:
– Adagio, giovanotti! Quei bricconi devono trovarsi poco lontano di certo.
– Siamo in otto, signor Elvaez, – disse un soldato, – mentre il taverniere ci ha detto che i filibustieri erano solamente tre.
– Ah! Furfante d’un oste! – mormorò Carmaux. – Ci ha traditi! Se mi capita fra le mani gli farò un occhiello nel ventre, e cosí grande da fargli uscire tutto il vino che avrà bevuto in una settimana!
Il Corsaro Nero aveva alzato la sciabola pronto a scagliarsi.
– Avanti!… – urlò.
I due filibustieri si rovesciarono con impeto irresistibile addosso alla pattuglia che stava per svoltare l’angolo della via, vibrando colpi disperati a destra ed a manca, con rapidità fulminea.
Gli alabardieri, sorpresi da quell’improvviso attacco, non poterono resistere e si gettarono chi da una parte e chi dall’altra, per sottrarsi a quella gragnuola di colpi. Quando si furono rimessi dallo stupore, il Corsaro ed il suo compagno erano già lontani. Accortisi però che avevano avuto da fare con due soli uomini, si slanciarono sulle loro tracce, urlando a squarciagola:
– Fermateli! I filibustieri! I filibustieri!…
Il Corsaro e Carmaux correvano alla disperata, senza però sapere dove andassero. Si erano cacciati in mezzo ad un dedalo di viuzze e voltavano ad ogni istante angoli di case senza però riuscire a guadagnare la campagna.
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