Siamo tutti partigiani di noi stessi, ognuno di noi, quando è costretto, è un combattente, e i vestiti sono la nostra armatura, racchiudono morbidi le nostre incerte corporature, mentre la nostra carne è il tessuto mortale così adatto alla mischia. Dal primo all’ultimo degli uomini, siamo tutti soldati, eppure ci sono quelli che anche di fronte alla morte non scoprono mai l’eccitante ferocia che questa marziale rivelazione richiede, dato che il loro particolare carattere ha bisogno di una combinazione di circostanze e motivazioni che non si è prodotta. I tiranni semplicemente astuti depredano la tollerante intelligenza di coloro che sono migliori di loro. Con la brutalità, gli eserciti forgiano nelle truppe quella fratellanza che dovrebbero estendere a tutti gli altri, e poi mettono l’uno contro l’altro. La nostra luogotenente fa qualcosa di simile su di me? Tiene anche me nel suo incantesimo? Avrei agito diversamente se fosse stata un uomo? E devo scoprire al momento della morte una capacità di sofferenza volontaria e un fatalismo che non avevo mai sospettato durante la vita?
Forse la caduta dalla ricchezza e da un ordinamento sociale a questa brutale assenza di regole imposta dalle armi ha talmente corroso il mio senso della dignità che posso considerare con relativa equanimità la mia resa al processo di eliminazione: sono una foglia sospesa che sente il respiro della tempesta e si lascia andare, lieta. Adesso credo di essermi dimostrato miope, nel non rendermi conto che, anche quando viviamo in epoche di pace, quei periodi sono solo la riserva che prepara il loro opposto, proprio come la ricchezza accumulata, bifronte, implica nel suo dono la povertà. Siamo l’unico animale perverso per natura; non dovrebbe essere una sorpresa, per me, che questa valutazione si adatti alle questioni più generali esattamente come a circostanze più intime. Compiliamo regole per le relazioni fra sistemi, stati e fedi, e per quelle fra noi stessi, ma sono scritte sull’onda del momento, e per quanto le eludiamo, le glossiamo, le selezioniamo, per quanto cambiamo opinione e siamo abilmente maldestri nelle nostre modifiche, giustificazioni e pretesti epiciclici, finiamo sempre presi nelle nostre pastoie, e impigliati nei nostri fili ricadiamo sugli altri, non meglio preparati di noi.
Con una parte di me, colma di risentimento e frustrata da tanta sopportazione, me ne starei disteso qui sotto per un’accorta simulazione, radunando le forze, raccogliendo tutte le risorse, per poi balzare all’improvviso, prendendoli di sorpresa, afferrare un fucile, rovesciare la situazione e piegarli al mio volere, costringendoli ad accettare la mia autorità e a prendere la direzione che desidero.
Ma questo non sono io. Io sono ancora perduto nel mio corpo: le comunicazioni fra le varie parti sono ancora frammentarie, le gambe formicolano, le mani sono involontariamente serrate, la testa e le costole mi dolgono, la bocca riesce solo a gocciolare saliva; se cercassi di saltare non otterrei più di uno strattone, e se davvero riuscissi a mettermi in piedi un bambino potrebbe abbattermi con una spinta, e se anche afferrassi una pistola probabilmente sbaglierei mira o sarei vinto dal bottone di una fondina.
E anche se stessi bene di corpo e di spirito, dubito che potrei indossare la veste del comandante. Questi soldati sanno cosa vogliono fare, hanno una missione e seguono il loro corso, sono all’interno del loro ambiente naturale, per quanto possano soffrirne, per quanto possano bramare di riassumere abiti civili. Ma per me quello stato è l’unico in cui potrei essere me stesso, l’unico che riesco a comprendere e che non solo ha senso per me, ma è l’unico in cui io abbia un senso.
Vorrei tornare da te, mia cara, e al nostro castello, e poi essere libero di stare o andarmene a seconda dei nostri desideri, ecco tutto. Ma se mi levassi e prendessi una pistola — ammesso che ci riuscissi — se arrivassi a comandare, otterrei mai quel risultato? Potrei ucciderli tutti e tornare a salvarti? Uccidere la luogotenente, la tua nuova amante, e uccidere gli altri? Credo che su questa jeep viaggino anche Mister Taglio e Karma, anche se non sono sicuro che ci siano né — se ci sono — di come faccia io a saperlo.
Troppe cose sono imponderabili. Ci sono troppe cose da pensare.
Potrei saltare su e scappare, forse, evitando in qualche modo i loro spari; potrebbero lasciarmi andare, potrei non valere la fatica di un inseguimento. Ma per andare dove? Posso abbandonare te, abbandonare il castello? Voi due siete il mio contesto e la mia società, solo in voi e grazie a voi trovo e definisco me stesso. Benché entrambi siate stati catturati, l’uno rovinato per sempre, l’altra, per il momento, trattenuta con le lusinghe, io continuo a non avere un’esistenza reale senza di voi.
Sono senza risorse. Le scelte che hanno portato a questa conclusione si perdono troppo indietro nel tempo, lungo la strada o all’inizio della corrente — anche il modo di considerarlo è una nostra scelta — per poter fare qualche differenza adesso. Se fossi sempre stato un uomo d’azione, o se non ti avessi amata in questo modo, o fossi stato meno indiscreto, o avessi amato di meno il castello e l’avessi lasciato quando lasciarlo era più facile — o se l’avessi amato un po’ di più, così da essere disposto a morire lì invece di sperare di fuggire lontano per poi ritornare — allora forse non mi troverei steso qui sotto. Forse se mi fossi concentrato meno su di te e sul castello, e tu su di me, e se fossimo stati creature più convenzionalmente sociali, meno orgogliose del nostro rifiuto di nascondere ciò che provavamo l’uno per l’altra, forse anche così le cose sarebbero state diverse.
Perché siamo stati orgogliosi e sprezzanti, non è vero, mia cara? Fossimo stati più prudenti, meno sdegnosi, avessimo nascosto le nostre azioni e il nostro disprezzo per la trita morale del branco, avremmo forse conservato la più ampia rete di amici, conoscenti e contatti che poco alla volta si è sfilacciata attorno a noi, al diffondersi della verità sui nostri rapporti. Non è stata nemmeno solo quella consapevolezza che gradualmente ci ha isolati, era piuttosto l’impossibilità di negare quella percezione, perché la gente sa tollerare moltissimo negli altri, soprattutto in coloro la cui stima viene ritenuta degna di essere conquistata, ma solo se chi possiede quella conoscenza può fingere con verosimiglianza, con se stesso e con gli altri, di non sapere ciò che in realtà sa.
Tuttavia, quell’autoinganno a noi non bastava; sembrava una parte di quella moralità fuori moda che avevamo due volte negato, per mezzo della nostra unione proibita e per l’ampio raggio di relazioni poco meno scandalose a cui partecipavamo e che incoraggiavamo. E così, nella nostra vanità, dopo aver scoperto uno stimolo in quei primi scandali, desiderosi forse di nuove vie per scandalizzare, abbiamo reso troppo difficile per coloro che ci circondavano, e che avevano una minima considerazione per il giudizio degli altri, il negare ciò che eravamo e cosa facevamo.
Avevamo ancora amici, e venivamo ricevuti abbastanza civilmente nella maggior parte dei posti che avevamo conosciuto, e nessuno con una casa come la nostra, con cantine ben fornite e una generosa disposizione, ha mai fatto fatica a trovare gente che affollasse un party, ma nondimeno ci siamo resi conto che calavano gli inviti nelle altre grandi case, così come il tipo e la scala degli eventi pubblici in cui un minimo investimento nelle azioni della morale convenzionale era uno dei requisiti d’ingresso.
In quel tempo, accettavamo la nostra condizione di quasi reietti con l’indignazione dell’altezzosità, e non ci mancavano gli zelanti accoliti disposti a incoraggiare una tale convinzione. In seguito, quando tutti sono finiti in guerra e le terre attorno a noi si sono svuotate, quella selezione ci sembrò nient’altro che un riconoscimento del nostro coraggioso e volontario distacco, e dichiaravamo compiaciuti, ai pochi ancora lì ad ascoltarci, che i vigliacchi che erano fuggiti ci avevano finalmente lasciato in pace. Ancora più tardi, quando ormai potevamo parlare solo fra noi, abbiamo smesso di accennare a simili cose, e forse speravamo che, al sicuro nella nostra casa ormai vuota, le ostilità che si avvicinavano potessero anch’esse ignorarci, così come aveva fatto il resto della società.
Читать дальше