Alessandro Manzoni - Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2

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Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2: краткое содержание, описание и аннотация

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lazzeretto dalla potenza della pittura aggrandito. Quest'ultima espressione annuncia un ingegno che giudica un punto più elevato del solito: e questi sono gl'ingegni a cui deve piacere Manzoni. Era ben piacevole, nei primi giorni in cui l'opinione pareva pendere più al male che al bene, il vedere l'accanimento di certe bestiucce letterarie a trovare i difetti, in quel libro in cui poco innanzi non sapevano cercare che pregi. E per aver trovato in un luogo marmaglia d'erbe , a gridare: vedete che improprietà… con un'aria che inviluppava di disprezzo tutto il libro quant'era. Una donna che, malgrado la presunzione contraria, è forzata a piangere in quella lettura, val bene un articolo. Io confesso d'aver pianto anch'io al terzo tomo: e un giorno dell'anno passato che fummo da Manzoni a Brusuglio e ch'io leggeva quella medesima conversione del tomo secondo, la trepidazione si leggea chiara nel volto di tutti gli udenti e del medesimo autore. Quest'è il caso in cui un autore può senza orgoglio lodare sè stesso. Ma se volete un giudicio d'altro genere, e non meno onorevole: un vecchio, letto il primo tomo, trovava piacere a riportare le cose lette, e narrarle anche a chi le sapea: e prima che il libro uscisse, il legatore (poichè Manzoni si fece legare le copie in casa) il legatore veniva congratulandosi con lui del merito di quell'opera, e gliene ripeteva alcun passo nel suo dialetto, mostrando d'averlo tutto inteso benissimo. I giudizii dei letterati sono ben diversi. Non so se io v'abbia scritto di colui che trovava mirabile soprattutto nel primo tomo la pagina 113 7 7 È la scena nella quale il P. Cristoforo chiede perdono al fratello dell'uomo che odiava cordialmente, e che uccise. A quella scena sublime, taluno de' parenti, «che, per la cinquantesima volta, avrebbe raccontato come il conte Muzio suo padre aveva saputo in quella famosa congiuntura, far stare a dovere il marchese Stanislao, ch'era quel rodomonte che ognun sa, parlò invece delle penitenze e della pazienza mirabile d'un fra Simone, morto molt'anni prima». È un accenno alla vendetta che prese il conte Muzio Pallavicino contro il marchese Stanislao Piasio; tremenda tragedia della quale in Cremona si parlò per gran tempo e ne son piene le sue cronache. ; quasi che in un'opera del Manzoni fosse possibile o lecito prescerre una pagina. Altri trovava da lodare quegli occhi del frate, paragonati a due cavalli bizzarri. Nei quali elogi voi forse, così di lontano, non potrete sentire quanto di velenoso ci sia 8 8 Io, per verità, non ci so vedere tutto il veleno che ci vede il Tommaseo. È gente di corta levatura, che essendo incapace d'abbracciare con uno sguardo solo la bellezza dell'insieme, la gusta ne' brani che la colpiscono maggiormente. . Questi vili, non potendo sfogarsi sull'ingegno, gli mettono a conto e il lungo studio ed il lungo tempo occupato, e la sua stessa virtù». Soggiungeva poi: «Quello che offenderà molti, certamente, è la troppa religione che c'è. Per apprezzar quel lavoro e comprenderlo, conviene aver lungo tempo conversato con l'autore; conoscere le sue idee letterarie e politiche, il suo modo di vedere le cose. Ed ancora non basta: la storia di quel secolo egli l'ha studiata nelle prime fonti, e ne' rivoli più solitarii: tante bellezze che paiono di invenzione sono storiche, sono inspirate dal fatto, ch'è quanto a dire sono doppie bellezze. Così tante sottili allusioni, che racchiudono il germe d'un sistema. E v'ebbe chi trovò migliore il Castello di Trezzo! » Lasciata la Lombardia e tornato nella nativa Dalmazia, il Tommaseo seguita a parlar de' Promessi Sposi nelle sue lettere al Vieusseux. «Da Milano» (così in una del 17 d'agosto) «si scrive che le mille copie del Romanzo son tutte spacciate; che qualcuno ne ride in segreto, che Monti chiacchiera dello stile 9 9 Il Monti però ne scrisse al Manzoni con viva ammirazione. «Papadopoli e Prina» (son sue parole) «mi aveano messo in core la dolce speranza che mi avreste presto consolato d'una vostra desideratissima visita. Deluso di questa lusinga, e temendo che la mia imminente mossa per Roma mi tolga la consolazione di più rivedervi, poichè l'un dì più che l'altro sento avvicinarsi il mio fine, mi presento in iscritto per dirvi che vado ad aspettarvi in cielo, dove ho certa speranza di rivedervi a suo tempo. Intanto prima che il mio don Abbondio m'intuoni il proficiscere , vo' dirvi che ho ricevuto i vostri Sposi Promessi , e di essi dirò quello che già dissi del Carmagnola : vorrei esserne io l'autore. Ho letta la vostra novella, e finitane la lettura, mi son sentito meglio nel core. Sì, mio caro Manzoni; il vostro ingegno è mirabile, e il vostro core è una fontana d'inesauribili affetti, ciò che rende singolare il vostro scrivere e vi pone in un'altezza, cui solo possono aggiungere i pauci quos aequus amavit Jupiter , al modo stesso che pochi possono amarvi e stimarvi come il tutto vostro Monti». ; che i più tacciono; che molti applaudono, purchè però lo si chiami non romanzo, ma storia. Sento che a Padova piacque molto alle donne».

Giacomo Leopardi ritrae al vivo l'opinione pubblica d'allora intorno ai Promessi Sposi , in una lettera che scrisse, da Firenze, il 23 agosto del '27, al libraio milanese Antonio Fortunato Stella: «Del romanzo di Manzoni (del quale io solamente ho sentito leggere alcune pagine) le dirò in confidenza che qui le persone di gusto lo trovano molto inferiore all'aspettazione. Gli altri generalmente lo lodano». Le «persone di gusto», cioè i letterati, erano partigiane, più o meno, de' vecchi pregiudizi della scuola classica, e per conseguenza il Manzoni, che aveva voltato le spalle a questa scuola, dando un avviamento nuovo all'arte, era agli occhi loro uno scrittore fuori di strada. Tutti però si accordavano nel riconoscergli un grande ingegno, ma con questa differenza: per gli arrabbiati era nè più nè meno un Attila della letteratura e dove metteva le mani guastava ogni cosa: i temperati, pur trovando ne' suoi scritti un'infinità di difetti, vi scorgevano però de' tratti di singolare bellezza; tratti che non mancavano di gustare con ammirazione schietta e sentita. È utile e curioso il rievocare il ricordo di questa battaglia tra le «persone di gusto» e gli «altri»; i quali, oggetto, sulle prime, di compassione, anzi di disprezzo, finirono poi col vincere; tanta e così irresistibile fu la forza della verità.

Fin dal novembre del '21 Giuseppe Carpani, uno degli arrabbiati, scriveva all'Acerbi, in quel tempo direttore della Biblioteca Italiana : «Manzoni avrebbe ingegno da fare cose bellissime e originali; battendo la via che batte, non farà che pazzie strampalate, sparse di qualche scintilla di luce, che si perde nelle tenebre del tutto» 10. A Torino, l'ab. Michele Ponza, dal suo Annotatore Piemontese , scagliava questi fulmini: «Io reputo classico tutto ciò che in sè non ammette confusione di genere. Il giardino italiano è classico e l'inglese è romantico; la pianta ed il fabbricato di Torino è classico, quello di Milano romantico; l'abito nero con pantaloni bianchi è romantico, l'abito tutto nero con calzoni corti è classico; la musica di Cimarosa è classica, quella di Rossini romantica; le commedie di Destouches, di Regnard e di Goldoni sono classiche, quelle di Kotzebue e di altri scrittori nordofili, gallofili, stranofili sono romantiche; le tragedie d'Alfieri sono classiche, quelle del Manzoni sono romantiche. Dunque, dove è ordine, armonia, regolarità è classicismo; dove mancano queste condizioni è romanticismo». Giovita Scalvini scriveva: «La poesia romantica fu trovata da Cam figliuolo dì Noè. Ne' quaranta giorni che si trovò nell'arca, egli fece un poema dove descriveva tutto ciò che aveva d'intorno. Unì le idee più disparate, perchè vedeva presso sè l'agnello e il lupo; vedeva fuori i pesci sulle cime dei monti: la sua musica, le strida de' moribondi». E per mettere alla gogna i romantici ideava il dramma: La creazione del mondo e la fine , con questi attori: «Il caos, le stelle, le tenebre, la luce, il diavolo, il serpente. Gli animali di Daniele. Il teschio di Adamo. La cometa che accompagnò i re Magi. Il libro dei sette sigilli. Enos. Il cavallo della morte. Il bue, l'asino, il corvo». Scene: «La creazione: una conversazione patetica fra Eva e il serpente. Il diluvio. Un soliloquio del corvo sulla carogna che sta per beccare». Carlo Botta scriveva da Parigi: «Io ho in odio, peggiormente che le serpi, la peste che certi ragazzacci, vili schiavi delle idee forestiere, vanno via via seminando nella letteratura italiana. Io gli chiamo traditori dell'Italia, e veramente sono. Ma ciò procede, parte da superbia, parte da giudizio corrotto; superbia, in servitù di Caledonia e d'Ercinia, giudizio corrotto con impertinenza e sfacciataggine». Gli battè le mani il Giornale Arcadico di Roma: «Sì certo, o Carlo Botta, sfumerà questa infame contaminazione : tempo verrà, nè forse è lontano, che gl'italiani si vergogneranno di tanti romantici vituperii, levati ora alle stelle dai goffi imbrattacarte e ciarlatani di certi giornali: e frutto di questa vergogna sarà il gittare sdegnosamente alle fiamme tutto in un fascio quel bastardume d' inni , di tragedie , di romanzi , di che ora, parte ridono e parte fremono i veri sapienti della nazione» 11.

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