Salvatore Farina - Due amori

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Nè io so d'averlo mai visto tanto dispettoso; ma, quel che è peggio, egli era sconfortato dei fatti suoi; e chi conosce le vie più riposte per cui si giunge all'umana debolezza, pensi se questa era tortura.

In conclusione egli se n'era stato tutta sera vicino al suo amore, e non gli aveva detto ch'egli era il suo amore; gli si era seduto al fianco, l'avea seguito per due ore come uno spettro, gli aveva parlato all'orecchio, per narrargli i suoi viaggi presso le tribù indiane, e descrivergli i costumi dei Lenguà , dei Pampà e degli Aguite queducayà .

Non so come mi stetti dal ridere, e me ne rattenne lo spettacolo del suo dolore che non era men vivo, sebbene andasse unito al ridicolo.

Se non che richiamandomi alla mente quel giorno, e pensando a quelle puerilità d'anima innamorata, parmi ora che soltanto il riso beffardo dei cinici potrebbe deriderle; e che in un'età in cui si è così presso alla fanciullezza che un palpito affrettato del nostro cuore può rinnovarcene le dolcezze, sia grave torto degli uomini il rifuggirne col rossore sulle guancie.

Però il lettore avveduto farà bene a non sorridere di Raimondo; e s'egli ebbe nella vita un'ora sola in cui gli abbia somigliato, o sia in età di temere altrettanto per lo avvenire, tanto meglio per lui-e farà bene a confortarsene.

XIII

Ogni volta che abbiamo qualche cosa da rimproverare a noi stessi, suole avvenire che al dolore succeda il pentimento, e che questo provochi propositi nuovi; così l'animo di Raimondo andò a poco a poco rasserenandosi; e come ei fu queto, domandò il cielo in testimonio che un'altra volta sarebbe stato più avveduto e più ardimentoso.

Con questo proposito egli ritornò la sera successiva in casa della contessa, ed io credo che non avrebbe fallito alla sua promessa, se la mala stella non ci si fosse posta di mezzo. Clelia non venne.

Il giorno successivo neppure-così l'altro e l'altro ancora.

Immaginate lo spasimo di Raimondo. Del resto il generale continuava ad intervenire colla stessa regolarità, nè mai una volta che mancasse. Ora se la signorina Clelia fosse stata ammalala, il generale non sarebbe venuto-questo era evidente.

Come Raimondo fu venuto a questa conclusione, non andò molto che prese il suo partito. S'egli era stato debole e pauroso con una donna, altrettanto sapeva essere franco con un uomo; però colto un momento in cui il vecchio generale si lisciava in un cantuccio della sala i lunghi mustacchi, gli si accostò risoluto e lo salutò.

Il generale s'inchinò, e continuò a lisciarsi i mustacchi; ma Raimondo tenne duro, e gli domandò notizie della sua salute. Il generale stava benissimo, e continuava a lisciarsi i mustacchi; ma quando s'accorse che il suo interlocutore non aveva in animo di lasciarlo in pace alle sue fantasie, gli domandò tra il sorriso e il cipiglio:

–Il signore mi conosce?

–Ho questa fortuna. Ella è il generale R. Mi fu presentato dalla contessa ed io non l'ho più dimenticato.

–Troppo onore.

–Io sono Raimondo X.

–Ne ho piacere.

–Ella è anche, se non erro, il tutore, o lo zio, o il padre della signorina Clelia?

–Precisamente.

–E la signorina Clelia è ella incomodata?

–Non credo.

–Però da un pezzo non frequenta queste sale…

–Fa i suoi gusti.

Raimondo incominciava a perdere la pazienza; comprese che non vi era mezzo di far chiaccherare quel vecchio orso, e mutò sistema:

–Vorrebbe ella avere la cortesia di darmi qualche notizia più chiara sul conto della signorina Clelia?

Il generale si volse all'improvviso, e guardò in faccia Raimondo. Poi con affettata cortesia:

–E si può sapere a quale scopo ella mi fa questa domanda?

–Io m'interesso molto per la signorina Clelia…

–E con qual diritto ella s'interessa per la mìa creatura? interruppe il generale con asprezza.

–Perchè l'amo, rispose calmo Raimondo.

–L'ama! E in che modo ella l'ama?

–Io non ne conosco che uno.

–Questo è vero; disse il generale mansuefatto dalla sincerità di Raimondo.

Per qualche minuto nissuno dei due fe' motto. Il generale pareva riflettere, e la sua fronte si rischiarava. Fu egli il primo a rompere il silenzio:

–La mia creatura sa essa di questo amore?

–Non lo so, ma credo di no.

–E che venite dunque a contare a me?

–Perdonate? ma se io potessi dirlo ad essa, non lo direi a voi.

–Lo credo.

–Ma io non so come fare a dirglielo.

–Eh! diamine; non glie lo dirò già io per voi. Parlatele.

–Non domando di meglio; ma posto che essa non viene qui…

–È verissimo… posto che essa non viene qui, voi non potete parlarle.

–Se la conduceste qui…

–Vi pare? Essa fa i suoi gusti.

–Ma se la pregaste…

–S'io la pregassi, verrebbe.

–Dunque?..

–Dunque io non la prego. Quest'è chiaro. Dal momento che la mia preghiera distruggerebbe la sua volontà, tanto varrebbe ch'io l'obbligassi.

–Ma allora io non vedo come…

–Ed io meno di voi.

–Converrete che ciò è doloroso.

–Pienamente.

–Vi sarebbe un altro mezzo.

–Sentiamo.

–Ponete che invece di venir essa qui, mi recassi io da lei.

–Bravissimo. È ben trovato.

–Dunque siamo intesi. Voi m'invitate ed io vengo.

–Siamo intesi; v'invito e venite…

–E parlerò colla signorina Clelia.

–Impossibile; il suo appartamento è separato dal mìo…

–Ma in questo caso il mio trovato non serve.

–Anche questo è vero.

–Che mi consigliate di fare?

–Consigliarvi? Vi pare? alla mia età…

–Anche voi avete avuto vent'anni; anche voi avete amato.

–Ho avuto vent'anni, non lo nego; e poichè voi ne sembrate persuaso, confesserò che ho amato anch'io.

–E che fareste al mio posto?

–In verità poichè l'affare è molto serio, vorrei pensarci sopra seriamente.

–Cosicchè tocca a me il pensarci?

–Tocca a voi, cred'io.

–Grazie del consiglio, generale.

–È una bagatella, signor Raimondo.

XIV

Il mio amico s'era posto sulla via delle arditezze; al giorno successivo, dopo che ebbe rimuginalo mille progetti in mente, prese il partito di scrivere a delia.

Ecco la sua lettera.

"Io sono una specie di selvaggio, un essere che sta tra il nuovo e il vecchio mondo, ma che non appartiene a nessuno dei due. Voi dovete ricordarvi di me, perchè so d'avervi raccontato le mie peregrinazioni fra le tribù indiane.

"In quel racconto v'ha un mistero, qualche cosa che non era nei miei viaggi, ma traboccava nel mio cuore e voleva corrermi alle labbra.

"Sappiatelo adunque: io vi amo.

"Non vi offendete di questa confessione e della ruvida franchezza con cui la faccio.

"Non deridete il mio orgoglio. Io ho fatto di tutto per vincere me stesso, per soffocare una passione senza speranza.

"So di non essere avvenente, di non potermi appigliare a nulla per accarezzare l'ambizioso sogno d'essere amato da voi.

"E so pure che l'anima vostra è bella, che il vostro corpo è leggiadro, che l'abisso dei vostri occhi è profondo.

"Tuttavia io vi amo.

"Ho scongiurato con ogni mezzo questa sciagura; ho pianto ed imprecato; ma il mio culto s'è ingrandito ogni giorno nel mio seno, e la stessa lontananza volontariamente impostami, ha ravvivato nel mio pensiero la vostra immagine.

"Una volta posto il piede nell'abisso, vi si è attirati da un fascino misterioso. Ah! voi non sapete quanto l'abisso dei vostri occhi è profondo.

"La mia colpa adunque, se pure io ne ebbi mai una, è quella di avervi veduta- ma anche il non vedervi non era in mie mani.

"Vedervi e non amarvi-guardare il sole e non esserne illuminati. – Impossibile, impossibile.

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