Massimo Azeglio - Ettore Fieramosca - ossia, La disfida di Barletta
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Ettore ed Inigo doveano passar davanti all'uscio suo per andare dai Colonna: lo trovarono appunto fermo che dava ordine a certi suoi cavalli, e colla spada scinta, avvolta la cintura all'elsa accennava ai famigli ed ai ragazzi di stalla, facendosi intendere colla minore spesa di fiato che fosse possibile. Fieramosca l'invitò seco per ordinare tal faccenda, che, espressa con parole caldissime, fu ascoltata da Brancaleone senza scomporsi, nè mutar viso. Disse solo brevemente avviandosi cogli altri due:
– La prova fa credere i ciechi. Quattro stoccate a modo mio e poi ci riparleremo. —
E questa fiducia non era braveria: chè più volte già s'era trovato chiuso in campo franco, e sempre n'era uscito ad onore.
CAPITOLO QUARTO.
–
Le ingiuriose parole di La Motta e la disfida che n'era stata la conseguenza, corsa in presenza di più di venti persone, non poteva esser rimasta segreta, e n'era oramai sparsa la fama per tutto l'esercito e per la città. Inigo, coi due Italiani, presentandosi alla casa di Prospero Colonna, trovarono che quivi non era altro discorso; e già cominciava a comparire il fiore della gioventù italiana, che a lui concorreva come a suo capo, per intendere in che modo s'avessero a governare. Vennero ad uno ad uno tutti quelli che avea nominati Fieramosca, e molti altri; sicchè in breve spazio di tempo furono una cinquantina. Le parole erano molte e grandi, ed ognuno mostrava negli atti e nel volto quanto gli cuocesse l'ingiuria ricevuta. Parecchi fra gli Spagnuoli che la sera innanzi s'eran trovati a cena, e che avean fatto motto ai loro amici italiani, si erano qui condotti, e si mescolavano fra loro ripetendo or questa or quella delle parole tanto d'Inigo quanto dei prigionieri, e facendo osservazioni, proponendo partiti, o citando esempj, attizzavano un fuoco che già troppo bene ardeva per sè medesimo.
Questa brigata stava, parte per la soglia del portone e dispersa nel cortile, parte in una sala terrena, ove i fratelli Colonna solevano dar retta ai loro uomini quando bisognava, e sbrigare gli affari della compagnia. Vi splendeano appese al muro le loro armature messe d'oro molto riccamente, con finissimi intagli, forbite e lustranti come specchi. Si guardava in questo luogo la bandiera della compagnia sulla quale era ricamata la colonna in campo rosso, col motto Columna flecti nescio , la quale pure si vedeva dipinta sugli scudi, che coll'altr'arme disposte convenevolmente all'intorno occupavano quasi tutte le pareti. In fondo due cavalletti grossi di legno sostenevano l'intere armature de' cavalli con loro selle e gualdrappe di bel velluto cremesi, fregiate dell'impresa di loro casato, e le ricche briglie tutte ornate di ricami d'oro, degne di tanto onorati signori.
Sei falconi incappellati e legati ad una catenella d'argento eran posati sopra una stanga in traverso ad una finestra, con un monte di attrezzi da caccia, della quale era frequente l'uso fra la nobiltà, e si teneva proprio spasso dei signori e de' gentiluomini.
Dopo alcuni momenti comparve sulla porta il signor Prospero Colonna, al quale ognuno fece luogo e riverenza; ed egli venuto avanti e salutando con nobil contegno, s'adagiò sopra un seggiolone di cuojo rosso a bracciuoli, in capo ad una tavola che era nel mezzo, dove tenea lo scrittojo, ed accennò cortesemente a ciascuno di sedere.
Era vestito d'una cappa di sciamito nero rabescato, con una grossa catena d'oro al collo, dalla quale pendeva sul petto un medaglione dell'istesso metallo, lavorato sottilmente a cesello. Portava una daghetta in cintura d'acciajo nero martellato; ed in questo schietto vestire, la sua mirabil presenza, il volto d'una tinta pallida ed un po' brunetta, con alta fronte che mostrava esser sede di fortezza e di senno non ordinarj, inspiravan quella riverenza che si tributa più alle doti dell'animo, che ai favori della fortuna e della nascita. Aveva ciglia folte, barbetta alla spagnuola, ed un mover d'occhio tardo e risguardato, che lo dava a conoscere autorevole e potente signore.
L'occasione presente pareva ed era a lui di grandissima importanza, non solo perchè ne andava l'onore dell'armi italiane, ma perchè l'esito di questa fazione, nelle attuali circostanze ove fra due re potenti con incerta fortuna si combatteva, potea produrre gravi conseguenze per lui, per la sua casa e per la parte colonnese. Il vincere una disfida che avrebbe certamente fatto gran romore, dava molta riputazione agli uomini suoi ed alla sua bandiera; perciò, dei capitani spagnuoli e francesi qualunque restasse vittorioso, avrebbe alla conclusione avuto maggior riguardo ad offenderlo e maggior interesse a tenerselo amico.
A tutti è noto inoltre, quanto in terra di Roma fosse ostinato il contrasto fra la parte colonnese ed orsina, che malcondotte entrambe dalla forza e dalle frodi d'Alessandro VI e di Cesare Borgia potevano, o coi soccorsi stranieri o col proprio valore, ajutate da qualche felice occasione, pensare a rifarsi; onde se v'era mai stato tempo da dover tenere l'invito della fortuna ed afferrarla pe' capelli, era questo sicuramente.
Conosceva il sagace condottiere gli spiriti bollenti di Fieramosca, e quanto potesse in lui sete di gloria ed amor di patria: vedeva che da' suoi discorsi erano spesso infiammati gli animi de' compagni a mostrarsi Italiani, e sentì quanto poteva a quest'ora ajutare coll'esempio, e coi detti accendere vieppiù quel divino ardore che rende l'uomo pari alle grandi imprese.
A lui dunque si volse cominciando a parlare: disse già in parte conoscere l'accaduto, ma voler ora udirlo più distesamente, onde si potesse prender subito un partito. Ettore espose il fatto magnificando le parole d'Inigo dette in favore della nazione italiana: quand'ebbe finito, il signor Prospero alzandosi in piedi, parlò così:
– Illustri signori! Se voi non foste quelli che siete, ed io per la compagnia avuta con esso voi in tante battaglie non avessi esperienza dell'alto valor vostro, crederei fosse mestieri rammentarvi, come i nostri avi per le loro virtuose operazioni fecero salir tant'alto la gloria della patria che l'universo ne restò abbagliato; nè poterono le tenebre e le sventure di dieci secoli spegner gli ultimi raggi di tanta luce. Come costoro che d'oltremonti ora vengono a bersi il sangue italiano, e non contenti, aggiungono lo scherno all'offesa, tremavano allora al solo nome romano. Vi direi che tant'oltre è giunta omai questa loro sfacciata insolenza, che dopo d'avere strappato, e con quali arti sallo Iddio, la gloriosa corona che faceva Italia regina dei popoli, ed era stata compra con tanti sudori e tanto sangue, par loro non aver fatto nulla finchè ci vedono una spada in mano ed una corazza sul petto, e vorrebbero torci perfino di poter combattere e morire in salvazione dell'onor nostro. Vi direi: Su dunque: andiamo, corriamo tutti; si piombi su questi ingordi ladroni sprezzatori d'ogni diritto; e ben veggo nei vostri sguardi che le mie parole sarebber tarde a fronte delle spade italiane… Ma invece… l'ufficio di condottiero, duro pur troppo in così grave occasione, mi comanda di porre un freno al vostro valore, e m'è forza il dirvi che tutti non potrete combattere, e converrà concedere a poche spade la gloria della nostra vendetta. Il magnifico Consalvo, dovendo con forze minori sostenere i diritti del re cattolico, non consentirebbe che il sangue de' suoi soldati si spargesse per altre cagioni. Per dieci uomini d'arme otterrò, spero, salvocondotto e campo franco. Senza metter tempo in mezzo, vado, ed ottenuto che l'abbia, ritorno. Intanto ognuno di voi scriva su un foglio un nome: a Consalvo la scelta. Ma prima dovete giurare di stare a quanto verrà da lui stabilito. —
Il discorso fu accolto con un bisbiglio d'approvazione, e tutti giurarono. Furono scritti i nomi e dati al signor Prospero, il quale alzatosi da sedere, venne alla porta, ove due famigli gli tenevano apparecchiata una mula: vi salì, ed accompagnato da que' soli due s'avviò alla rocca.
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