Giuseppe Giacosa - Novelle e paesi valdostani
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Giac non visto udiva il colloquio.
– Che ne dite voi?
– Dateglielo. – È un accidenti che può far la sorte di una casa.
E giù un sacco di elogi.
Giac la sera, tornato dalla tappa, così vestito com'era, colla blouse di tela blu e la frusta in mano, prese Barba Gris in disparte, e senza preamboli gli chiese la mano di soura Gin.
Il grosso uomo gli piantò in faccia gli occhi stralunati, gli strappò di mano la frusta e rispose:
– Questa è la penna con cui vuoi scrivere il contratto? Fila, o te la misuro sulla groppa.
– Non volete? Padrone! E andò a cena, poi a dormire sul fienile. Verso la mezzanotte Gin fu a svegliarlo.
– Vieni con me.
Lo condusse in cucina, lo fece sedere, sturò una bottiglia di Carema, gli sedette accanto, colmò due bicchieri, e levandone uno per toccare gli disse:
– Alle nostre nozze!
Giac diede una crollatina di spalle. – Essa riprese:
– Queste sono due mila e settecento lire che ho raspato in quattro anni di governo. Sono mie. Il padre mi ha detto ogni cosa, bisogna costringerlo, se ti sposo senza il consenso, mi leva dal testamento: è un cane.
– E lei non mi sposi.
– Con questi quattrini, tu gli pianti la concorrenza, comperi quattro cavalli e l'omnibus della Croce Rossa di Ivrea che è da vendere. I quattrini li avrai trovati da una persona che ti protegge. Parti subito. Fra otto giorni piombi qui coll'omnibus verniciato a nuovo: lo chiamerai «l' America » e ci scriverai Concorrenza in giallo che sembri oro. Attacchi tre cavalli, il quarto starà di ricambio, in sei mesi li avrai accoppati ma di qui là nasceranno cose. Farai tappa qui, per dar profitto all'albergo, e mai parole brusche col padre. Siamo intesi? Va.
Giac la guardava versargli addosso dagli occhi asciutti tutto il fuoco della sua giovinezza, sentendo di potersela pigliare solo allungando la mano. In quel discorso, tronco, pensato, furbo, dove non era altra parola che d'affari, vibrava una passione ardente, disposta egualmente a concessioni immediate ed a lunghe pazienze. Ogni parola acquistava dalla voce e dall'accento una doppia portata. Passava per il cervello, un cervello mercantile ordinato e spedito, ma scaturiva diritta dal cuore. Diceva le cose assennate, tradiva i sentimenti scomposti, i termini erano da lettera di traffico, la voce era piena d'impeti e di caldezze peccaminose e gli occhi secondavano la voce, foravano e frugavano, cercando nel volto impassibile del giovane, un assentimento che la facesse trionfare come di una vittoria insperata.
Il danaro era sulla tavola. – Essa seguitava: Un cavallo, lo trovi a Donnas, che è il grigio di Loutrier; ha otto anni; ora è sfiancato, ma lo rifaremo. Loutrier l'ha comprato tre mesi fa dall'Ebreo, ora lo rivende perchè smette il negozio per la morte del figlio; ce n'è un altro da vendere a Verres dal fornaio, quell'alto alto, colle barbette lunghe: per trecento lire te lo buttano dietro; puoi provare se Viano il conducente ti vende la Bella, è ombrosa e scappa, ma nelle tue mani…!
Non si può dire la carezza ammirativa che c'era in quelle parole: nelle tue mani , e per accrescerla, essa ne afferrò una di quelle mani poderose e la serrò vigorosamente in una stretta dove raccolse tutto il fuoco della sua impaziente verginità, e tutta la tenerezza dell'animo.
E il giovane seguitava a guardarla impassibile, già risoluto di accettare, ma inconsciamente persuaso del potere irresistibile che gli derivava dalla sua freddezza.
Gin, ripreso il bicchiere che aveva deposto, lo tese verso di lui.
– Non vuoi toccare?
– Topa – rispose Giac, toccando col movimento del suonatore di piatti – poi bevve d'un fiato e levatosi in piedi intascò lentamente quattrini.
– Bondì soura Gin.
– Quando torni?
– Appena montata la baracca; ma i cavalli che mi ha detto lei non li voglio. A vedermeli comperare farebbero troppi discorsi per la valle; bisogna piombare qui d'un colpo col terremoto dell' America .
– È giusto: comprali dove vuoi; ma fa presto.
– E se me li mangio?
Gin crollò le spalle, sicura. Giac s'avviò seguito dalla ragazza. Sull'uscio, questa gli pose una mano sulla spalla; il giovane si voltò brusco, la levò di peso e tenendola tutta inerte nelle braccia, le stampò sulla bocca un bacio lungo e mordente, finchè Gin guizzatagli di mano come un pesce e piantandosegli in faccia, rasente la persona, irrigidita, gli occhi morenti di languore, gli soffiò sul viso:
– Vuoi?
– Pas de bétise , rispose il giovine, in francese, e via di corsa.
Cominciò dunque la concorrenza. Sul principio l' America scaricava nel cortile del Cannon d'Oro , una zavorra di viaggiatori straccioni dei quali Barba Gris diceva ridendo con Giac: Quanto li paghi? e: Caro rispondeva il vetturino. – I cavalli erano tre bestiaccie grame, scarnate e spellate che giungevano svogliate perfin della stalla e duravano un'ora a gonfiare la cinghiaia soffiando come mantici e tossendo, il muso a terra.
Giac le aveva comprate per la pelle, tanto per sbarcare la stagione morta di primavera e stupire poi la gente e più l'oste colla muta rifornita di fresco, in principio d'estate.
Gli stallieri ne ridevano; Barba Gris, trionfante, badava a vantarli per migliori che non paressero, e lodava Giac d'essersi una buona volta messo da sè, che a servire un padrone c'è da lasciarci le costole. E Giac rispondeva modestamente che lo avevano subillato, che già si pentiva, ma che oramai, finchè duravano le rozze, bisognava tirare il carro, ma una volta crepate…
– Io non ti ripiglio però, me ne duole, ma il tuo posto è preso.
– Pazienza, cercherò altrove, l'ho fatta e la pago.
Con Gin, mai una parola, nè apertamente nè di nascosto: – la ragazza, aveva indovinato il giuoco e lo secondava; solo quando egli sedeva alla tavola degli stallieri, essa dal vano dell'uscio se lo guardava con tenerezza orgogliosa, così giovane e bello, e avveduto e perdurante.
Barba Gris non aveva nemmeno calato i prezzi delle sue corse.
– Lo faccio per te, diceva a Giac, per non rovinarti affatto.
La prima rozza crepò sul principio di giugno, stramazzando morta in cortile, ancora attaccata alla carrozza giunta appena, e l'esercizio seguitò per due settimane trascinandosi al passo delle rimaste. L'oste intanto aveva pubblicato il cartellone colle tariffe estive, affiggendolo a tutti i caffè e gli alberghi del circondario.
Fu il giorno 23 giugno, la vigilia di san Giovanni, che Giac, come già Bruto e papa Sisto, gettò la maschera dell'umiltà e si rivelò imperante. Questa volta era la vera America aurifera e adescatrice, una gabbia alta e snella, lucente come uno specchio, la cassa verde filettata di rosso, le ruote rosse coi filetti verdi sui razzi. E la parola concorrenza trombonata da un cartellone sull'alto dov'era scritta a lettere bianche sul fondo nero, e il nome America , spiccante sullo sportello, nella gloria dei raggi d'oro.
La nuova diligenza si trovò alla stazione all'arrivo dell'ultimo convoglio; l'estate precoce aveva anticipato l'affluenza dei forestieri, un monello improvvisato a fattorino, strillava dallo sportello: Val d'Aosta, si parte subito ; un facchino raccoglieva intorno gli scontrini del bagaglio. Giac a cassetta, stimolava e ratteneva tre cavalloni morelli che empivano i finimenti colla polpa rifatta in quindici giorni di scuderia a razione di fatica. L'omnibus empitosi in un momento partì rumoreggiando a gran chiocchi di frustate larghe che sfogliavano i rami del viale, come grani di tempesta.
Quando sull'albeggiare, dal letto dove vegliava per l'asma cardiaco, Barba Gris sentì irrompere in cortile il vetturone, alla furia composta dei cavalli e al rullo sordo ed eguale delle ruote lo scambiò per una carrozza signorile. Si vestì, scese colla fretta lenta cui era costretto, e trovò la figliuola già affaccendata a servire il caffè ai nuovi arrivati.
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