Vittorio Bersezio - La plebe, parte III
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«Lo Stato, appo noi, tutto compenetrato nella Monarchia, che s'appoggia ai privilegi d'una casta ed alla forza del militarismo, ha invaso il campo d'azione delle altre parti del corpo sociale; quindi il malessere, quindi la servitù in cui viviamo…»
– La servitù! esclamò fra sè il marchese a questo punto, interrompendo di nuovo la lettura. Oh come la intendono essi, questi predicatori di democrazia, e che cosa vorrebbero per dirsi liberi? Invader loro le attribuzioni della monarchia e comandare a furore di popolo. La monarchia, stolti che sono, incarna il supremo diritto dello Stato, diritto superiore ad ogni altro, innanzi a cui le loro pretese sono da non curarsi, e se occorra schiacciarsi. L'aristocrazia e il militarismo a cui il trono s'appoggia e si deve appoggiare – e segnerebbe la sentenza di sua rovina il dì che cessasse dal farlo – l'aristocrazia e il militarismo, rappresentano e sono, quella le tradizioni e i sentimenti più nobili del passato su cui si deve regolare la monarchia, questo il freno delle triste e pericolose passioni del presente: costituiscono la forza di uno Stato all'interno ed all'estero. Dissensato od empio chi li volesse distrurre!..
Pronunziò queste parole con calore, levando fieramente la testa, come fa l'uomo valoroso innanzi ad un pericolo o ad una sfida: ma poi tosto, come ravvisatosi, sorrise, si curvò verso il fuoco, lo attizzò sbadatamente colle molle che aveva impugnate, e soggiunse:
– Ve' ch'io mi scaldo sui vaneggiamenti d'un giovinotto senz'esperienza, risultato di mal digeste letture, parodia di Rousseau in piccole proporzioni… Ecco i bei frutti di quell'istruzione che costui vuol data al popolo, ai pari suoi!.. Il primo uso ch'ei ne fanno è di volgere quel poco che hanno imparato contro quella società che glie lo ha fatto o lasciato imparare. Istruite un popolano senza certe precauzioni, ed otterrete di sicuro un sovvertitore dell'ordine pubblico. Lo scrittore di queste pagine, che non si sa chi sia, che nulla forse ha provato del mondo, nulla ha visto, l'ingegno che gli concedette Iddio, poichè lo ha rinforzato con alquanti e chi sa quali studi, impiega tosto a condannare quello che hanno assodato e fatto concreto nel mondo i secoli trascorsi… L'istruzione è un potente e nocivo liquore che va misurato con cura ed a centellini a' figliuoli del popolo: per ciò così provvida e necessaria l'opera dei gesuiti e delle associazioni religiose che da quell'ordine dipendono. Gesuiti, Ignorantelli e soldati hanno da tenere il mondo, chi non vuole la guerra civile in permanenza.
Appoggiò il capo alla palma della sua mano destra così bella ed elegante di forme, da vero aristocratico, e parve riflettere seco stesso sulle ultime parole che aveva pronunziate.
– E costui ha dell'ingegno. Sì; traverso questo suo falso modo di concepire le cose umane, traverso codeste che mi paiono ambizioni del suo pensiero, si scorge una certa potenza d'intelletto… Se la dirigesse al bene!.. Perchè non si potrebbero acquistare ai sani principii anco queste ambizioni della classe infima?.. Forse non è manco vero che questo tale nulla abbia provato del mondo, nulla visto. È nato nella plebe; non ha provato che i mali di quella condizione cui la sua intelligenza, maggiore delle ordinarie di tal classe, gli ha resi più sensibili; non ha visto la questione che da un lato solo. Quando potesse salire più in alto ed esaminare il problema sociale sotto un più vasto rispetto e in modo più regolare, non è egli probabile che vedrebbe e giudicherebbe diversamente? Dove la nostra parte, oltre l'autorità e il possesso del potere, abbia ancora l'intelligenza che ne propugni i principii, sarà di tanto più forte. E queste intelligenze è opportuno arruolarle fra le nostre file da qualunque punto si mostrino, da qualsiasi ceto esse sorgano… Parlerei volentieri all'autore di queste temerità rivoluzionarie così modestamente vestite della forma di pacifici e quasi dottrinali ragionamenti…
Un subito nuovo pensiero gli attraversò il cervello e parve gettarlo in un altro ordine d'idee.
– Ed e' si chiama Maurilio! esclamò levandosi in piedi, come sospinto da una vivace emozione. Maurilio?.. Oh quel nome!
Passeggiò per la stanza a capo chino, le braccia incrociate al petto.
– Anche quell'altro: diss'egli: anche Maurilio Valpetrosa era un novatore, era un liberale, come sogliono essi stessi chiamarsi, un patriota. La prima volta ch'e' venne in Piemonte fu nel 1820 per prepararvi quella sciagurata gazzarra dell'anno di poi, cui battezzarono col nome di rivoluzione. Fu allora che io primamente lo vidi: fu allora ch'egli vide mia sorella Aurora… Fatalità! Fatalità! Egli era bello di forme, avvenente di modi, eloquente nella parola, piacevole per ogni verso. Chi avrebbe detto che sotto quelle leggiadre sembianze s'introduceva nella nostra casa la sciagura, la discordia, quasi il disonore, la necessità dell'omicidio?
Si fermò presso il camino, appoggiò il gomito alla mensola di marmo, e sorresse colla mano la testa in una mossa che abbiamo già visto essergli abituale.
– Ah! mi ricordo di tutto e sempre, come se non fosse avvenuto che da ieri. Santarosa, che era suo complice, lo aveva presentato alle più cospicue famiglie. Dal Pozzo e Dal Borgo lo trattavano col tu e ne parlavano con entusiasmo. Il principe di Carignano lo aveva ricevuto ufficialmente, e dicevasi che lo vedesse in privato quasi tutti i giorni. Egli aveva tratti e maniere che lo facevano degno d'essere accolto nella società più scelta; perfino mio padre, così severo e difficil giudice, non disdegnava sorridere al suo brioso conversare e gli aveva data la mano. E noi fummo così stolti e ciechi da non sospettare nemmeno che Aurora potesse!..
S'interruppe di nuovo, preso da una certa commozione che diede ancora un altro avviamento al corso dei suoi pensieri.
– Povera Aurora!.. Avremmo dovuto vegliar meglio su di te. Così ti avremmo avanzati tanti dolori… e l'immatura morte fors'anco… ed a me il rimorso… Ma fummo incauti dapprima, troppo crudeli – forse – di poi… Oh perchè quell'uomo non era egli della nostra casta?.. Lo sciagurato! Com'ei ci seppe ingannar bene!.. Oh tutti questi rivoluzionarii sono infinti e traditori. Un uomo da nulla, il figliuolo d'uno scrivano osò stare alla pari con noi e rapirci la più preziosa gemma della famiglia… Egli pure aveva ingegno; oh sì, moltissimo ne aveva. Era poeta. Quando parlava della sua utopia d'un'Italia libera dallo straniero, risorta a nuova grandezza, mercè l'unione delle sue varie membra sotto lo scettro di Casa Savoia vi sapeva entrare con tanta efficacia nell'animo che ognuno ne sarebbe rimasto scosso. Io, giovane allora, lo fui; perfino mio padre esitò un momento. Quando quel demonio tentatore gli espose dinanzi il quadro d'un regime rappresentativo in Italia in cui noi potessimo e dovessimo sostenere la parte che tiene con tanto lustro ed effetto l'aristocrazia in Inghilterra, mio padre stesso fu sovraccolto e non isdegnò fermare su tal concetto il suo pensiero. Ma lo spirito pratico e fermo di mio padre non tardò a vedere che l'impiantare il sistema inglese in Italia, con altri costumi, con altre tradizioni, era impossibile, e il crederlo una illusione. Ponendo le mani in quella congiura l'aristocrazia non avrebbe fatto che un marché de dupe ; perchè o la congiura falliva e chi ci aveva da perdere maggiormente erano i nobili compromessi che ci ponevano in repentaglio la loro fama, il nome, la posizione, le ricchezze: o riusciva, e noi non avremmo fatto altro, introducendo forme liberali nel Governo, dando la spinta al sentimento popolare colla guerra allo straniero, che mettere in mano della borghesia procacciante lo strumento per soprammontarci… E molti di noi – troppi – si diedero in preda all'illusione e credettero potere scatenar l'idra e vincere con essa il monarcato assoluto e il dominio straniero, due forze potenti, e quell'idra, quand'anche vittoriosa, dominarla poi!..
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