Era andato in pensione per qualche anno. Aveva girovagato. Vagabondato. Viaggiato per il mondo. Aveva preso troppe droghe. Aveva bevuto troppo. Aveva fatto troppo… di tutto. Entrare nella politica della destra radicale probabilmente gli aveva salvato la vita. Aveva sostituito tutta la robaccia con l’autodisciplina e una visione dell’America che aveva scoperto di condividere con molta gente – un ritorno ai tempi più semplici degli albori.
Tempi in cui la supremazia dei bianchi non era in questione. Tempi in cui il matrimonio era tra un uomo e una donna. Tempi in cui un giovane poteva uscire da scuola a diciotto anni, entrare in una fabbrica e trascorrere il resto della sua vita lavorativa lì dentro, facendo tutti i soldi di cui aveva bisogno per mantenere la sua famiglia.
C’era dell’altro, ovvio, molto altro. Cose più oscure, cose per cui serviva uno stomaco forte, cose che non erano adatte a un consumo più ampio. Aveva grandi piani. Avrebbero ripulito il paese, una volta per tutte. Ma non era cosa che si poteva dire in pubblico, no? Non ancora.
Gerry lo Squalo si alzò dalla scrivania e attraversò la distesa di stanze. C’era qualche segretaria, ma la maggior parte della gente lavorava fuori. Gerry era lì non solo perché era lo stratega di punta, ma anche perché era il body man del capo, il suo assistente più fidato – e non gli piaceva non avere sotto gli occhi il vecchio.
Erano arrivati in volo da Louisville quel pomeriggio. Il suo capo era proprietario di quel… come lo si può chiamare? Appartamento? Certo, un appartamento con dieci camere, dodici bagni e mezza dozzina di uffici con una sala conferenze e una sala da pranzo per lo staff. Prendeva un piano intero di uno dei più alti e costosi hotel del mondo. Quell’hotel era il luogo in cui si era svolta la storia americana. Lì John F. Kennedy aveva avuto i suoi molti appuntamenti segreti pomeridiani. Lì.
Ci avrebbero trascorso la notte. Avevano del lavoro importante da sbrigare a Washington DC la mattina dopo, presto.
Gerry percorse sciolto il corridoio, pose la chiave magnetica sul sensore e passò nelle zone giorno. Il salotto di fronte era arredato con opulento stile da vecchio mondo, come la stanza di una villa vittoriana.
Un uomo dai capelli bianchi stava in piedi presso un’alta finestra, le tende scostate. Fissava la notte. Indossava un tre pezzi nonostante fosse a casa sua e non avesse intenzione di uscire. Le camicie dal colletto aperto erano una sciocchezza, ovviamente. A lui piaceva vestirsi bene come tutti.
Teneva in mano un martini. Il bicchiere sembrava minuscolo. Erano le mani – nonostante l’abito elegante dell’uomo, e la sua evidente salute, aveva le grosse mani nodose di una persona cresciuta facendo lavori manuali, e parecchi. Le mani dicevano: Cosa c’è di sbagliato in questo quadretto?
Era una notte fresca nella capitale della nazione, e il vento ululava fuori dalla finestra, un poco appena. Il vecchio guardava lo scenario dell’immensa estesa urbana e le luci della città. Gerry sapeva che persino dopo tutti quei decenni il ragazzo di campagna dentro al vecchio era abbagliato dalle luci della città.
“Come va la guerra?” disse Jefferson Monroe, presidente eletto degli Stati Uniti, nella sua dolce cadenza del sud.
“Benissimo,” disse Gerry, e diceva sul serio. “È in guai seri e non sa cosa fare. La dichiarazione di oggi ha chiarito il concetto. Non intende sgombrare la presidenza? Fa proprio il nostro gioco. Si sta isolando – l’opinione pubblica passerà dalla nostra parte. Se ce la giochiamo bene, potremmo riuscire a farla uscire di lì prima del previsto. Penso che dobbiamo far salire la pressione – farle lasciare la presidenza in anticipo, molto prima che si concluda un’indagine su brogli elettorali. Poi cancelliamo l’indagine noi.”
Il vecchio si voltò dall’alta finestra. “Ci sono precedenti di un presidente che abbia ceduto il potere in anticipo?”
Gerry lo Squalo scosse la testa. “No.”
“Allora come facciamo?”
Adesso Gerry sorrise. “Ho qualche idea.”
18:47 ora della costa orientale
Studio Ovale
Casa Bianca, Washington DC
Era sola quando accompagnarono nella stanza Luke.
Per un attimo, lui credette che stesse dormendo. Era seduta nel salottino, accasciata su una delle poltrone. Sembrava una bambola di pezza rotta, o una ragazzina delle superiori che mostra disprezzo per l’insegnante con quella postura da fannullona.
La nuova Resolute desk incombeva dietro di lei. I pesanti drappi erano tirati, bloccando le alte finestre. Sul pavimento, lungo i margini del tappeto ovale, era stampata un’iscrizione:
L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa – Franklin Delano Roosevelt
Le parole facevano tutto il giro del tappeto, terminando proprio dove erano cominciate.
Indossava pantaloni azzurri e una camicia bianca. La giacca era appesa sullo schienale di una sedia. Si era tolta le scarpe, che giacevano storte sul tappeto.
Nonostante la postura, aveva gli occhi acuti e vivi. Lo osservavano.
“Ciao, Susan,” disse.
“Hai visto la conferenza stampa?” disse.
Scosse la testa. “Ho smesso di guardare la tv più di un anno fa. Da allora mi sento molto meglio. Dovresti provare.”
“Ho detto al popolo americano che non mi dimetto.”
Luke quasi rise. “Scommetto che la cosa è stata accolta benissimo. Cos’è successo? Questo lavoro ti piace così tanto che non vuoi lasciarlo? Sono piuttosto sicuro che non funzioni così.”
Le apparve un piccolo sorriso in volto. Il sorriso, a malapena presente, gli ricordò perché un tempo fosse stata una top model. Era bellissima. Aveva un sorriso che poteva illuminare una stanza. Poteva illuminare il cielo.
“Hanno rubato le elezioni.”
“Ovviamente,” disse lui. “E adesso tu le rubi a tua volta. Mi pare un bel piano.” Fece una pausa. Poi le disse quello che pensava sinceramente. “Senti, penso che tu stia meglio senza questo lavoro. Adesso non avranno più Susan Hopkins da maltrattare. Lascia che scoprano quanto vanno peggio le cose senza di te. Ti imploreranno di tornare.”
Scosse la testa, il sorriso che si faceva più luminoso. “Non credo che funzioni così.”
“Non lo credo neanch’io,” disse lui.
Scosse la testa. Le sfuggì un lungo sospiro.
“Dove sei stato, Luke Stone? Saresti dovuto rimanere qui. Ci siamo divertiti parecchio qui, una volta scemato un po’ il caos. Abbiamo fatto del gran bene. E tu dovevi insegnarmi a sparare. Ti ricordi?”
Strinse le spalle. “Sì. Volevi sparare al capo dello stato maggiore congiunto. Me lo ricordo. Però non sparo da nove mesi. Andavo al poligono una volta ogni tanto, per tenermi in esercizio. Poi ho pensato, perché preoccuparsene? Non voglio sparare a nessuno. E anche se un giorno dovessi farlo, sono piuttosto sicuro che l’esperienza mi tornerà.”
“Come andare in bicicletta?” disse.
Sorrise. “O caderne.”
Si mise seduta dritta e indicò la sedia di fronte a lei. “Davvero non sai cosa sta succedendo?”
Luke si accomodò sulla sedia. Era una sedia con la spalliera dritta, né comoda né scomoda. “Ho sentito qualche tuono in lontananza. Il nuovo è di destra estrema. Non gli piacciono i cinesi. Riporterà il lavoro manifatturiero. Non so bene come – sparerà a tutti i macchinari? In ogni caso, se è quello che vuole il popolo…”
“L’ignoranza è una benedizione, immagino,” disse Susan.
“Non esattamente una benedizione, però…”
“È un fascista,” disse lei. “È un miliardario, un barone brigante che ha finanziato i gruppi di suprematisti bianchi per decenni, apparentemente anche quando era al Senato. Progetta di andare in guerra contro la Cina il primo giorno in carica, probabilmente con colpi nucleari tattici, anche se non so bene quante persone ci credano davvero. Vuole costruire recinzioni e mura difensive attorno alle Chinatown delle città americane. Le sue osservazioni indicano disprezzo per le minoranze, per i gay, per i disabili, per chiunque non sia d’accordo con lui, così come sprezzo per l’indipendenza degli organi giudiziari del governo.”
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