Volodyk - Paolini3-Brisingr
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Si lanciarono l'uno contro l'altro. Il Ra'zac cercò di menare un fendente dalla clavicola all'anca di Eragon, ma il giovane scartò di lato e schivò il colpo. Con un affondo, infilò il puntale metallico del bastone sotto il becco del Ra'zac, insinuandolo fra le placche che proteggevano la gola della creatura.
Il Ra'zac fu scosso da un brivido e stramazzò a terra.
Eragon fissò il suo più odiato nemico, guardò gli occhi neri senza palpebre, e improvvisamente gli cedettero le ginocchia e vomitò, accasciato contro la parete del corridoio. Si asciugò la bocca e liberò il bastone, mormorando: «Per nostro padre. Per la nostra casa. Per Carvahall. Per Brom... Ho avuto la mia vendetta. Che tu possa marcire qui per sempre, Ra'zac.»
Si avviò alla cella di Sloan, si gettò in spalla il macellaio, ancora sprofondato nel sonno stregato, e ripercorse i propri passi per tornare alla grotta principale dell'Helgrind. Lungo la strada, si fermò spesso per adagiare Sloan a terra ed esaminare una stanza o una nicchia che non aveva visitato prima. Scoprì diversi strumenti di tortura e quattro fiaschette di metallo contenenti olio di Seithr, che subito distrusse perché nessun altro potesse usare quell'acido corrosivo per scopi malvagi.
La calda luce del sole gli bruciò le guance quando emerse dal labirinto di gallerie. Trattenendo il fiato, oltrepassò in fretta il cadavere del Lethrblaka e si fermò sul ciglio della vasta caverna. Fece scorrere lo sguardo lungo lo strapiombo dell'Helgrind fino alle colline ai suoi piedi. A ovest vide una nuvola arancione gonfiarsi e muoversi lungo la strada che collegava l'Helgrind a Dras-Leona: cavalli in avvicinamento.
Il lato destro gli faceva male per lo sforzo di sostenere il peso di Sloan, così passò il macellaio sull'altra spalla. Batté le palpebre per liberarsi dalle goccioline di sudore che gli imperlavano le ciglia e si spremette le meningi in cerca di una soluzione al problema di come scendere, con Sloan in spalla, per gli oltre cinquemila piedi che lo separavano dal suolo.
«Quasi un miglio» mormorò. «Se ci fosse un sentiero, potrei scendere facilmente, anche portando Sloan. Dovrò ricorrere alla magia... già, ma in questo caso mi toccherebbe concentrare troppa energia in un periodo di tempo limitato e rischierei di uccidermi. Come mi ha insegnato Oromis, il corpo non è in grado di convertire le proprie riserve in energia tanto in fretta da evocare la maggior parte degli incantesimi per più di qualche secondo. Ho a disposizione soltanto una determinata quantità di energia in una determinata frazione di tempo, e una volta esaurita quella, devo aspettare finché non mi riprendo... E parlare da solo non mi porta da nessuna parte.»
Stringendo la presa su Sloan, Eragon puntò lo sguardo su una stretta cengia a circa cento piedi più in basso. Farà male, pensò, preparandosi al tentativo. Poi latrò: «Audr!»
Si librò di un paio di pollici dal pavimento della grotta. «Fram» disse, e l'incantesimo lo spinse fuori dall'Helgrind nel vuoto, dove rimase sospeso come una nuvoletta solitaria. Pur essendo abituato a volare con Saphira, non vedere altro che aria sotto di sé gli procurava ancora un certo disagio.
Manipolando il flusso di magia, Eragon discese rapidamente dalla tana dei Ra'zac - che la parete illusoria di roccia nascose di nuovo - fino alla cengia. Quanto atterrò, lo stivale gli scivolò su una pietra viscida. Per una manciata di terrificanti secondi, agitò il braccio libero per recuperare l'equilibrio, ma non guardò di sotto per paura di sbilanciarsi. La gamba sinistra gli scivolò oltre il bordo della cengia, facendolo sbandare di lato. Gridò. Ma prima che potesse ricorrere alla magia per salvarsi, la caduta si arrestò bruscamente perché il piede sinistro si era infilato in una fessura della roccia. I bordi della spaccatura gli affondarono nel polpaccio dietro il gambale, ma lui non ci badò, perché in quel modo almeno il volo si era interrotto.
Eragon appoggiò la schiena all'Helgrind, usando la parete di roccia per sostenere il corpo inerte di Sloan. «Non è andata troppo male» si disse. Lo sforzo gli era costato, ma non tanto da non poter continuare. «Ce la faccio.» Inspirò aria fresca, aspettando che i battiti del cuore rallentassero; gli sembrava di aver corso venti iarde di scatto, con Sloan in spalla. «Ce la faccio...»
Gli uomini a cavallo catturarono di nuovo la sua attenzione. Erano parecchio più vicini rispetto a poco prima e galoppavano sull'arido terreno a un ritmo preoccupante. È una gara fra loro e me, pensò. Devo riuscire a fuggire prima che raggiungano l'Helgrind. Di sicuro ci sono dei maghi fra di loro, e io non sono in condizione di combattere gli stregoni di Galbatorix. Scoccando un'occhiata alla faccia inespressiva di Sloan, disse: «Magari tu puoi darmi una mano, eh? È il minimo che puoi fare, considerando che rischio la vita e, peggio ancora, la sto rischiando per te.» La testa del macellaio addormentato ciondolò; l'uomo era smarrito nel suo mondo di sogni.
Con un grugnito, Eragon si staccò dalla parete dell'Helgrind. Disse di nuovo «Audr» e di nuovo si levò in aria. Questa volta ricorse alla forza di Sloan - per quanto esigua - oltre che alla propria. Insieme planarono come due strani uccelli lungo il fianco accidentato dell'Helgrind, verso un'altra cengia abbastanza larga da offrire un appoggio sicuro.
Fu in questo modo che Eragon orchestrò la discesa. Non procedeva in linea retta, ma tenendo un'angolatura che lo fece curvare a destra intorno all'Helgrind, affinché la sua mole li nascondesse ai cavalieri.
Più si avvicinavano al suolo, più rallentavano. La stanchezza prese il sopravvento, riducendo la distanza che Eragon poteva percorrere in un unico tratto, e gli era sempre più difficile recuperare nelle pause tra uno sforzo e l'altro. Perfino alzare un dito ormai gli costava una fatica enorme, e fu avvolto nelle calde pieghe di una strana nebbia che gli ottenebrava i sensi e i pensieri, tanto che persino la roccia più dura gli parve soffice come un cuscino per riposare i muscoli indolenziti.
Quando alla fine toccò il terreno riarso dal sole - troppo stanco per non franare nella polvere con Sloan in spalla - Eragon rimase con le braccia ripiegate sotto il torace e fissò con gli occhi ridotti a fessure le gialle inclusioni di citrino nel piccolo sasso a un paio di pollici dal suo naso. Sloan gli pesava sulla schiena come una pila di lingotti di ferro. L'aria gli uscì sibilando dai polmoni, ma parve non voler rientrare. La vista gli si oscurò come se una nuvola avesse coperto il sole. Un intervallo letale separava ogni battito del suo cuore, e quando arrivava, la pulsazione non era più forte di un fievole sfarfallio.
Eragon non era più capace di pensieri coerenti, ma in un angolo remoto del cervello era consapevole che stava morendo. Non aveva paura: al contrario, la prospettiva lo confortava, perché era stanco oltre ogni dire, e la morte lo avrebbe liberato dal suo logoro involucro di carne donandogli finalmente il riposo eterno.
D'un tratto sopra la sua testa arrivò un bombo grosso quanto il suo pollice. L'insetto gli volò intorno all'orecchio, poi si fermò sul sasso saggiando i cristalli di citrino, che erano dello stesso giallo brillante dei fiori di campo sulle colline. La peluria del bombo riluceva nel fulgore del mattino - ogni setola si stagliava nitida davanti agli occhi di Eragon - e le ali frementi producevano un delicato ronzio. Le zampette erano impolverate di polline.
Il bombo era così vibrante di vita e così bello che la sua presenza infuse in Eragon una nuova voglia di vivere. Un mondo che conteneva una creatura così stupefacente come quel bombo era un mondo in cui valeva la pena di vivere.
Con la sola forza di volontà, liberò la mano sinistra da sotto il torace e afferrò lo stelo legnoso di un arbusto vicino. Come una sanguisuga o una zecca o un altro parassita, estrasse la vita dalla pianta, lasciandola vizza e floscia. Il flusso di energia che lo percorse gli fece tornare il senno: adesso aveva paura. Oltre al desiderio di vivere appena riconquistato, non provava altro che terrore.
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