Alessandro Manzoni - Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2

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Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2: краткое содержание, описание и аннотация

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Così, dopo d'avere abbracciata la zia, che l'accolse piangendo, Lucia la lasciò con Agnese, che se ne impadronì per raccontarle tante tante cose, e si ritirò nella sua stanza. Ivi, dopo d'aver ringraziato Dio dell'averla ricondotta quivi, oltre e contra la speranza, si mise a rivisitare tutte le sue masserizie, come per provare se potesse ricominciare la sua vita passata; ma non v'era oggetto nella casa, non v'era angolo al quale non fossero associate idee divenute dolorose e ripugnanti. Lucia prese come macchinalmente il suo arcolajo e sedette a dipanare la matassa di seta che aveva lasciata a mezzo quando Fermo venne a pigliarla per la spedizione del matrimonio clandestino.

Dopo pochi momenti ecco giungere Perpetua affannata a dire che Monsignore, tornato di chiesa, aveva chiesto se Lucia era arrivata, e che udendo di sì, aveva ordinato che fosse tosto chiamata. Il signor Curato poi, aggiunse Perpetua sottovoce, mi ha imposto di dirvi, o Lucia, che vi ricordiate del parere che vi ha dato a Chiuso: ehm? sapete? di non dir nulla di quel tale affare; Agnese, m'intendete? del matrimonio, guardatevi dal parlarne, perchè, perchè i Cardinali passano e i curati restano. Le due donne si guatarono in viso, come per dire l'una all'altra: ora mò? non siamo più in tempo. Ma Agnese, fatta una faccia tosta, disse a Lucia: certo non bisogna dir nulla; e mettendo la bocca all'orecchio di Lucia continuò: del matrimonio clandestino. Guaj, vedi, è un guajo grosso. Lucia con queste due ingiunzioni, l'una delle quali era ineseguibile, e l'altra poteva dipendere dalle domande che il Cardinale le avrebbe fatte, s'incamminò, tutta pensierosa e agitata, con le due donne, alla casa del curato. Per la via incontrarono la folla, che uscita dalla chiesa si diffondeva nel contorno; e Lucia fu accolta con acclamazioni 86, e fermata ad ogni passo da saluti, fra i quali, vergognosa, con gli occhi bassi e gonfj, entrò nella casa parrocchiale, e fu tosto condotta nella stanza dov'era Federigo, il quale la ricevè con le solite precauzioni.

Dopo alcune inchieste cortesi sul suo viaggio, sul piacere ch'ella aveva provato nel rivedere la sua casa, Federigo la interrogò di nuovo sull'affare del matrimonio. Lucia dovette rispondere e raccontò tutta la faccenda fino al clandestino, dove si fermò come un cavallo che ha veduto un'ombra, e ristà con una sosta improvvisa e singolare, che non è quella solita d'allora che è giunto al termine del suo viaggio. Federigo, che s'avvide di qualche cosa, domandò a Lucia che risoluzione avesse presa ella, sua madre, lo sposo quando si videro chiusa la via a quella unione che desideravano e che chiedevano legittimamente. Agnese udendo questo, cominciò a far certi visacci a Lucia, cercando di non lasciarli scorgere al Cardinale (cosa non molto facile), e questi visacci volevano dire: rispondi: niente, abbiamo aspettato con pazienza. Lucia stava interdetta: Federigo, che vedeva tutto – l'avrebbe veduto un cieco nato – disse ad Agnese, con un contegno tranquillo e serio: Perchè non lasciate esser sincera la vostra figlia? e volto a Lucia: parlate liberamente, continuò: Dio vi ha assistita: dategli gloria con dire la verità. Lucia allora spiattellò tutta la storia del clandestino, e la narrazione divenne allora liscia, verisimile e ben congegnata.

– Avete confessata una colpa, disse tranquillamente Federigo: Dio ve la perdoni e… a chi v'ha dato una tentazione così forte di commetterla. Ma d'ora in poi, buona figliuola, e voi, buona donna, non fate più di quelle cose che non raccontereste volentieri.

Quindi passò a chiedere a Lucia dove fosse Fermo; che ora il matrimonio poteva e doveva esser tosto conchiuso.

Questo era un punto ancor più rematico. Le dirò io… cominciava Agnese, ma il Cardinale le diede un'occhiata, la quale significava, ch'egli sperava la verità più da Lucia che da lei, onde Agnese ammutì; e Lucia singhiozzando, rispose: Fermo, povero giovane, non è qui; s'è trovato in quei garbugli di Milano e ha dovuto fuggire; ma son certa ch'egli non ha fatto male, perchè era un giovane di timor di Dio.

– Ma che ha fatto in quel giorno? chiese ancora il Cardinale: quale è la sua colpa?

– Non ne sappiamo di più, rispose Lucia.

Il Cardinale, giacchè altri non v'era a cui domandare, si volse ad Agnese, la quale, rianimata, disse: Se volessi potrei inventare una storia per contentare Vossignoria illustrissima, ma sono incapace d'ingannare una gran persona, come Ella è; e non sappiamo proprio niente di più.

– Dio buono! disse il Cardinale: insidie, colpe, sciagure, incertezze, ecco il mondo dei grandi e dei piccioli. Ma voi, disse a Lucia, che pensate adunque di fare intanto?

– Io, rispose Lucia, io vedo che il Signore ha deciso altrimenti di me, che non mi vuole in quello stato, e ho messo il mio cuore in pace. E se trovassi dove vivere tranquillamente, fuor d'ogni pericolo; se potessi esser ricevuta conversa in un monastero… consecrarmi a Dio…

– Oh che furia! sclamò Agnese.

– Voi vi siete promessa, buona giovane, disse Federigo: vi siete allora risoluta a promettere senza riflessione, leggermente?

– Questo no, disse Lucia arrossando.

– Bene, disse Federigo, potrebbe ora dunque esser leggiero il ritrattarvi. Se quest'uomo fosse innocente, se potesse sposarvi, che mutamento è accaduto nelle vostre relazioni? Nessun altro che una serie di sventure ad ambedue, e non è questa una ragione per separarvi. Questo non è il momento di pigliare una risoluzione. Sospendete, fate ricerche, aspettate che Iddio vi riveli più chiaramente la sua volontà. L'asilo 87intanto ve lo troverò io.

Lucia fu tentata più d'una volta di rivelare il voto, ma una vergogna insuperabile la ritenne. Federigo l'assicurò che non sarebbe partito da quei contorni prima d'avere stabilito qualche cosa per lei; e dopo qualche altra parola di consolazione e di avviso la lasciò partire con Agnese 88.

XIII.

Visita del Conte del Sagrato a Lucia

Abbiamo detto che il Conte del Sagrato era venuto ogni mattina a quella chiesa che il Cardinale visitava in quel giorno. Stava alquanto con lui in quell'ora di riposo che precedeva il pranzo, e poi ripartiva. Ma in questo giorno egli era venuto con un disegno, che fu cagione di farlo rimanere più tardi. Sapeva il Conte che Lucia doveva tornare alla sua casa: il Cardinale lo aveva informato di questo, anzi gliene aveva chiesto consiglio: perchè, dove si trattava di pericolo e di cautela, di bravi e di tiranni, non v'era uomo più al caso di dare un buon consiglio 89: e il Conte aveva confortato il Cardinale ad installare pure sicuramente Lucia nel suo pacifico albergo. Prevedendo egli dunque che quel giorno Lucia si sarebbe trovata dal Cardinale, non vi si presentò all'ora consueta, ma stette nella chiesa, aspettando l'ora in cui il Cardinale era solito di desinare, e quando questa gli parve dover esser giunta, entrò nella cucina, dove Perpetua stava in grandi faccende, e le chiese, con umile affabilità, di potere ivi trattenersi ad attendere che il pranzo fosse finito, per chiedere udienza a Monsignore. Chi entra in una cucina in un giorno di cerimonie è sempre il mal venuto; ma il Conte aveva una antica riputazione di ribalderia e una recente di santità, che imposero anche a Perpetua, la quale, per levarsi dattorno nel modo più gentile quell'incomodo arnese, propose al Conte d'entrare nella sala del pranzo. – Si faccia avanti, diss'ella, sulla mia parola: Monsignore la vedrà molto volentieri; e anche il mio padrone e tutta la compagnia: non faccia cerimonie.

Ma il Conte disse di nuovo che desiderava di attendere ivi in un canto. Perpetua lo fece sedere al posto d'onore della cucina, nel banco sotto la cappa del cammino, dicendo: Vossignoria starà come potrà: veramente avrebbe fatto meglio d'entrare coi signori, che quello è il suo posto: basta, com'ella vuole: mi scusi se non posso fare il mio dovere a tenerle compagnia, perchè oggi ho tante faccende: ella vede. Il Conte sedette, ringraziò, e cavato un tozzo di pane 90, che aveva portato con sè, si diede a mangiare. Quando Perpetua vide questo, non lo volle patire. – Come? un signore suo pari! non sarà mai detto ch'ella faccia questo torto alla mia cucina. Ecco, si serva, mangi di questo: e lasci fare a me per mandare in tavola il piatto senza un segno: non faccia complimenti: che serve? – E come il Conte rifiutava, Perpetua gli si avvicinò all'orecchio e gli disse a bassa voce: – Via, signor Conte; che scrupoli son questi? so quello che posso fare; la padrona sono io qui. – Ma tutto fu inutile. Il Conte ringraziò di nuovo, e continuò a rodere ostinatamente il suo pane.

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