Il bagno, dove aveva pianto dopo aver avuto il suo primo ciclo. La piccola stanza adibita a lavanderia, dove aveva cercato di rimuovere l’odore di birra che si era rovesciata sulla camicetta dopo essere rincasata a tarda notte quando aveva quindici anni.
E poi, in fondo al corridoio, ecco la camera dei suoi genitori, la camera che popolava i suoi incubi da troppo tempo ormai. La porta era aperta, come un invito ad entrare. Mackenzie però non lo fece; rimase invece sulla soglia, con le braccia conserte, e guardò dentro. Con la luce del sole che filtrava attraverso le finestre crepate e impolverate, la stanza aveva quasi un che di etereo. Sarebbe stato facile lasciarsi suggestionare e credere che quel luogo fosse infestato, oppure maledetto. Ma Mackenzie sapeva che nessuna delle due cose era vera. In quella stanza era morto un uomo e il suo sangue era ancora sulla moquette; ma lo stesso era vero per innumerevoli altre camere nel mondo. E quella non era più speciale delle altre, quindi perché doveva avere tutto quel potere su di lei?
Credi pure di essere dura e tenace, disse una parte più saggia di lei. Ma se non risolvi il caso stavolta, questa camera ti perseguiterà per sempre. Faresti prima a richiuderti qui dentro e buttare la chiave.
Mackenzie si allontanò dalla porta per uscire di casa. Raggiunse il retro della casa, dove si trovava l’unico ingresso per lo scantinato. La porta era imbarcata e fu semplice aprirla. Appena mise piede all’interno per poco non gridò alla vista di un serpente verde che strisciava in un angolo. Rise tra sé poi entrò nell’ambiente polveroso. C’era un tanfo di terra vecchia e decomposizione. Era un luogo dimenticato con polvere e ragnatele ovunque. Polvere, muffa e marciume. Era difficile immaginare che quello era il posto in cui un tempo era eccitata di avventurarsi quando era tempo di tirare fuori la sua bici in primavera per fare dei giri in cortile. Era lì che suo padre teneva il tosaerba e il decespugliatore e sua madre i barattoli di vetro vuoti per conserve e marmellate.
Sopraffatta dai ricordi e dall’odore rancido, Mackenzie tornò fuori. Andò alla macchina, ma non riuscì ancora ad andarsene. Come uno spettro annoiato, tornò ancora una volta dentro casa. Ancora una volta percorse il corridoio che portava alla camera dei suoi genitori.
Mentre osservava la stanza, lentamente iniziò a capire la strada che avrebbe dovuto intraprendere. La sera prima ci era andata vicina, mentre raggiungeva Belton. Non c’era niente per lei in quella vecchia stanza vuota, se non macabri ricordi. Se voleva fare progressi concreti col caso, avrebbe dovuto mettersi a scavare un po’.
Sarebbe dovuta tornare a girare le strade di cui, da ragazzina, temeva non si sarebbe mai liberata.
***
Dopo aver ottenuto un posto nella Polizia di Stato, a ventitré anni, si era distaccata così tanto da Belton che col passare degli anni non ricordava quasi nulla del paesino. Non aveva idea di quali attività fossero ancora aperte. E non aveva idea di chi fosse morto e chi invece avesse raggiunto la vecchiaia.
Certo, mancava da Belton solo da poco più di dieci anni, ma si sa che in una piccola cittadina come quella bastava anche soltanto un anno a causare cambiamenti drastici, che si trattasse dell’economia, delle case o dei decessi. D’altra parte sapeva anche che le piccole città tendevano a mantenere le proprie radici ben salde nelle tradizioni. Per questo motivo Mackenzie si diresse in un negozio di attrezzature agricole al confine orientale della città.
Il negozio si chiamava Atkins Farm and Tractor Supply e un tempo, molto prima che Mackenzie nascesse, era stato il principale centro d’affari della città. O almeno così le aveva raccontato il padre. Adesso invece era l’ombra di se stesso. Quando Mackenzie era piccola, era lì che gli agricoltori potevano trovare semi di ogni sorta; come la maggior parte dei negozi del Nebraska, era specializzato in granoturco. Vendeva anche piccoli attrezzi agricoli, accessori e oggetti per la casa.
Quando entrò nel negozio, quindici minuti dopo essersi allontanata dalla porta della camera in cui era morto suo padre, Mackenzie si sentì quasi triste per i proprietari. L’intera parte posteriore del negozio, dove un tempo si trovavano le attrezzature e i semi, era stata smantellata. Adesso lì c’era solo un vecchio tavolo da biliardo. Il negozio offriva ancora semi, ma non c’era grande scelta. L’area più ampia del locale infatti era dedicata a fiori e semi di piante da appartamento. Un piccolo refrigeratore conteneva esche da pesca (pesciolini e lombrichi, stando al cartello scritto a mano), mentre dietro al bancone principale c’era un espositore molto impolverato con canne e valigette da pesca.
Dietro al bancone c’erano due uomini anziani. Uno stava girando il cucchiaino nella tazza del caffè, mentre l’altro sfogliava un catalogo cartaceo. Mackenzie si avvicinò al bancone, non sapendo bene quale approccio scegliere: la persona del posto che torna dopo una lunga assenza, oppure l’agente dell’FBI venuta a rivangare vecchi fatti per un caso.
Decise di improvvisare. Quando fu a pochi passi dal bancone, entrambi gli uomini sollevarono lo sguardo su di lei contemporaneamente. Mackenzie li riconobbe entrambi, ma conosceva solo il nome di quello che sfogliava il catalogo.
“Signor Atkins?” gli disse, pensando che forse sarebbe riuscita ad interpretare entrambi i ruoli e ottenere informazioni oneste, sempre ammesso che ce ne fossero.
Wendell Atkins era più vecchio di dodici anni dall’ultima volta che Mackenzie l’aveva visto, ma sembrava invecchiato almeno di venti. Mackenzie calcolò che dovesse avere più di settant’anni ormai.
L’uomo le sorrise inclinando la testa. “Hai un viso familiare, ma non so se ricordo il tuo nome. Sarà meglio che me lo dica tu, altrimenti potrei restare qui a pensarci tutto il giorno.”
“Sono Mackenzie White. Sono nata e cresciuta a Belton, fino all’età di diciotto anni.”
“White... tua mare era Patricia?”
“Esatto, signore, sono io.”
“Santo cielo, non ti vedo da un sacco di tempo. A quanto ho sentito lavori per la Polizia di Stato, vero?”
“Sì, sono stata una detective per un po’” disse Mackenzie. “Ma adesso lavoro a Washington DC. Sono nell’FBI.”
Sorrise tra se e se perché sapeva che nel giro di un’ora, Wendell Atkins avrebbe detto a tutti della visita di Mackenzie White, la ragazza del posto che se n’era andata a Washington ed era diventata una federale. E se si fosse sparsa la voce, Mackenzie immaginò che qualcuno avrebbe ricominciato a parlare di quello che era successo a suo padre. Era così che si spargevano le informazioni nelle piccole città.
“Ma davvero?” fece Atkins. Persino il suo amico sollevò lo sguardo dalla sua tazza di caffè, sembrando molto interessato.
“Esatto, signore. In realtà è proprio per lavoro che sono qui. Sono tornata a Belton per indagare su un vecchio caso. Il caso di mio padre.”
“Oh no” disse Atkins. “È vero... non hanno mai trovato l’assassino, vero?”
“Purtroppo no. Di recente ci sono stati alcuni omicidi a Omaha che riteniamo collegati a quello di mio padre. Sono venuta qui semplicemente perché ricordo che quando ero piccola mio padre ci veniva spesso. Era qui che gli uomini si trovavano per sedersi a bere un caffè e fare due chiacchiere, giusto?”
“Sì, è così... anche se non era sempre caffè quello che bevevamo” ammise Wendell con una rauca risata.
“Mi chiedevo se poteste dirmi qualunque cosa vi ricordate di aver sentito dopo l’uccisione di mio padre. Anche se pensate che siano solo voci, voglio sapere tutto.”
“Beh, agente White” disse l’uomo in tono scherzoso, “mi dispiace ma alcune cose non erano carine.”
“Non mi aspetto che lo siano.”
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