Volodyk - Paolini3-Brisingr

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Eragon fece roteare il bastone di biancospino fra le mani e deviò la spada del Ra'zac quando era a meno di un pollice dalle sue costole. Il Ra'zac atterrò davanti a lui e fece scattare il collo in avanti. Eragon balzò all'indietro quando vide un becco corto e tozzo comparire da sotto il cappuccio. L'appendice chitinosa schioccò a un soffio dal suo occhio destro. Con un singolare distacco, Eragon ebbe modo di notare che la lingua del Ra'zac era violacea, ricoperta di barbigli, e si contorceva come un serpente senza testa.

Unendo le mani al centro del bastone, Eragon spinse avanti le braccia e colpì il Ra'zac sul torace incavato. Il mostro fu scaraventato a diverse iarde di distanza, rimbalzò sulla parete di roccia e atterrò su mani e ginocchia. Eragon aggirò Roran, che aveva il fianco sinistro intriso di sangue, e parò la spada dell'altro Ra'zac. Fece una finta, diede un colpetto alla lama del Ra'zac per provocarlo, e quando il Ra'zac tentò un affondo contro la sua gola, fece mulinare l'altra estremità del bastone e deviò il colpo. Senza un attimo di tregua, Eragon si slanciò in avanti e piantò l'estremità di legno del bastone nell'addome del Ra'zac.

Se Eragon avesse impugnato Zar'roc, la creatura sarebbe morta all'istante. Ma qualcosa si spezzò dentro il Ra'zac, che rotolò sul pavimento della grotta per diversi passi. Subito però si rimise in piedi di scatto, lasciando una scia di sangue bluastro sulla roccia scabra.

Mi serve una spada, pensò Eragon.

Assunse una posizione di attesa mentre i due Ra'zac convergevano su di lui: non aveva scelta se non resistere all'attacco simultaneo, perché era l'unica cosa che si frapponeva fra quei mangiacarogne artigliati e Roran. Cominciò a formulare lo stesso incantesimo che aveva funzionato contro il Lethrblaka, ma i Ra'zac sferrarono una rapida successione di fendenti dal basso e dall'alto prima che lui riuscisse a pronunciare una sola sillaba.

Le spade si abbatterono sul legno di biancospino con un tonfo sordo, ma non riuscirono a intaccare né a graffiare il legno stregato.

Sinistra, destra, in alto, in basso. Eragon non pensava: agiva e reagiva sotto gli affondi incessanti dei Ra'zac. Il bastone era l'ideale per combattere più avversari, perché si poteva colpire e parare con entrambe le estremità, spesso simultaneamente, ed Eragon lo trovò utilissimo in quel frangente. Ansimava; il sudore gli gocciolava dalla fronte e si raccoglieva agli angoli degli occhi; aveva la schiena e le ascelle madide. La foschia rossastra della battaglia gli annebbiava la vista e pulsava al ritmo delle contrazioni del suo cuore.

Non si sentiva mai così vivo, e così spaventato, come quando combatteva.

Le sue difese magiche erano deboli, dato che aveva dedicato la maggior parte della sua attenzione a Saphira e Roran. Quando alla fine si esaurirono, il Ra'zac più piccolo lo ferì al lato esterno del ginocchio sinistro. Non una ferita mortale, ma pur sempre grave, perché la gamba sinistra non riusciva più a sostenere il peso del corpo.

Afferrando il bastone dal puntale, Eragon lo roteò come una mazza e colpì con violenza la testa di un Ra'zac. La creatura crollò a terra, ma era impossibile dire se fosse morta o soltanto svenuta. Avanzando contro il Ra'zac rimasto, Eragon lo colpì alle braccia e alle spalle e, con un'improvvisa torsione del polso, gli fece volare via la spada dalla mano.

Prima che Eragon potesse finirlo, il Lethrblaka accecato e con l'ala rotta attraversò in volo la grotta e si schiantò contro la parete opposta, provocando una pioggia di detriti rocciosi staccatosi dal soffitto. La scena e il fragore furono così impressionanti che Eragon, Roran e il Ra'zac si rannicchiarono d'istinto.

Balzando sul Lethrblaka ferito, che aveva appena colpito con un calcio, Saphira affondò le zanne nella nuca muscolosa della creatura. Il Lethrblaka si dimenò in un estremo tentativo di liberarsi, poi Saphira scrollò la testa da un lato e dall'altro e gli spezzò la spina dorsale. Levandosi al di sopra del cadavere insanguinato, la dragonessa squassò la grotta con un selvaggio ruggito di trionfo.

L'altro Lethrblaka non esitò. Si avventò su Saphira e le affondò gli artigli sotto il bordo delle squame, trascinandola in un vortice incontrollato. Le due creature rotolarono avvinghiate fino all'imboccatura della grotta, rimasero in bilico sul ciglio per un istante e poi piombarono di sotto, continuando a lottare. Allontanarsi dal raggio di azione di Eragon era una tattica astuta da parte del Lethrblaka, perché al giovane era difficile scagliare un incantesimo su ciò che non poteva percepire con almeno uno dei cinque sensi.

Saphira! gridò Eragon.

Pensa a te stesso. Questo non mi sfugge.

Eragon si volse di scatto, appena in tempo per vedere i due Ra'zac svanire nelle viscere della galleria più vicina, il più grande abbandonato contro il più piccolo. Chiuse gli occhi e identificò le menti dei prigionieri dell'Helgrind, mormorò qualche frase nell'antica lingua e poi si rivolse a Roran. «Ho sigillato l'ingresso della cella di Katrina, così i Ra'zac non potranno usarla come ostaggio. Soltanto tu e io possiamo aprire quella porta, adesso.»

«Bene» disse Roran a denti stretti. «Non puoi fare qualcosa per questa?» Col mento indicò il punto che premeva con la mano destra. Il sangue gli scorreva fra le dita. Eragon tastò la ferita. Non appena la toccò, Roran trasalì e fece un salto indietro.

«Sei fortunato» disse Eragon. «La spada ha colpito una costola.» Con una mano sulla ferita e l'altra sui dodici diamanti nascosti nella cintura di Beloth il Savio, Eragon attinse al potere che aveva conservato nelle gemme. «Waíse heill!» Una serie di piccole onde increspò il fianco di Roran mentre la magia ricuciva la pelle e il muscolo.

Poi Eragon guarì la propria ferita, lo squarcio sul ginocchio sinistro. Una volta finito, si alzò e guardò verso il punto dov'era scomparsa Saphira. Il loro legame mentale si andava assottigliando via via che la dragonessa si allontanava verso il Lago di Leona all'inseguimento del Lethrblaka. Avrebbe tanto voluto aiutarla, ma sapeva che al momento Saphira avrebbe dovuto cavarsela da sola.

«Sbrigati» disse Roran. «Ci stanno sfuggendo!»

«Giusto.»

Soppesando il bastone, Eragon s'incamminò nella galleria semibuia, con lo sguardo che guizzava da una sporgenza rocciosa all'altra, ben sapendo che i Ra'zac avrebbero potuto tendergli un agguato in ogni momento. Si muoveva adagio, affinché i passi non echeggiassero nel tunnel tortuoso. Quando si appoggiò alla roccia per reggersi, scoprì che era coperta da una sostanza viscida.

Dopo una ventina di iarde avevano fatto così tante curve che la grotta principale non si vedeva più e piombarono in una tenebra così assoluta che nemmeno Eragon riusciva a scorgere niente.

«Forse per te è diverso, ma io non posso combattere al buio» sussurrò Roran.

«Se creo una luce, i Ra'zac non si avvicineranno, non adesso che ho trovato un incantesimo che su di loro funziona. Resteranno nascosti finché non ce ne andremo. Dovremo ucciderli mentre ne abbiamo l'opportunità.»

«E io che faccio? È più facile urtare contro una roccia e rompermi il naso che trovare quei due scarafaggi... Potrebbero strisciarci alle spalle e assalirci di sorpresa.»

«Ssst... Tieniti stretto alla mia cintura e stai pronto a chinarti.»

Eragon non riusciva a vedere, ma poteva ancora sentire, fiutare, toccare e gustare, e questo gli permetteva di avere un'idea abbastanza precisa di quanto c'era nei dintorni. Il pericolo maggiore era rappresentato da un eventuale attacco a distanza dei Ra'zac, magari armati di arco, ma era sicuro di avere i riflessi abbastanza pronti da poter salvare se stesso e Roran da una freccia.

Una corrente d'aria gli solleticò la pelle, poi si interruppe e prese a soffiare nella direzione opposta mentre la pressione dall'esterno aumentava e diminuiva. Il ciclo si ripeteva a intervalli irregolari, creando ondate invisibili che lo sfioravano come il getto spumeggiante di una fontana.

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