Pietro Giannone - Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4

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FINE DEL LIBRO DUODECIMO

LIBRO DECIMOTERZO

La morte di Guglielmo I, e l'innalzamento al Trono di Guglielmo II suo figliuolo fece mutar tantosto in tranquillità lo stato delle cose del Regno; poichè l'avvenenza del fanciullo e la sua benignità trasse di modo a se l'amore e la benevolenza di tutti, che ancor quelli, ch'erano stati acerbi nemici del padre, fecero proponimento di essergli fedelissimi, dicendo bastare con la morte del vecchio Re essersi tolto di mezzo l'autor di tutti i mali, nè doversi all'innocente fanciullo imputar la colpa della tirannia del padre. Intanto la Reina Margherita sua madre, fatti convocar tutti i Prelati e Baroni del Regno, lo fece solennemente coronare nel Duomo di Palermo da Romoaldo Arcivescovo di Salerno: alla qual celebrità, oltre i Prelati ed i Baroni, fuvvi innumerabil concorso del Popolo della città, che accompagnollo, finita l'incoronazione, insino al palagio reale con molti segni d'amore e d'allegrezza. E la Reina, la quale per la tenera età del figliuolo, che appena dodici anni compiva e non era atto a governare il Regno, avea di quello presa la cura, volendo, come saggia, accrescere l'amor dei Popoli verso di lui, fece porre in libertà tutti i prigioni, e rivocò dal bando quelli, che v'erano stati mandati dal Re Guglielmo, richiamando Tancredi Conte di Lecce, e togliendo parimente via molte gravezze imposte da lui, scrisse a tutti i Maestri Camerarj della Puglia e Terra di Lavoro, che per l'avvenire non esigessero più quell'insopportabile peso, chiamato redemptionis , che avea ridotte all'ultima disperazione quelle province [55] . Ug. Falcan. . Restituì i Baronaggi a cui erano stati tolti, e ne concedè molti altri di nuovo a diverse persone, donando ancora con larga mano molti beni a varie Chiese.

Ma l'aver ella voluto, contro quel che suo marito avea disposto nel suo testamento, innalzar soverchio Gaito Pietro, e farlo superiore nel Governo a Matteo Notajo, ed all'Eletto di Siracusa, dandogli tutto il Governo nelle mani, cagionò nuovi disturbi nel palazzo reale; poichè gli altri Cortigiani invidiosi della sua grandezza, presa baldanza dalla fanciullezza del Re, e poco stimando il non fermo imperio della donna, cominciarono di nuovo a porre in rivoltura la Casa del Re, consigliere della quale fu Gentile Vescovo d'Agrigento, il quale, resosi carissimo all'arcivescovo di Reggio, cominciò a tender insidie all'Eletto di Siracusa, ed a corrompere insieme Matteo Notajo; e portarono la cosa in tale sconvolgimento, che obbligarono ancora a Gaito Pietro di fuggirsene in Marocco sotto la protezione di quel Re. Ma sedati (dopo varj avvenimenti, che ben a lungo vengon narrati dal Falcando) questi rumori, ed essendo rimaso l'Eletto nel suo luogo, come prima era, giunsero poco da poi in Palermo gli Ambasciadori mandati da Emanuele Imperadore d'Oriente, il quale avendo avuta contezza della morte di Guglielmo, inviò a rinovar la pace col nuovo Re, ed offerirgli per moglie l'unica sua figliuola con l'Imperio in dote: li cui Ambasciadori furon lietamente accolti, e rinovossi di presente la pace; ma il parentato non si potè conchiudere allora per le molte difficoltà, che occorsero nel trattarlo.

Passarono nel secondo anno del Regno di Guglielmo, non meno in Sicilia, che in Puglia alcune turbolenze cagionate, non da forze esteriori, ma dalle discordie di que' del Palazzo, e di alcuni Baroni del Regno, che obbligarono al Gran Cancelliere, ch'era allora Stefano di Parzio, figlio del Conte di Parzio parente della Regina (che lo chiamò di Francia, ed a cui la somma del Governo dopo molti avvenimenti era caduta) di persuadere al Re, che partisse da Palermo, e lo fece andare a Messina, ove più dappresso potesse por quiete alle cose di Puglia. Ma questi moti del Regno, a riguardo di que' maggiori, che si vedeano in Lombardia, ed a petto di ciò, che allora passava tra il Pontefice Alessandro III coll'Imperadore Federico Barbarossa, erano di piccola considerazione, e riputati come di facile componimento: siccome non passò guari, che il tutto fu posto in pace e tranquillità. Erano gli occhi di tutti rivolti all'Imperadore Federico, il quale con grande e poderosa oste era calato in Italia, per far guerra al Pontefice Alessandro, ed a' Romani, i quali avendo voluto combattere senz'ordine alcuno, e con troppa baldanza, furono da Federico posti in rotta, uccidendone, e facendone prigioni grosso numero, essendosi gli altri appena potuto con la fuga salvare entro le mura della loro città. Il Papa e tutto il Popolo si vide in grande afflizione, e l'Imperadore avuta contezza del felice successo, avendo già presa Ancona, e stando in pensiero di passare in Puglia sopra gli Stati del Re Guglielmo, venne prestamente anch'egli col rimanente del suo esercito a Roma [56] . Baron. ad ann. 1167. , ed avendo dato un gagliardo assalto alla porta del Castel S. Angelo, combattè poscia la chiesa di S. Pietro, e non potendola agevolmente prendere vi fece attaccare il fuoco: il perchè smarriti i defensori, la diedero in sua balia, ed Alessandro temendo della furia di lui, abbandonato il palagio di Laterano, si ricovrò nella casa de' Frangipani, e colà si afforzò con tutti i Cardinali entro una torre della Cartolaria.

L'Imperadore nella vegnente domenica fece dal suo Antipapa Guidone da Crema cantar solennemente la messa nella chiesa di S. Pietro, e fece coronarsi colla Corona reale, e 'l lunedì, in cui si celebrò la festa di S. Pietro in Vincula, si fece dal medesimo Antipapa con nobil pompa coronare Imperadore insieme con Beatrice sua moglie.

Il nostro Guglielmo, che seguitando in ciò l'esempio di suo padre continuava con Alessandro la medesima corrispondenza ed unione, tanto che costui non s'offese punto, che Guglielmo si fosse fatto incoronare Re senza sua saputa, come gli altri suoi predecessori avean preteso: avendo inteso l'angustie nelle quali si ritrovava il Papa, e saputo il pensiero di Federico di passare in Puglia sopra i suoi Stati, ritrovandosi, come si è detto in Messina, mandò tosto ad Alessandro due sue galee con molta moneta, acciocchè avesse potuto sopra esse partir di Roma, le quali giunte improvviso al Tevere, consolarono estremamente con la lor venuta Alessandro; il quale non volendo per allora partirsi dalla città, trattenuti seco gli Ambasciadori del Re otto giorni, gli rimandò indietro, rendendo molte grazie al loro Signore di così opportuno soccorso, e diede parte della moneta a' Frangipani, e parte a Pier Leoni, acciocchè con maggior costanza, e valore avesser difesa la città. Ma vedendo poscia, che l'Imperadore tentava di farlo deporre dal Papato, e che i Romani cominciavano a mancargli di fede; vestitosi da peregrino, uscì con pochi de' suoi assistenti di Roma, e si ricovrò a Gaeta, ove essendo prestamente seguito da' Cardinali, ripreso l'abito ponteficale, se n'andò a Benevento.

Ma non passò guari, che Federico fu obbligato tornarsene in Alemagna; perciocchè essendo stato assalito il suo esercito da mortifera pestilenza, fra lo spazio di otto giorni morirono quasi tutti i suoi soldati, e i suoi maggiori Baroni che avea seco, fra' quali furono Federico Duca di Baviera, il Conte di Vastone, Bercardo Conte d'Arlemonte, il Conte di Sesia, Rinaldo Arcivescovo di Colonia con un suo fratello, ed il Vescovo di Verdun; ond'egli con pochi de' suoi arrivò in Alemagna.

Intanto nella Sicilia eran accadute nuove turbolenze, e nuovi tumulti, pure per le medesime cagioni di cortigiani, e degli antichi familiari della Casa del Re, che per non appartenere all'istituto dell'Istoria presente molto volentieri le tralasciamo; tanto più che minutamente furono alla memoria de' posteri tramandate da Ugone Falcando, e modernamente con molta diligenza raccolte da Francesco Capecelatro nella sua Istoria de' Re normanni, e da Agostino Inveges nella sua Istoria di Palermo. Seguì ancora in questi medesimi tempi la famosa congiura fatta da' Siciliani contro il Cancellier Stefano di Parzio, che finalmente l'obbligarono a partirsi da Palermo, e ricovrarsi in Palestina, ove morì, scritta in più luoghi da Pietro di Blois Arcidiacono di Battona, uomo chiarissimo, il quale da Francia passò con lui nell'isola, ed insegnò per un anno lettere al Re Guglielmo, e fu suo Segretario e Consigliere, ed essendo stato eletto Arcivescovo di Napoli per opera de' suoi nemici per allontanarlo con sì fatta cagione dalla Corte, rinunciò il Vescovado. E dimorato per cagion della sua infermità, dopo la partita del Cancelliere, per alcuno spazio in Sicilia, quantunque pregato da Guglielmo a restarvi per sempre, promettendogli di tenerlo in grande stima, perchè avea preso in orrore i costumi de' Siciliani per ciò che aveano fatto al Cancelliere Stefano; non volle a patto alcuno rimanervi. Di lui abbiamo oggi giorno molte sue opere, ed un volume di epistole, e fu uno de' maggiori Letterati, che fiorissero in questo secolo [57] . V. Chioccar. de Archiep. Neap. ann. 1168. P. Tirin. tom. 3 in S. Script. in indice Auct. . Fin qui distese la sua famosa Istoria Ugone Falcando siciliano, il quale avendo cominciato la sua narrazione dalla morte del Re Ruggiero seguita nel principio del 1154, e dandole fine nel presente anno 1170, egli ordì un'erudita istoria di 15 anni, con tanta eleganza, ch'è veramente cosa da recar maraviglia, come in tempi così incolti, egli sì politamente la scrivesse.

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