Volodyk - Paolini3-Brisingr
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Destato dal clangore del martello di Roran, Sloan alzò il mento verso la luce e, con voce tremante, chiese: «Chi è là? Chi c'è?» Col movimento, la rada cortina di capelli davanti alla sua faccia si aprì, mostrando le orbite incassate nel cranio. Dove avrebbero dovuto esserci le palpebre, lembi di pelle frastagliata orlavano le vuote cavità nere. L'area intorno era livida e squamosa.
Con raccapriccio, Eragon capì che i Ra'zac gli avevano cavato gli occhi a colpi di becco.
Esitò, indeciso sul da farsi. Il macellaio aveva rivelato ai Ra'zac che Eragon aveva trovato l'uovo di Saphira. In più, aveva ucciso la sentinella di Carvahall, Byrd, e tradito l'intero villaggio consegnandolo all'Impero. Se lo avesse portato davanti ai suoi compaesani, senza ombra di dubbio lo avrebbero dichiarato colpevole e condannato a morte per impiccagione.
A Eragon sembrava giustissimo che il macellaio morisse per i suoi crimini, quindi non era questa la fonte della sua incertezza, quanto piuttosto il fatto che Roran amava Katrina, e che Katrina, malgrado quello che aveva fatto Sloan, probabilmente nutriva ancora dell'affetto per suo padre. Assistere a un processo pubblico che avrebbe condannato a morte Sloan sarebbe stato penoso per lei e, di riflesso, anche per Roran. Una prova simile avrebbe potuto creare del malanimo fra i due, tanto da mettere in pericolo il fidanzamento. Ed Eragon era convinto che riportare Sloan con loro avrebbe seminato discordia fra lui, Roran, Katrina e gli altri abitanti di Carvahall, incendiando gli animi al punto da distrarli dalla loro battaglia contro l'Impero.
La soluzione più semplice, pensò Eragon, sarebbe ucciderlo e dire di averlo trovato morto in questa cella... Le labbra gli tremarono, mentre una delle parole di morte gli affiorava sulla punta della lingua.
«Che volete?» chiese Sloan. Voltò la testa da una parte e dall'altra, nel tentativo di sentire meglio. «Vi ho già detto tutto quello che sapevo!»
Eragon si maledisse per la propria esitazione. La colpevolezza di Sloan non era in discussione: era un traditore e un assassino. Qualunque giudice lo avrebbe condannato a morte.
Malgrado la fondatezza dei suoi ragionamenti, era pur sempre Sloan quello rannicchiato davanti a lui, un uomo che Eragon conosceva da una vita. Il macellaio poteva essere una persona spregevole, ma il bagaglio di ricordi ed esperienze che Eragon condivideva con lui generava un senso di intimità che turbava la sua coscienza. Uccidere Sloan sarebbe stato come uccidere Horst o Loring o uno qualsiasi degli altri abitanti di Carvahall.
Ancora una volta, Eragon si preparò a pronunciare la parola fatale.
Un'immagine gli comparve davanti agli occhi: Torkenbrand, il mercante di schiavi che lui e Murtagh avevano incontrato durante il viaggio verso i Varden, inginocchiato sul terreno sabbioso, e Murtagh che incombeva su di lui e lo decapitava. Eragon rammentò quanto aveva deplorato il gesto di Murtagh e come ne era rimasto sconvolto per giorni e giorni.
Sono cambiato così tanto, si chiese, da poter fare la stessa cosa? Come ha detto Roran, ho già ucciso, ma soltanto in battaglia... mai in questo modo.
Guardò indietro: Roran spezzò l'ultimo cardine della porta della cella di Katrina, lasciò cadere il martello e si preparò a caricare la porta per abbatterla con una spallata; poi ci ripensò e provò a sollevarla dall'intelaiatura. La porta si alzò di pochi millimetri, poi si bloccò, inclinandosi da un lato. «Ehi, vieni a darmi una mano!» gridò. «Non voglio correre il rischio che le cada addosso.»
Eragon guardò il macellaio. Non aveva più tempo per pensieri raminghi. Doveva scegliere. In un modo o nell'altro, doveva decidere...
«Eragon!»
Non so cosa è giusto, pensò Eragon. La sua stessa incertezza gli suggeriva che sarebbe stato sbagliato sia uccidere Sloan che riportarlo dai Varden. Non aveva però idea di che cosa fare, a meno di non trovare una terza alternativa, meno ovvia e meno cruenta.
Alzando una mano, come fosse una benedizione, Eragon mormorò: «Slytha.» Le manette di Sloan sferragliarono mentre l'uomo si accasciava inerte, cadendo in un sonno profondo. Non appena fu sicuro che l'incantesimo aveva avuto effetto, Eragon chiuse a chiave la porta della cella e innalzò di nuovo una barriera di difese magiche.
Che cosa hai in mente, Eragon? chiese Saphira.
Aspetta che torniamo insieme, poi ti spiegherò.
Spiegare cosa? Non hai nessun piano.
Dammi un minuto e ce l'avrò.
«Cosa c'era lì dentro?» chiese Roran, quando Eragon lo raggiunse, posizionandosi dall'altro lato della porta.
«Sloan.» Eragon afferrò meglio la porta. «È morto.»
Roran sgranò gli occhi. «Come?»
«A quanto pare gli hanno spezzato il collo.»
Per un istante, Eragon temette che Roran non gli avrebbe creduto. Poi il cugino sbuffò e disse: «Meglio così, immagino. Pronto? Uno, due, tre...»
Insieme sollevarono la massiccia porta dalla sua intelaiatura e la scagliarono dall'altra parte del corridoio. La galleria di pietra restituì un boato echeggiante. Senza un attimo di esitazione, Roran si precipitò all'interno della cella, illuminata da una singola candela. Eragon lo seguì, mantenendosi a debita distanza.
Katrina si rannicchiò nell'angolo più lontano di una brandina di ferro. «Lasciatemi in pace, schifosi bastardi! Io...» S'interruppe, folgorata, quando Roran si fece avanti. Il suo viso era pallido per la mancanza di sole e striato di sudiciume, ma in quel momento s'illuminò di un tale stupore e di un amore così tenero che Eragon pensò di non aver mai visto tanta radiosa bellezza.
Senza distogliere lo sguardo da Roran, Katrina si alzò e con una mano tremante gli accarezzò una guancia.
«Sei venuto.»
«Sì, sono venuto.»
Roran proruppe in un singhiozzo di gioia mentre la cingeva con le braccia, attirandola a sé. Rimasero persi nel loro abbraccio per un lungo momento.
Poi Roran si ritrasse e la baciò tre volte sulle labbra. Katrina arricciò il naso ed esclamò: «Ti sei fatto crescere la barba!» Di tutte le cose che avrebbe potuto dire, questa fu così inaspettata - e la ragazza aveva un'espressione tanto turbata e sorpresa - che Eragon ridacchiò sottovoce.
Per la prima volta, Katrina si accorse della sua presenza. Il suo sguardo vagò alle sue spalle, poi si fermò sul suo viso, che studiò con evidente stupore. «Eragon? Sei tu?»
«Sì.»
«È un Cavaliere dei Draghi, adesso» disse Roran.
«Un Cavaliere? Vuoi dire...» Le parole le vennero a mancare; la rivelazione parve turbarla profondamente. Scoccando un'occhiata a Roran, quasi in cerca di protezione, si strinse ancora di più a lui e si spostò dall'altro lato: sembrava che volesse allontanarsi da Eragon. A Roran disse: «Come... come avete fatto a trovarci? Chi altri c'è con voi?»
«Dopo, dopo. Dobbiamo andarcene dall'Helgrind prima che il resto dell'Impero venga a stanarci.»
«Aspettate! E mio padre? L'avete trovato?»
Roran guardò Eragon, poi tornò a guardare Katrina e in tono sommesso le disse: «Siamo arrivati troppo tardi.»
Katrina fu percorsa da un brivido. Chiuse gli occhi, e una lacrima solitaria le scese sulla guancia sudicia, lasciando una scia più chiara. «Così sia.»
Mentre parlavano, Eragon cercava disperato un modo per occuparsi di Sloan, tenendo nascosti i propri pensieri a Saphira; sapeva che la dragonessa avrebbe disapprovato il luogo dove lo stavano portando le sue elucubrazioni. Nella sua mente prendeva forma un piano. Bizzarro, irto di pericoli e incertezze, l'unico realizzabile date le circostanze.
Senza altri indugi, Eragon entrò in azione. Aveva tante cose da fare e pochissimo tempo a disposizione. «Jierda!» esclamò, puntando il dito. Con una pioggia di scintille azzurrognole e frammenti di metallo, gli anelli che cingevano le caviglie di Katrina si spezzarono. La ragazza trasalì, stupefatta.
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