Alessandro Manzoni - Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2

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Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2: краткое содержание, описание и аннотация

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IV

De' tanti giudizi dati da' giornali d'allora intorno a' Promessi Sposi , due levarono un gran rumore: quello della Biblioteca italiana e quello dell' Antologia : ma l'eco di quest'ultimo, scritto da Niccolò Tommaseo 60, si dileguò ben presto; non così l'eco dell'altro, uscito dalla penna di Paride Zaiotti 61, in voce di critico ingegnoso e acuto tra' partigiani della vecchia scuola. Fin dal '24, appunto nella Biblioteca italiana , aveva scritto un lunghissimo articolo intorno all' Adelchi , diviso in due parti 62; ma la Censura austriaca (è proprio il caso di ripetere: Tu quoque, Brute! ) ne corresse e mutilò alcuni brani, con grave dispiacere del critico, che li mandò a leggere manoscritti al Manzoni; il quale, vinto dal tratto cortese, fu forzato a rispondergli e a ringraziarlo 63.

L'incarico di scrivere la rassegna de' Promessi Sposi l'accettò contro voglia: era un libro che non gli andava a sangue; lo riteneva «sotto alcuni rapporti» inferiore alla Sibilla del Varese che, a suo giudizio, «era un romanzo, cosa che non osava dire degli Sposi promessi ». La scrisse finalmente, dopo essersela fatta aspettare un gran pezzo; per concludere: «bello è questo romanzo, ma il Manzoni potea fare anche di più». E si accordò con lui il Tommaseo ripetendo: «dall'ingegno e dall'animo di Manzoni si deve pretender di più» 64. Erano due delle tante «persone di gusto», che «lo trovavano molto inferiore all'aspettazione».

Un bibliofilo romagnolo, Giacomo Manzoni di Lugo, il futuro ministro della Repubblica Romana, inviando al P. Alessandro Checcucci l'articolo dello Zaiotti: Del romanzo in generale e dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni discorsi due , l'accompagnava con questa lettera: «Vi mando il libro dello Zaiotti, di cui vi parlai. E certamente questo vi sarà dono gratissimo, chè due prose di questo genere, così ben condotte, e scritte con pari facondia e modestia forse non le ha l'Italia nostra. Fra le lodi le più smodate che da ogni parte son piovute e piovono sopra il romanzo del Manzoni, fra il grido che lo proclama capo-scuola del Romanzo storico e principe dei romanzieri italiani, levarsi in piedi e pubblicare una censura di 101 pagine, giusta dalla prima all'ultima parola, sempre dignitosa senza iattanza, sempre riverente senza viltà, scriverla con istile che ogni letterato vorrebbe invidiargli, piano, armonioso e variatissimo, e divulgarla, e trovar plauso in Milano, sotto gli occhi del Manzoni, nel teatro delle maggiori sue glorie, è impresa ardua davvero». Il P. Checcucci si affrettò a fare una nuova edizione di «questi due maravigliosi discorsi, sì perchè chi non l'ebbe ancora alle mani potesse ammirarvi la vasta dottrina, la stupenda eloquenza, la profonda erudizione ed il retto giudizio di quell'esimio scrittore; sì perchè i giovani specialmente, usi a muoversi più per affetto che per ragione, nel giudicare delle opere, sebbene d'uomini grandi e giustamente reputati, prendano piuttosto norma dalle regole invariabili dell'arte, che dal prestigio dell'opinione, alcune volte sospetta e ben sovente non buona». Il Checcucci battezzò «quinta» la sua edizione 65, ignorando che l'autore stesso già ne aveva fatta una «sesta» a Venezia 66; nella quale, per bocca del tipografo, manifesta l'intendimento suo: quello di «preservare il cuore e l'ingegno» degli italiani «dalle dannose influenze che recar potevano i grandi esempi di Gualtiero Scott e di Alessandro Manzoni».

Lo Zaiotti, a cui non manca nè erudizione, nè urbanità, nè qualche acuta osservazione particolare, in fondo ammirava il Manzoni, ma come poeta e poeta lirico soprattutto. Fedele alla scuola de' classici, che proscrive in letteratura quanto non ha faccia d'antico, parlò del Manzoni tragico col preconcetto che fosse fuori di strada: «perchè vorrà egli ostinarsi ad esser meno di Sofocle, quando l'Italia gli offre la corona di Pindaro?» Parlò del Manzoni romanziere col convincimento che il romanzo storico sia da rigettarsi; e appunto perchè un grande ingegno si era dato a coltivarlo, gli parve una missione riparatrice flagellare quel nuovo genere senza pietà. A difesa del romanzo storico 67si levò animoso Giuseppe Mazzini; pur confessando (ed era giustizia) che «l'autore dei due discorsi scrivendo a lungo del romanzo d'Alessandro Manzoni, il fece con sì gentile animo e tanto affetto del vero, da insegnare ad ognuno, come la critica debba trattarsi». Nota che lo Zaiotti, «prevalendosi della fama che circonda il caro nome del Manzoni, attribuisce unicamente a vizio del genere il difetto d'interesse e calore ch'ei trova nei Promessi Sposi . Forse il difetto si esagera, e più d'una donna gentile che ha palpitato sui casi dell'ingenua Lucia e impallidito al ritratto dell'Innominato, accusa il giudizio di rigidezza; ma foss'anche vero, che trame? L'ingegno del Manzoni è vastissimo; ma a nessuno è dato balzar fuori, in un genere nuovo, perfetto come Pallade dal capo di Giove. Fors'egli avrebbe dovuto scegliere i suoi e personaggi ideali in una condizione, che ammettesse, se non più amore, modi almeno d'esprimerlo più caldi, e mezzi maggiori d'azione. Fors'anco il fine ch'egli ebbe di rischiarare un oscuro periodo del secolo XVII si svela troppo apertamente ad ogni capitolo, sicchè n'è riuscita piuttosto una storia resa dilettevole da romanzesche avventure innestatevi, che un romanzo fatto utile dall'intreccio d'un quadro storico» 68.

Nell'esaminare l' Adelchi lo Zaiotti ne propose un nuovo disegno, «dove il notabile si è che violando la storia, viensi a provare come la storia sia necessaria a poesia» 69. Anche nell'esaminare i Promessi Sposi suggerì de' mutamenti; questo, tra gli altri: «anche il luogo, in cui l'ottimo frate» [il P. Cristoforo] «viene ricondotto sopra la scena, ne sembra da collocarsi fra quelli che permettevano all'autore di aprire più largamente in suo volo… Era giusto che il tribolato servo del Signore raccogliesse finalmente la palma di quel suo lungo martirio, e felice era stata l'idea del Manzoni di presentarcelo afflitto di peste, e tuttavia occupato a confortare gl'infermi: anche l'aver colà ridotto don Rodrigo, ed uniti così l'oppressore, il difensore e le vittime, era degno di massima lode, perchè dava campo ai più gagliardi contrasti… Ma diremo noi che fosse impossibile il far meglio che raccontarci così in due parole le morti di don Rodrigo e di padre Cristoforo? Il Manzoni, meditando su quella situazione, avrebbe senza dubbio trovato qualche alto concetto, al quale noi non potremmo nè di lontano mai arrivare: tuttavia chi ne vieta di esporre anche un nostro pensiero? Renzo, che ha già rinvenuta la sua Lucia, torna dal frate per narrargli l'impedimento del voto ed implorarne l'aiuto: ma il frate, oppresso dalla gravezza del male, è caduto presso il letto di don Rodrigo che soccorreva, nè v'è più speranza ch'ei si possa rialzare. Le preghiere di Renzo gli vanno all'anima, ma la morte già vicina lo ha disteso su quella terra a cui sarà ricongiunto fra poco. Corri, egli dice coll'ultimo avanzo della cadente sua voce, corri da Lucia e qua la conduci, prima che venga la chiamata di Dio. Il povero Renzo vola alla capannetta della fanciulla, che con passi vacillanti, pallida pallida, lo segue, finchè giungono a quei due moribondi, che aspettano una sì diversa mercede. Ecco gli accusatori, il testimonio ed il reo: il Giudice sta più in alto, e fra pochi minuti l'irrevocabile sentenza sarà pronunciata. Gran Dio, non entrare in giudizio co' tuoi miseri servi! Noi non osiamo proceder più oltre, che l'ingegno ne cade innanzi a tanto orrore e a tanta pietà: ma che non avrebbe saputo fare il Manzoni? Gli effetti della Grazia erano già stati descritti nell'Innominato; qui rimaneva a mostrarci la disperata morte del reprobo, e il quadro riusciva perfetto, perchè lì presso ne consolava la placida dipartita del giusto. Una maledizione su gli sposi e sopra sè stesso è uscita da Rodrigo, padre Cristoforo ha sciolto il voto, e benedetti i due giovani. Un profondo silenzio è succeduto a quelle parole: tutto è finito. Si separino quei due corpi, che più non saranno vicini in eterno. Guai a chi non intende la muta lezione che s'innalza dalla polvere di quella capanna! È impossibile che i lettori non si dolgano pensando al maraviglioso partito che la mente e il cuore del Manzoni avrebbero tratto da tanta passione: ma anche qui è sempre necessario ripetere, che senza mutare l'orditura del romanzo non poteva arrischiarsi una scena sì viva. La narrazione degli avvenimenti successivi dopo quell'impeto d'affetti non era più tollerabile, ed ivi stesso, davanti a quel letto di morte, Renzo e Lucia doveano rinnovare il loro giuramento, abbandonata ogni più minuta conclusione alla fantasia de' lettori» 70.

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