Alessandro Manzoni - Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2
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Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2: краткое содержание, описание и аннотация
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A difesa de' Romantici si levò animoso Giuseppe Mazzini. «Gli uomini che in tutti i loro scritti anelano al perfezionamento dei loro concittadini; che avvampano per quanto di bello e sublime splende su questa terra; che hanno una lagrima per ogni sciagura che affligga la loro patria, un sorriso per ogni gioia che la rallegri; gli uomini a' quali il vero è fine , la natura e il cuore son mezzi ; che trasportano il genio per vie non corrotte dalla imitazione, non guaste dalla servilità de' precetti; che a favole, vuote di senso per noi, sostituiscono una credenza che tragge l'animo a spaziare pei campi dell'infinito; gli uomini che s'aggirano religiosi tra le rovine dell'antica grandezza e dissotterrano a conforto dei nipoti ogni reliquia dei tempi trascorsi; questi uomini non tradiscon la patria; non son vili schiavi delle idee forestiere. Essi vogliono dare all'Italia una letteratura originale, nazionale; una letteratura che non sia un suono di musica fuggitivo, che ti molce l'orecchio, e trapassa; ma una interprete eloquente degli affetti, delle idee, dei bisogni, e del movimento sociale. Ogni secolo modifica potentemente gli uomini e le cose; ogni secolo imprime una direzione particolare all'umano intelletto… I veri Romantici non sono nè boreali, nè scozzesi; sono italiani, come Dante, quando fondava una letteratura, a cui non mancava di Romantico che il nome» 12.
Il Rosmini fin dal maggio del '26 aveva scritto a don Antonio Soini: «Col Manzoni abbiamo parlato di voi. Che bontà di questo sommo poeta! Che affabilità! Che anima sparsa in sul volto tutto e in sulle labbra! Egli lavora nel suo romanzo assiduo. Temo assai della sua prosa; non dubito delle immagini e dei nobili sentimenti: di quello spirito non possono che uscire emule alla natura sublime, questi degni della nostra immensa destinazione. Ma la lingua? Non può crearsela questa lo spirito, alto quanto si voglia; gli bisogna ricorrere per essa alla dotta memoria; e temo che questa non sia stata arricchita per tempo di cotal mercè. Pare però che egli stesso lo senta; e se lo sente, lo studio assiduo, ancorchè un po' tardi, acconcerà forse la trascuranza dell'età prima». L'ab. Giuseppe Manuzzi, richiesto dal P. Antonio Cesari, che cosa pensassero a Firenze de' Promessi Sposi , gli rispose, suonarne «orrevolmente la fama, sì per l'invenzione, sì per la lingua, e sopratutto per la profondissima cognizione del cuore umano». Ma però soggiungeva: «Da alquanti brani ch'io ne lessi, la lingua certamente non è della migliore: anzi, secondo me, poco buona, e peggiore lo stile. Già voi sapete essere il Manzoni un forte campione dei romantici: di che non è da meravigliare se trova lodatori in gran numero. Leggeste voi nulla di suo? che ve ne pare? scrivetemene». Il Cesari gli rispose: «Ho letto i Promessi Sposi del Manzoni; mi ci parve trovare suoi difetti; quanto ad episodi o digressioni, che non s'innestano col fatto (è ciò che tiene il lettore forse a disagio); quanto a lingua, egli ha studiato i nostri maestri, ma i Comici sopratutto. Del resto nella eleganza dello scriver grave e naturale, egli è ancora addietro: ma credo che in poco, si farà grande scrittore. Nel colore, nella forza, nell'espressione tuttavia vale assai: nelle pitturette fiamminghe è maraviglioso; come altresì nel toccare le passioni, gli affetti e movimenti tutti del cuore, fino a' più minuti, mi par gran maestro. Ingegno ha altissimo, acuto e facondo assaissimo. De' suoi Inni il migliore mi sembra quello della Pentecoste : sono però sparsi tutti, qual più, qual meno, di concetti pellegrini, che egli solo era atto a trovare. Risplende poi la sua pietà e religione: e certo quel romanzo è un trionfo della virtù; e farà troppo più frutto, che nessun altro quaresimale». Il Cesari 13poi finiva una sua lettera all'ab. Gaetano Della Casa: «Mi direte degli Sposi del Manzoni e de' difetti che ci noterete; a vedere se ci scontriamo. Ma bellezze grandi!» Che cosa gli rispondesse non so. Giuseppe Pederzani, al quale pure ne aveva domandato, gli replicava: «Del Manzoni ho letto un tomo e mezzo il passato autunno; e più avanti non potetti, perchè chi mel prestò, sel portò poi a Milano, che fu il Rosmini prete. N'ebbi piacer molto, e certo ha tutti que' meriti che voi dite; tranne forse questo solo, che a voi sembra, rispetto alla lingua, avere egli studiato ne' classici più di quel che pare a me; ma io debbo stare al giudizio vostro. Anche mi son paruti troppo lunghi e noiosi quegli episodi: ma qui posso aver torto facilmente: imperciocchè comprendo bene, che in fine formano la materia dell'opera. Forse alla seconda lettura non mi parrà più così. A ogni modo, scritto assai dilettevole e buono».
Un altro pedante de' più arrabbiati, il corcirese Mario Pieri, così discorre de' Promessi Sposi nelle sue Memorie , che son rimaste inedite:
«Firenze, 15 agosto 1827. Ho letto i primi due capitoli (non potei averlo che per pochi momenti) del romanzo di A. Manzoni, del quale non dirò nulla fino a tanto che non l'avrò letto tutto, benchè in quegli stessi capitoli io abbia inciampato in più d'una cosa di cattivo gusto, senza dir dello stile, che mi sembrò così tra il milanese ed il francese. E questi godono fama di grandi scrittori!
«Firenze, 6 ottobre 1827. Leggo i Promessi Sposi , che ora mi stancano colla soverchia prolissità e colle minutissime descrizioni.
«7, domenica. Il viaggio di Renzo (nel romanzo del Manzoni), da Milano a Bergamo, è una bellissima cosa, e quivi stanno bene anche quelle minutezze e particolarità, che ci vengono tanto spesso innanzi fino al fastidio in quel libro. Grande ingegno è il Manzoni, ed è un gran peccato ch'egli voglia farsi il corifeo del falso gusto in Italia! Ho consumato gran parte del giorno (dalle due alle sei) alle Cascine, passeggiando e leggendo i Promessi Sposi . La mattina ho letto una prefazione, che il signor Camillo Ugoni pose alla testa d'una edizione parigina delle poesie del Manzoni, in cui quel letterato bresciano, romantico per la vita, delira, al solito, sui bisogni del nostro secolo, sul dramma storico, sull'arte e sulla natura, sopra una libertà ch'egli chiama Scolastica , ch'egli attribuisce all'Alfieri, e ai seguaci de' classici, e simili follie. Povera letteratura italiana, ecco i tuoi sostegni! Che mai diverrà questo secolo, quando Monti e Pindemonte non saranno più tra di noi!
«Firenze, 22 ottobre 1827. Ho terminato finalmente i Promessi Sposi , libro che, a malgrado del falso gusto, delle lungaggini eccessive, delle troppo minute descrizioni, e simili altre tedescherie, manifesta un grande ingegno nel suo autore, oltre l'animo gentile e gli egregi costumi».
Chi vide e gustò le bellezze de' Promessi Sposi appena che uscirono dal torchio fu Pietro Giordani; e da Firenze, dove allora abitava, andò manifestando agli amici le impressioni ricevute da quella lettura. Il 21 settembre del '27 scriveva a Francesco Testa 14: «Del Manzoni siamo perfettamente d'accordo: eccellente pittore, benchè fiammingo. Egli è ora qui: amabilissima e modestissima persona: riverito e amato da tutti, onorato straordinariamente dalla Corte». E che nel romanzo ci sia del fiammingo, è vero; ma lì dove ha maggiore bellezza, bellezza ineffabile. Il 15 d'ottobre chiedeva a Lazzaro Papi: «È venuto costà [ a Lucca ] il romanzo di Manzoni? Com'è piaciuto?.. Manzoni fu qui molti giorni; ebbe grandi accoglienze da tutti; e straordinario onore dalla Corte. È uomo di molta e amabile modestia, e belle maniere… In Roma ora è proibito di vendere il romanzo di Manzoni, che pur vi entrò con amplissime licenze» 15. Il 22 del mese stesso torna a scrivere al Testa: «Manzoni, amabilissimo per la modestia e la bontà e l'ingegno, dev'esser partito assai contento di Firenze, e più contento della Corte, che l'ha onorato straordinariamente. Del suo libro, poichè volete, vi dirò che mi è piaciuto. Ci vedo un'assai fedele pittura dello Stato di Milano in que' tre anni miserabilissimi 28, 29 e 30. Verità somma e finitissima ne' dialoghi e ne' caratteri. Nobilissimo il carattere del Cardinale: naturalissimi tutti gli altri inferiori: la. stolidezza e la ferocia dei dominatori stranieri efficacemente rappresentata: un modello di religione tollerabile, e anche utile. Cominciano a insorgergli contradittori al solito: ma credo che il libro vincerà e durerà. A me i difetti paion pochi e leggieri: i pregi moltissimi e non piccoli. E poi è il primo romanzo leggibile che sia sorto in Italia: è adatto a molte sorti di lettori: s'insinua nelle menti: vi germoglierà qualche buon pensiero. Eccovi contentato, mio caro: v'ho detto quel che penso; e non per politica, come m'imputano alcuni: e non pensano che uno che non si cura nè del papa nè dei re, non ha cagion di mentire per Manzoni, che biasimato non può mandarmi in galera, nè lodato può farmi cardinale o ciambellaio». Così ne scrive a Giuseppe Bianchetti il 13 decembre: «Il Romanzo di Manzoni mi par bello come lavoro letterario; ma stupenda cosa e divina come aiuto alle menti del popolo. Io credo che farà un gran bene; e i nemici del bene se ne accorgeran tardi. Grande amor del bene, e gran potenza e arte di farlo si vede in quell'ingegno». Di nuovo al Testa il 25 dello stesso mese: «Ho letto più di venti romanzi di Walter; e quanti ancora me ne restano!.. Non mi maraviglio che in tutta Europa piaccia molto il libro di Manzoni; e ne godo. In Italia vorrei che fosse letto a Dan usque ad Nephtali: vorrei che fosse riletto, predicato in tutte le chiese e in tutte le osterie, imparato a memoria. Se lo guardate come libro letterario, ci sarà forse un poco da dire; secondo la varietà de' gusti e delle abitudini. Ma come libro del popolo, come catechismo (elementare; bisognava cominciare dal poco) messo in dramma; mi pare stupendo, divino. Oh lasciatelo lodare: gl'impostori e gli oppressori se ne accorgeranno poi (ma tardi) che profonda testa, che potente leva è, chi ha posto tanta cura in apparir semplice, e quasi minchione: ma minchione a chi? agl'impostori e agli oppressori, che sempre furono e saranno minchionissimi. Oh perchè non ha Italia venti libri simili!» E al Bianchetti l'8 luglio del '31: «Bellissimo e utilissimo il vostro Discorso sui romanzi storici, che io credo si potrebbero far belli, e al nostro popolo proficui; purchè si seguisse la via di Manzoni. Ma chi ha la sua anima? Di tutti gli altri che ho veduti, nessuno mi piacque; anzi mi dispiacquero assai: imitazioni, e ben cattive e torte dello Scott. Invece di scrivere contro tal genere (se pur è vero che scrive) bisognerebbe pregare Manzoni che facesse un secondo lavoro simile; e sarebbe, una vera salute per la povera Italia. Gli altri, che dopo lui hanno guastato e guastano il mestiere, bisognerebbe pregarli a tacersi, e aspettare che sorga un Manzoni secondo» 16.
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