Carlo Botta - Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo III
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- Название:Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo III
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Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo III: краткое содержание, описание и аннотация
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Pubblicavansi frequenti scritti, parte serj, parte faceti, parte schernevoli sul lione di San Marco, sui piombi di Venezia, sugl'inquisitori di stato, sulla tirannide d'Ottolini, sull'aristocrazia, sull'oligarchia, e simili altre parole greche; strana occupazione di menti del condannare in altri ciò che era in se, perchè dei piombi, e degl'inquisitori si può domandare, che altra cosa fossero i ministri di polizia del direttorio e di Buonaparte, se non inquisitori di stato, e se non abbiano fatto arrestare, e tener prigione senza processo più gente in quindici anni, che gl'inquisitori di Venezia in tre secoli. Si può anche domandare, se i castelli di Vincenna, di Ham, e di Pietra Castello non fossero piombi, e se il comandante di Milano non esercitasse maggior tirannide contro coloro che non amavano lo stato nuovo, che Ottolini contro quei che non amavano il vecchio. Quanto all'aristocrazia ed all'oligarchia, gli uomini dritti, e che non si lascian prendere alle grida, sapranno ben essi con qual nome chiamare uno stato, come quello era di queste estemporanee repubbliche Italiane, in cui un comandante militare comandava a pochi gridatori di libertà, questi pochi molestavano con ischerni, con tasse, con prigionie, e con esilj l'universale dei popoli. Io temo che da tutto questo chi mi legge creda, ch'io non sia amico della libertà; ma queste cose io dico appunto, perchè sono; imperciocchè il peggior male che si sia fatto alla libertà, è l'aver chiamato col suo nome la tirannide. Trovomi in questo concorde col generoso Parini: ed ancor io , diceva egli, amo la libertà, ma non la libertà fescennina .
Intanto i novatori, non essendo senza sospetto sugli abitatori delle campagne, mandavano uomini fidati a predicare la libertà, rizzavano alberi, creavano municipali, gridavano contro l'aristocrazia: i popoli aombravano, non sapendo che cosa queste strane fogge si volessero significare. Non si muovevano in favor dello stato nuovo, perchè non l'intendevano, e non vedevano qual bene avesse in se: neppur si muovevano in favor del vecchio, perchè il caso improvviso di Bergamo gli aveva fatti attoniti e temevano i Francesi che vi erano mescolati. Arrivavano poscia Cispadani, Transpadani, Polacchi, ogni sorte di patriotti, e facevano un predicare, uno scrivere, un festeggiare incredibile.
Quivi non si rimanevano le disgrazie della repubblica veneziana. Rivoltato Bergamo, volevano far mutazione in Brescia per vieppiù stabilire nella divozione altrui quelle provincie. Non aveva omesso Ottolini, quando ancora era in ufficio, d'informare il provveditore straordinario Battaglia della trama che si macchinava contro di questa città e gli aveva mandato il nome dei congiurati, dei quali non si era punto ingannato, consigliandolo ad aspettare che tutti fossero uniti, il che doveva accadere, secondo gli avvisi di Landrieux, il ventuno del mese, e ad arrestargli, e ad uccidergli. Inoltre il rappresentante Veneto a Milano Vincenti scriveva continuamente al provveditore straordinario, stesse avvertito, perchè la congiura era vicina ad aver effetto; si armasse, non si fidasse del comandante Francese del castello di Brescia, perchè s'intendeva coi congiurati. Tutte queste cose turbavano l'animo del provveditore, e lo tenevano sospeso, perchè l'uccidere i congiurati non gli pareva sicuro in tanta contaminazione di spiriti, massimamente pensando ch'essi appartenevano alle più principali famiglie di Brescia. Da un'altra parte il far venire soldati da Verona gli pareva dar troppo sospetto, temendo dei Francesi; nè anco quei soldati potevano esser molti. Ristringeva in Brescia le squadre di cavallerìa sparse nel contado; ma erano poche genti. Chiamava a se i Lecchi, i Gambara, i Fenaroli, e gli altri amatori di novità, e gli accarezzava, ma senza frutto. Non sapeva a qual partito appigliarsi; le artiglierìe in mano dei Francesi; il castello poteva fulminare la città. Scriveva Battaglia a Buonaparte, col quale aveva qualche entratura d'amicizia, macchinarsi in Brescia contro lo stato da gente scellerata sotto nome di protezione Francese; e stantechè tutte le artiglierìe Venete erano in poter suo, richiederlo, che lo accomodasse di sei od otto, perchè si potesse difendere: richiederlo, oltre a ciò, vietasse ai soldati Lombardi il passo per la città, frenasse chi si vantava della protezione di Francia. Dei cannoni nulla rispondeva Buonaparte; dei Lombardi e del frenare rescriveva, non doversi perseguitar gli uomini in grazia delle loro opinioni, non esser delitto se uno inclinava più ai Francesi che ai Tedeschi, come se in questo caso si trattasse tra Francesi e Tedeschi, e non tra ribelli ed uno stato al quale egli aveva tolto i mezzi di difesa: e come se ancora si trattasse di opinioni e non di fatti, e di congiure contro lo stato. Desiderava finalmente di veder il provveditore. Accrescevano il pericolo ed il terrore la rivoluzione di Bergamo. Le cose si avvicinavano all'estremo fine.
Ecco la sera dei diciasette marzo arrivare improvvisamente le novelle, essere giunti a Cocaglio circa sessanta ufficiali Francesi condotti da un Antonio Nicolini, Bresciano, ajutante di Kilmaine, ed impedire il passo ad una squadra di cavallerìa, che da Brescia mandava il provveditore a Chiari. S'aggiungevano poco stante altri perturbatori, perchè una massa di circa cinquecento tra Lombardi e Bergamaschi, guidati da capi Francesi, si erano congiunti coi primi, ed armati con due cannoni, certamente avuti dai Francesi, perciocchè portavano lo stemma imperiale d'Austria, viaggiavano verso Brescia. La mattina dei diciotto già erano vicini: il comandante di Francia faceva in questo punto aprir le cannoniere del castello, che miravano al palazzo. Dei congiurati, quasi tutti nobili, chi si era ritirato in castello, chi andato all'incontro dei Lombardi, e chi sparso in varj luoghi eccitava il popolo a ribellarsi. Voleva Mocenigo podestà, che si armassero i soldati della repubblica, e con la forza si resistesse ai ribelli; Battaglia titubava per paura dei Francesi, dei nobili, e di tutto: certo, il minor male che si possa dire di lui, è, che ebbe paura: ma forse l'amicizia che aveva con Buonaparte nocque alla repubblica. Mandava due uffiziali ai ribelli per udire quello, che si volessero. Rispondevano, Lecchi il primo, volere per amore o per forza liberare il popolo Bresciano dalla tirannide Veneta, aspettare in ajuto loro diecimila soldati, e molti Francesi: badasse bene il provveditore a quello che si facesse, perchè se resistesse, andrebbe Brescia a fuoco ed a sangue. A questo suono Battaglia, non so se mi debba dire intimorito, o peggio, raccoglieva tutti i suoi soldati nei quartieri, e dava ordine che non resistessero; licenziava al tempo stesso le guardie del palazzo, e si metteva in tutto a discrezione di coloro che volevano spegnere il dominio di quel principe, che aveva in lui collocato tanta fede. Mocenigo, veduto la terra abbandonata da quello che poteva più di lui, si fuggiva. Intanto il popolo stimolato dai congiurati, e già essendosi avvicinati alle mura i novatori di fuori, tumultuava, gridando libertà. Accresceva l'impeto l'apparire di un Pisani, stato molto tempo nei piombi: le grida contro i Veneziani tiranni montavano al cielo. Sottomessi gli amatori dell'antica repubblica dal popolo tumultuante, dalla gente armata che veniva di fuori, dalla connivenza manifesta dei repubblicani di Francia, dall'attitudine minacciosa del castello pronto a fulminare, poche, chiuse, ed ordinate a non resistere le soldatesche Veneziane, fu in poco d'ora Brescia ridotta in potestà dei novatori. Cercavano Mocenigo per maltrattarlo; ma non fu trovato. Arrestavano Battaglia, e per poco stette che non Io uccidessero. Lo serravano poscia in castello, dove era custodito da soldati Francesi, opera certamente meritevole di ogni riprensione; perchè se era brutta cosa il secondare la ribellione, bene era peggiore il farsi complice dei ribelli col tener carcerato un magistrato principalissimo di una repubblica, alla quale la Francia continuava a protestare amicizia.
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