Edward Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9: краткое содержание, описание и аннотация

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IV. Tutti coloro che tengono la nobile e seducente idea della spiritualità dell'anima deggiono colla guida dell'esperienza confessare l'incomprensibile unione dello spirito e del corpo. Agevol cosa è il concepire che il corpo può stare unito ad uno spirito che ha facoltà intellettuali assai maggiori, od anche possiede queste facoltà nel più alto grado possibile; e l'incarnazion d'un Eone, o d'un Arcangelo, il più perfetto degli spiriti creati, non è nè contraddittoria nè assurda. Nei tempi della libertà religiosa, alla quale pose limiti il Concilio di Nicea, ogni individuo misurava la Divinità di Cristo col regolo indefinito della Scrittura, della ragione, o della tradizione; ma quando s'ebbe fondata la sua Divinità sulle ruine dell'Arianismo, si vide la fede dei Cattolici in riva d'un precipizio, da cui non potea dilungarsi, ove era gran rischio il reggersi, e presso il quale un passo falso dovea sbigottire. Il sublime carattere della lor teologia aggravava ancora i diversi inconvenienti del loro Simbolo. 23Esitavano a pronunciare, che Dio stesso, la seconda persona d'una Trinità, uguale e consustanziale, si fosse manifestato nella carne 24: che un Ente, che riempie l'Universo fosse stato imprigionato nel grembo di Maria; che avessero i giorni, i mesi e gli anni dell'esistenza umana segnato l'epoche della sua eterna durata; che fosse stato l'Onnipossente battuto colle verghe e crocifisso; che la sua Essenza impassibile avesse provato il dolore e le angosce; che quest'Ente, che tutto sa, non fosse scevero da ignoranza; e che il principio della vita e dell'immortalità fosse mancato sul monte Calvario. Sì fatte conseguenze moleste non isbigottivano punto l'inalterabile semplicità di S. Apollinare 25vescovo di Laodicea, e uno dei luminari della Chiesa. Figlio d'un dotto grammatico, era versato in tutte le scienze della Grecia; egli umilmente dedicò al servigio della religione l'eloquenza l'erudizione e la filosofia commessa alle sue opere. Degno amico di S. Atanasio, e degno avversario di Giuliano, lottò coraggiosamente contro gli Ariani e i Politeisti; e comunque affettasse il rigore delle dimostrazioni geometriche, espose ne' suoi commentari il senso letterale e l'allegorico delle Scritture. Le sue cure funeste ridussero ad una forma tecnica un Mistero ch'avea fluttuato lungo tempo nell'onda dell'opinion popolare, e pubblicò per la prima volta queste memorande parole. «Una sola Natura incarnata in Gesù Cristo»; parole che risuonano ancora come un grido di guerra nelle Chiese d'Asia d'Egitto e d'Etiopia. Insegnò che la Divinità s'era unita o mescolata col corpo d'un uomo, e che il Logos o l'eterna Sapienza avea in Gesù tenuto luogo e adempiuto le voci dell'animo umano; ma quasi fosse atterrito esso stesso dalla sua temerità fu inteso mormorar qualche parola di scusa e di spiegazione. Ammise la distinzione antica, che posta aveano i filosofi Greci tra l'anima ragionevole, e l'anima sensitiva dell'uomo; così riservava il Logos per le operazioni intellettuali, ed impiegava il principio umano, subordinato a quello, nelle funzioni meno rilevanti della vita animato. Coi più moderati dei Doceti riveriva Maria, come la madre spirituale, anzi che la madre carnale di Gesù Cristo, il Corpo del quale era venuto dal Cielo impassibile ed incorruttibile, ovveramente era stato assorto e trasformato nell'Essenza di Dio. Il sistema d'Apollinare fu vivamente combattuto dai Teologi d'Asia e di Siria, la cui scuola si gloria dei nomi di S. Basilio, di S. Gregorio e di S. Grisostomo, e arrossisce di quelli di Diodoro, di Teodoro e di Nestorio, ma non si punse la persona, la riputazione, o la dignità del Vescovo di Laodicea; forse i suoi rivali, di cui non lece sospettare che abbiano avuto il difetto della tolleranza, furono ammirati della novità de' suoi argomenti, e temevano la decisione che finalmente sarebbe per pronunciare la Chiesa cattolica. La quale si determinò poscia a favor loro; l'eresia d'Apollinare fu condannata, e le leggi imperiali proscrissero le varie congreghe de' suoi discepoli; ma continuarono i monasteri dell'Egitto a seguirne segretamente le massime, e i suoi nemici provarono l'odio di Teofilo e di S. Cirillo, che si succedettero l'uno all'altro nella sede patriarcale d'Alessandria.

V. La dottrina materiale degli Ebioniti, e i dommi fantastici dei Doceti erano proscritti e dimenticati; quando lo zelo, mostrato dai Cattolici, contro gli errori d'Apollinare, li forzò ad accostarsi in apparenza alla duplice natura di Cerinto. Ma invece di una alleanza momentanea, essi stabilirono, e noi crediamo ancora, l'unione sostanziale indissolubile ed immutabile d'un Dio perfetto con un uom perfetto, della persona seconda della Trinità con un'anima ragionevole ed un corpo umano. L'unità delle due Nature era sul principio del quinto secolo la dottrina dominante della Chiesa. Dalle due parti si confessava non potere le nostre menti, nelle lingue nostre, rappresentare, ed esprimere il modo di tale coesistenza; covava tuttavia una secreta animosità, ma implacabile, contro coloro che più temevano di confondere, e contro gli altri che più temevano di separare, la Divinità e l'Umanità di Gesù Cristo. Una religiosa frenesia da ambe le parti col sentimento dell'avversione ributtava l'errore a cui pendea la parte contraria, creduto il più funesto alla verità, non che alla salute. Uguale era l'inquietudine nelle due parti, uguale l'ardore a sostenere e a propugnare l'unione e la distinzione delle due Nature, e ad inventare formole e simboli di dottrina meno suscettivi di dubitazione o d'equivoco. Inceppati dalla povertà delle idee e del linguaggio, metteano a contribuzione arte e natura per trarne tutte le possibili comparazioni, e ciascuna di queste, usata a rappresentar un Mistero incomparabile, diveniva per la mente loro fonte di nuovo errore. Sotto il microscopio polemico, un atomo prende la statura d'un mostro, e le due Sette erano molto abili ad esagerare le assurde o empie conseguenze che dai principii degli avversari dedur si potevano. Per isfuggire gli uni agli altri, si gittavano in vie oscure e rimote sin a tanto che scoprirono con orrore i terribili fantasmi di Cerinto e d'Apollinare, che custodivano le opposte uscite del labirinto teologico. Non così tosto travedeano la luce ancor dubbia d'una spiegazione che li conduceva all'eresia, essi trepidavano e volgevano subito addietro il passo, precipitando nuovamente nelle tenebre d'un'impenetrabile ortodossia. Per discolparsi dal delitto o dall'accusa d'un orrore riprovevole, veniano spiegando le loro massime fondamentali, ne niegavano le conseguenze, si scusavano delle loro imprudenti proposizioni, e con grido unanime pronunciavano le parole di concordia e di fede. Ma sotto la cenere della controversia stava celata una scintilla quasi impercettibile, dalla quale i pregiudizi e la passione suscitarono in breve una fiamma divoratrice, e le dispute delle Sette d'Oriente, sulle espressioni 26, di cui si valevano ad esporre i lor domini, scossero le fondamenta della Chiesa e dello Stato.

A. D. 412

Sta famoso nella Storia della controversia il nome di Cirillo Alessandrino, e dal suo titolo di Santo si apprende, che col trionfo finirono le sue opinioni e la sua Setta. Educato nella casa dell'Arcivescovo Teofilo, suo zio, avea contratta in questo alunnato ortodosso l'abitudine dello zelo, e l'amore della dominazione, e passati utilmente cinque anni di gioventù nei monasteri della Nitria, vicini alla sua residenza. Sotto la tutela dell'abate Serapione, s'era dato agli studi ecclesiastici con tanto ardore, che lesse in una notte i quattro Evangeli, le Epistole cattoliche, e l'Epistola ai Romani. Detestava Origene, ma svolgeva continuamente gli scritti di S. Clemente, di S. Dionigi, di S. Atanasio, di S. Basilio. Nella teorica, e nella pratica della disputa, la sua fede si rassodava, e si assottigliava l'ingegno; e già cominciava a tessere intorno la sua cella la fina e fragile tela della teologia scolastica, apparecchiando quelle opere d'allegoria e di metafisica, gli avanzi delle quali raccolti in sette verbosi e prolissi tomi in foglio, posano in pace al fianco dei lor rivali 27. S. Cirillo predicava e digiunava nel deserto; ma, giusta il rimprovero fattogli da un suo amico 28, i suoi pensieri stavano sempre fissi sul Mondo, e l'ambizioso eremita non fu che troppo sollecito ad obbedire alla voce di Teofilo, che lo chiamava alla vita fragorosa delle città, e dei Sinodi. Coll'assenso dello zio attese alla predicazione, e presto ottenne il favor popolare. La sua bella figura adornava il pulpito, la sua voce armoniosa rimbombava nella cattedrale. Stavano i suoi amici in un posto, da cui diriger potevano, e assecondare gli applausi della Congregazione 29, e vari scrivani raccoglievano rapidamente i suoi discorsi, i quali per l'effetto, non per la composizione, ponno paragonarsi a quelli degli Oratori d'Atene. Colla morte di Teofilo crebbero, e s'avverarono le speranze del nipote. Era diviso d'opinione il Clero di Alessandria: i soldati e il generale favoreggiavano l'Arcidiacono; ma dal clamore e dalla violenza della moltitudine fu nominato quegli che ella prediligeva, e S. Cirillo salì sulla sede occupata già trentanov'anni prima da S. Atanagio 30.

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