Volodyk - Paolini3-Brisingr
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Eragon fu pervaso da una sensazione di destino ineluttabile, come fosse diventato lo strumento di quel signore spietato, e rispose di conseguenza, parlando con deliberata lentezza, affinché ogni parola colpisse con la forza di un maglio e trasmettesse tutta la potenza della sua dignità, della sua posizione e della sua collera. «Io sono Eragon e molto di più. Sono Argetlam e Ammazzaspettri e Spadarossa. Il mio drago è Saphira, conosciuta anche come Bjartskular e Lingua di Fuoco. Siamo stati allievi di Brom, che fu Cavaliere prima di noi, e dei nani e degli elfi. Abbiamo combattuto gli Urgali e uno Spettro e Murtagh, che è il figlio di Morzan. Serviamo i Varden e i popoli di Alagaësia. E ti ho portato qui, Sloan Aldensson, per emettere la condanna che ti meriti, assassino di Byrd e traditore di Carvahall.»
«Tu menti! Non puoi...»
«Mentire?» ruggì Eragon. «Io non mento!» Espandendo di colpo la mente, avvolse la coscienza di Sloan nella propria e costrinse il macellaio ad accettare ricordi che confermavano la verità delle sue affermazioni. Voleva anche che Sloan percepisse il suo potere e capisse che non era più interamente umano. E pur riluttante ad ammetterlo, Eragon godette nell'esercitare il controllo su un uomo che gli aveva spesso creato problemi e lo aveva tormentato con il suo scherno e con gli insulti rivolti sia a lui che alla sua famiglia. Mezzo minuto dopo si ritrasse.
Sloan continuò a tremare, ma non crollò a terra implorante come Eragon aveva pensato. Al contrario, l'atteggiamento del macellaio si fece duro e glaciale. «Maledizione» disse. «Non ti devo nessuna spiegazione, Eragon Figlio di Nessuno. Ma sappi questo: ho fatto quello che ho fatto per amore di Katrina, e nient'altro.»
«Lo so. Ed è l'unica ragione per cui sei ancora in vita.»
«Allora fa' di me quello che vuoi. Non m'importa, basta che lei sia sana e salva... Be', avanti! Cosa mi aspetta? Frustate? Una marchiatura a fuoco? Mi hanno già strappato gli occhi, che ne diresti di prendermi una mano? Oppure mi lascerai qui a morire di fame, o alla mercé degli uomini dell'Impero?»
«Non ho ancora deciso.»
Sloan annuì con un brusco cenno del capo e si strinse negli abiti logori per ripararsi dal freddo della notte. Se ne stava seduto impettito, con un cipiglio militaresco, fissando con le nere orbite vuote le ombre che lambivano il bivacco. Non supplicò. Non chiese pietà. Non negò i propri crimini né cercò di blandire Eragon. Si limitò a restare seduto in attesa, armato di un perfetto stoicismo.
Il suo coraggio impressionò Eragon.
La buia landa desolata che li circondava sembrava sconfinata, e al tempo stesso dava a Eragon la sensazione che convergesse su di lui, una sensazione che accrebbe la sua ansia per la decisione che doveva prendere. Il mio verdetto influirà sul resto della sua vita, pensò.
Abbandonando per un momento il problema della punizione, Eragon si soffermò a pensare alle cose che conosceva di Sloan: l'immenso amore del macellaio per Katrina - per quanto ossessivo, egoista e malsano, un tempo era stato puro e misurato; il suo odio e il suo timore per la Grande Dorsale, fonte del suo cordoglio per la moglie defunta, Ismira, che era caduta sfracellandosi fra quei picchi ammantati di nubi; il suo allontanamento dai restanti rami della famiglia; il suo orgoglio nel lavoro; le storie che Eragon aveva sentito sull'infanzia di Sloan; e l'esperienza stessa di Eragon su ciò che significava vivere a Carvahall.
Eragon raccolse quell'insieme di nozioni sparse e frammentarie e cominciò a studiarle, come se fossero le tessere di un mosaico da ricomporre. Non sempre ci riuscì, ma insistette, e alla fine tracciò una miriade di collegamenti fra gli eventi e le emozioni della vita di Sloan, e da qui costruì un'intricata ragnatela, il cui disegno rappresentava la vera essenza di Sloan. Una volta tessuto l'ultimo filo della ragnatela, Eragon ebbe la sensazione di aver finalmente compreso le ragioni del comportamento di Sloan. E per questo provò compassione.
Anzi, più che compassione: sentiva di capire Sloan, di aver isolato gli elementi fondamentali della sua personalità, quegli aspetti che non si possono eliminare senza cambiare irrevocabilmente la persona. A quel punto gli vennero in mente tre parole nell'antica lingua che sembravano incarnare Sloan e, senza pensarci, le mormorò sottovoce.
Era impossibile che Sloan le avesse sentite, eppure il macellaio si mosse, le sue mani abbandonate sulle cosce si contrassero e sul suo viso comparve una smorfia di disagio.
Eragon sentì un gelido formicolio al fianco sinistro, e gli venne la pelle d'oca sulle braccia e sulle gambe mentre osservava il macellaio. Prese in considerazione diverse spiegazioni per la reazione di Sloan, ciascuna più complicata della precedente, ma soltanto una sembrava plausibile, e al tempo stesso assai improbabile. Sussurrò le tre parole ancora una volta. E ancora una volta Sloan si agitò, ed Eragon lo sentì borbottare: «... mi è passata vicino la morte.»
Eragon si lasciò sfuggire un sospiro tremante. Non riusciva ancora a crederci, ma il suo esperimento non lasciava spazio ad altri dubbi: per puro caso, si era imbattuto nel vero nome di Sloan. La scoperta lo turbò profondamente. Conoscere il vero nome di qualcuno era una pesante responsabilità, poiché conferiva potere assoluto su quella persona. A causa dei rischi connessi, gli elfi rivelavano di rado il proprio vero nome, e quando lo facevano, era solo davanti a coloro di cui si fidavano senza riserve.
Eragon non aveva mai conosciuto il vero nome di nessuno prima di allora. Si era sempre aspettato che, se un giorno fosse capitato, sarebbe stato un dono da parte di qualcuno che amava. Carpire il vero nome di Sloan senza il suo permesso era una svolta negli eventi a cui Eragon era impreparato, un evento che non sapeva come controllare. Poi pensò che per aver indovinato il vero nome di Sloan doveva aver compreso il macellaio molto meglio di quanto capisse se stesso, perché non aveva la più pallida idea di quale fosse il proprio.
Quella rivelazione fu come una doccia fredda. Sospettava che - data la natura dei suoi nemici - non sapere tutto di sé avrebbe potuto rivelarsi fatale. Giurò allora di dedicare più tempo all'introspezione e alla scoperta del proprio vero nome. Forse Oromis e Glaedr sapranno dirmelo, pensò.
Quali che fossero i dubbi e le incertezze suscitati dal vero nome di Sloan, la rivelazione gli fece nascere un abbozzo di idea su che cosa fare del macellaio. Una volta elaborato il concetto di base, impiegò un'altra decina di minuti per rifinire il piano e assicurarsi che funzionasse nella maniera voluta.
Sloan inclinò la testa dalla sua parte quando Eragon si alzò dal bivacco e si allontanò nella notte rischiarata dalle stelle. «Dove vai?» chiese Sloan.
Eragon non rispose.
Camminò nella landa desolata fino a trovare un macigno basso e piatto, coperto di licheni, con un incavo al centro. «Adurna rïsa» disse. Intorno al masso, una miriade di minuscole gocce d'acqua filtrarono dal terreno e si condensarono in tanti rivoletti d'argento che risalirono il macigno e si raccolsero nello spazio concavo. Quando l'acqua cominciò a traboccare e a tornare nel terreno, solo per essere riportata in superficie dal suo incantesimo, Eragon recise il flusso di magia.
Aspettò che la superficie dell'acqua diventasse perfettamente immobile - tanto da sembrare uno specchio in cui si riflettevano le stelle del firmamento - e poi disse «Draumr kópa» e molte altre parole, recitando un incantesimo che gli avrebbe permesso non solo di vedere una persona a distanza, ma anche di parlare con lei. Oromis gli aveva insegnato le variazioni della divinazione due giorni prima che lui e Saphira partissero da Ellesméra per il Surda.
L'acqua si fece tutta nera, quasi che qualcuno avesse spento le stelle come candele. Uno o due secondi dopo, una forma ovale scintillò al centro dell'acqua ed Eragon vide l'interno di una grande tenda bianca, illuminata dalla luce senza fiamma di una Erisdar rossa, una delle lanterne magiche degli elfi.
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