Alessandro Manzoni - Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2

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Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2: краткое содержание, описание и аннотация

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Al Carmignani è però sfuggito un altro piccolo scappuccio del Manzoni. Fa del P. Cristoforo il confessore di Lucia; ora, la giovane fidanzata, nel 1628, non poteva confessarsi da lui, perchè «i cappuccini di quei tempi, giusta l'inibizione delle loro costituzioni, tolta solo qualche tempo dopo, non confessavano assolutamente persone estranee all'Ordine 49».

Un critico milanese, a cui piacque di restare anonimo 50, prese a leggere i Promessi Sposi ; e sebbene, durante la lettura, non venisse «giammai scemandosi» in lui la «stima grandissima» che aveva per «quel celeberrimo autore, di cui tanto è vulgata la fama, che non pur nell'itala terra, ma in tutte le più colte nazioni è molto apprezzato»; nel romanzo trovò quella «imperfettibilità», che è «indivisibile compagna de' figliuoli di Eva». Pensò dunque di «schiccherare un foglio d'alcuni cenni critici intorno a ciò che di meno pregevole e di meno consonante al rimanente» vi aveva rinvenuto; manifestando nel tempo stesso «le bellezze ancora dell'opera, benchè con minore verbosità dei difetti». Lasciando in pace le «bellezze», diamo un saggio dei «difetti» che la fantasia del critico nota: «Renzo ed Agnese volevano che Lucia parlasse di che le avvenne con don Rodrigo: Ora vi dirò tutto, rispose Lucia, asciugandosi gli occhi col grembiale . Se l'A. laddove dipinge Lucia vestita nel giorno nuziale me l'ha presentata, oltre agli spilli e al rimanente, con due calze vermiglie, con due pianelle di seta a ricami, e mi ha passato sotto silenzio il grembiale, io fui necessitato di attingere ch'ella in quel dì non lo cingesse. Adesso poi veggio che appunto in quel medesimo giorno, e non ancora tramutata di panni, si terse le lagrime col grembiale. Com'è questa faccenda?.. O Lucia aveva il grembiale, o Lucia non lo aveva; una delle due. Se lo aveva, inavvedutamente l'Autore: 1.º ha trascurato di farlo conoscere al proprio leggitore; 2.º gli ha dato verun prezzo, facendogli esercitare l'officio del moccichino, mentre, se a tutto l'abito doveva aver consonanza, saria pur valuto qualche cosa. Se all'incontro non lo aveva dapprima, o l'A. ha preso adesso un abbaglio, o fa duopo argomentare, non che inserire negli annali, che = uno spirito, nel giorno 8 di novembre dell'anno di nostra redenzione 1628, ha cinto di un grembiale Lucia Mondella, mentr'essa stava per favellare di don Rodrigo con Agnese sua madre e con Renzo Tramaglino suo innamorato =». Eccoci ad Agnese, che, in casa del sarto, si abbocca col Cardinal Federigo e svela le colpe di Don Abbondio. «Udire una femmina» (nota il critico) «inveir quasi, e dinanzi al Cardinale, e contra il proprio curato, e perchè? perchè questi, onde scansare di perir tosto, ha prorogato il giorno delle nozze: ov'è colui che non saria preso da escandescenza contro della donna crudele, e non cercherebbe di turargli la bocca e di troncargli nella strozza le parole, ove la donna non fosse una larva che lo eludesse? Ma la passione del leggitore vuole pur trovare il suo sfogo; sicch'essa, riversandosi almeno sopra le pagine istesse, che ha dinanzi, chi sa quante insieme a quelle ne andranno vittima! Il mio tirare di penna è sicuramente il minor male».

Giuseppe Veladoni riconosce «che le menti di tutti gli italiani, e si potrebbe anche dire di molta parte d'Europa, restarono sopraffatte di meraviglia, da entusiasmo e da vero diletto» a leggere i Promessi Sposi . «Una tanta opera… non poteva esser pensata e scritta che da un profondo filosofo, da un vero conoscitore del cuore umano e da una penna condotta dai sentimenti più vivi di religione e di patria… Per me, credo impossibile che siavi uomo di cuore che non abbia da rimaner commosso sino alle lagrime in più e più luoghi di questa mirabile prosa… Essa è un libro che non perirà mai e farà sempre grande onore all'Italia del secolo XIX. Ma che? Non ha dunque difetti? Sì, ne ha: ma tutti compensati da una straordinaria bellezza e sodezza, così di pensieri, come di stile, considerati anche in sè stessi. Sono, per esempio, moltissime le parti che potrebbero essere capaci di utile restringimento, e queste per non raffreddare di troppo il calore della storia principale. Tale, per esempio, la lunga conversazione, di cui è testimonio fra Cristoforo, quando trova a tavola don Rodrigo. Ma non è forse quella conversazione medesima una pittura vera e fedele delle follie che passavano per la mente dei grandi d'allora? Dissero alcuni altri, che la storia di Lucia e di Renzo, cioè del matrimonio di due villici, è cosa troppo piccola per farne il soggetto di un'opera di tre volumi, ond'è che le parti accessorie soffocare dovevano il principale. Ma non è forse vero, che per questo appunto che il matrimonio di due villici è una piccolissima cosa, tanto più ne risulta quindi l'evidenza di questa gran verità, che in quei bruttissimi tempi, mentre i grandi, avendo paura uno dell'altro, si rispettavano a vicenda, tutta la loro prepotenza andava poi a scaricarsi nell'oppressione dei piccoli? Volete sapere dove io non saprei come validamente difendere il grande autore? Egli è sull'orrenda, scandalosa e ributtante comparsa, che malgrado l'industria usata dal religiosissimo autore nell'accennare le cose, fa nullameno in quest'opera quell'indegnissima monaca. Ben vedo e conosco che lo scopo morale del grand'autore, anche in questo caso, fu quello di far vedere a quali orrendi termini riesca una vocazione forzata, e quanto grande peccato era egli quello delle famiglie di un tempo, che monacavano le figlie per viste economiche e mondane affatto. Ma il danno e lo scandalo di quella pittura è troppo potente per concepire la speranza che fra cento lettori possano li novantanove raccogliere il frutto dell'esempio, e non rimaner invece amareggiati dal fiele. E se anche il danno non fosse che per uno solo?» 51.

A Torino, Federico Govean così salutava la comparsa de' Promessi Sposi : «Mancava all'Italia un buon romanzo», che potesse rivaleggiare con quelli del Lesage, del Cervantes e dello Scott. «Sorse quella benedett'anima del Manzoni, onore e lume d'Italia, e non contento di avere tentato una forse dannosa rivoluzione nella drammatica, e di aver migliorata la lirica moderna, volle far dono all'Italia di un romanzo, ma di un vero romanzo; opera degna di non altro ingegno se non di quello che dettò la Pasqua e il Cinque Maggio ». L'avv. Modesto Paroletti notava: «Un cospicuo letterato piemontese, che già ebbe tentato il romanzo allegorico, aveva quindi intrapreso di battere le orme di Walter Scott, pubblicando due storiette, scintillanti di erudizione… Nelle altre contrade d'Italia parecchi autori stavano in procinto di calar anch'essi nell'arena romanzesca per farvi pompa dei loro lavori, fra cui giova distinguere il Castello di Trezzo e la Battaglia di Benevento ; e quelli in cui, fra i subalpini, un dottor tortonese faceva pur mostra di bell'ingegno, la Sibilla Odaleta cioè, seguita dalla Fidanzata Ligure . Ma la fama loro doveva ecclissarsi dal romanzo de' Promessi Sposi di Alessandro Manzoni: perchè, alla chiarezza d'un tanto nome, ottenendo quest'opera la maggiorità de' suffragi, allettando i più schivi, piacendo ai dotti e facendosi leggere da ogni persona, fu acclamata qual libro popolare in Italia». Ne loda lo stile, la scelta e la condotta dell'argomento. «Fra tutte le difficoltà non era la minore quella dello stile in cui si avesse a dettare. Dovendo purgarlo da ogni sentore d'imitazione straniera, perchè ai dì nostri ogni cosa si desidera nelle prette forme italiane, e dovendo nullameno renderlo grato pei modi del dire, ognuno può giudicare quanto malagevole fosse tal cosa; mentre, se importava di dare il bando ai modi francesi, per contro, era necessario lo schivare quell'andamento stucchevole che presenta all'orecchio dei più lo stile cruscante. E questa può affermarsi essere stata vittoria grande riportata dal Manzoni, perchè lo stile del suo romanzo è schietto italiano, senza macchia d'affettazione; è classico senza arcaismi; ed è purgato, non senza una qualche tinta di popolarità, che molto aggiunge alla verità de' ragguagli. Stile insomma da poter servire di modello a chiunque voglia scrivere romanzi italiani». Dopo averne con ammirazione schietta e sentita rilevato le grandi bellezze, tocca de' difetti. «È danno che questo libro, il quale da romanzesco può pigliar nome di storico, nelle parti più importanti diventi prolisso di soverchio e alquanto noioso. A lato delle inimitabili descrizioni rapide, vive e ben accennate, come quelle del lago di Lecco, della notte in cui battevano i bravi condotti dal Griso per rapire gli sposi, ed imprendevano questi a sorprendere il parroco, e poi del muoversi del P. Cristoforo da Pescarenico, e dello scappare Renzo di là dall'Adda, riprova il lettore un fastidio grande per le cotanto prolungate e sminuzzate due descrizioni della carestia e della pestilenza» 52.

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