Jack Mars - Operazione Presidente

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“Uno dei migliori thriller che abbia letto quest’anno. La trama è intelligente, e aggancia dal primo momento. L’autore ha fatto un lavoro superbo nel creare una serie di personaggi pienamente sviluppati e davvero interessanti. Non vedo l’ora di leggere il seguito.”--Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su A ogni costo) OPERAZIONE PRESIDENTE è il libro 5 della serie thriller best-seller di Luke Stone, che comincia con A OGNI COSTO (libro 1)!Quando la Cina manda in bancarotta l’economia statunitense incassando il debito e chiudendo il Mar Cinese Meridionale, gli americani necessitano di un cambiamento radicale. La presidente Susan Hopkins, in corsa per la rielezione, resta di sasso nel vedere ciò che accade. Il suo rivale, un folle senatore dell’Alabama che persegue con la promessa di espellere tutti i cinesi e distruggere col nucleare le navi cinesi fuori dal Mar Cinese Meridionale, incredibilmente ha vinto.La presidente Hopkins, però, sa di non poter cedere il potere. Farlo vorrebbe dire causare la scintilla della Terza guerra mondiale.Sapendo che le elezioni sono state rubate, la presidente Hopkins ha bisogno di quarantotto ore per dimostrarlo e per fermare l’escalation di giochi di guerra con i cinesi. Senza nessuno ormai a cui rivolgersi, convoca Luke Stone, l’ex capo di una squadra d’élite paramilitare dell’FBI. Gli interessi in gioco non potrebbero essere più grossi quando gli ordina di salvare l’America dalla sua minaccia più grande: il suo stesso presidente eletto.Eppure, con uno scioccante colpo di scena dopo l’altro, persino per Luke Stone potrebbe essere troppo tardi.Thriller politico dall’azione continua, con drammatiche ambientazioni internazionali e suspense al cardiopalma, OPERAZIONE PRESIDENTE è il libro numero 5 della serie best-seller acclamata dalla critica di Luke Stone, un’esplosiva nuova serie che vi costringerà a girare pagina fino alla rivelazione finale. “La narrativa thriller al suo meglio. I fan del genere che apprezzano l’esecuzione precisa di un thriller internazionale, pur cercando profondità psicologica e credibilità in un protagonista che affronta sfide contemporaneamente sul piano professionale e personale, troveranno qui una storia avvincente difficile da abbandonare.”--Midwest Book Review, Diane Donovan (a proposito di A ogni costo)Il libro 6 della serie di Luke Stone sarà presto disponibile.

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“BASTA!” rispose la folla all’unisono, un altro dei loro slogan preferiti. “BASTA! BASTA! BASTA!”

Kurt Kimball, frizzante, attento, grosso e forte come sempre, con una testa assolutamente calva, si mise davanti alla tv e usò il telecomando per togliere il sonoro.

Fu come se fosse stato rotto un incantesimo. Improvvisamente Susan fu di nuovo del tutto consapevole di ciò che la circondava. Era lì, nel salottino dello Studio Ovale con Kurt e la sua fidata assistente Amy, Kat Lopez, il segretario della Difesa Haley Lawrence e pochi altri. Quelli erano alcuni dei più fidati consiglieri di Susan.

Su un monitor a circuito chiuso c’era la vicepresidente di Susan, Marybeth Horning. Dopo il disastro di Mount Weather erano cambiati i protocolli di sicurezza. Marybeth e Susan non dovevano mai trovarsi nello stesso posto nello stesso momento. Ed era un peccato.

Marybeth era un’eroina per Susan. Era l’ex senatrice ultraliberale del Rhode Island che aveva tenuto corsi alla Brown per più di due decenni. Sembrava timida e fragile, con un caschetto di capelli grigi e occhiali dalla montatura rotonda da nonna.

Ma l’abito, in quel caso, non faceva il monaco. Era anche una tempestosa aizzatrice per i diritti dei lavoratori, delle donne, dei gay e dell’ambiente. Era la mente dell’iniziativa di successo sulla sanità che aveva lanciato l’amministrazione di Susan. Marybeth era nello stesso tempo un modesto genio, una storica e una feroce lottatrice politica dai denti aguzzi.

Altra cosa triste: Marybeth viveva nella vecchia casa di Susan sulla proprietà dell’Osservatorio navale. Quella casa era uno dei posti preferiti di Susan al mondo. Sarebbe stato bello andarci una volta ogni tanto.

“È un problema,” disse Kurt Kimball indicando la tv muta.

Susan quasi rise. “Kurt, ho sempre ammirato il tuo dono per la minimizzazione.”

Jefferson Monroe aveva fatto la promessa in campagna elettorale – la promessa! – che si sarebbe presentato al Congresso a caccia di una dichiarazione di guerra contro la Cina nel suo primo giorno ufficiale di presidenza. Anzi, e la maggior parte della gente aveva difficoltà a prendere la cosa seriamente, aveva insinuato che la prima mossa dell’esercito americano sarebbe consistita in attacchi tattici nucleari contro le isole artificiali della Cina nel Mar Cinese Meridionale. Aveva anche promesso che avrebbe fatto erigere dei muri di sicurezza attorno alle Chinatown di New York, Boston, San Francisco e Los Angeles. Aveva detto che avrebbe chiesto ai canadesi di fare lo stesso a Vancouver e a Calgary.

I canadesi, naturalmente, si erano mostrati riluttanti.

“Il paese è impazzito,” disse Kurt. “E ci si aspetta che Monroe le chieda ancora di tenere il discorso della sconfitta, Susan.”

Kat Lopez scosse la testa. In quanto capo di gabinetto di Susan, Kat era maturata e si era fatta sicura di sé negli ultimi due anni. Era anche invecchiata di una decina d’anni. Quando era arrivata era una trentasettenne giovanile e bella in modo surreale – adesso dimostrava i suoi trentanove anni pieni, e anche qualcosa di più. Le erano apparse in volto delle rughe, il grigio stava invadendo il nero corvino dei capelli.

“Glielo sconsiglio, Susan,” disse. “Abbiamo prove di estesa soppressione del voto di minoranze in cinque stati del Sud. Abbiamo il sospetto di una vera e propria manomissione delle macchine elettorali in Ohio, in Pennsylvania e nel Michigan. Il conteggio in molti posti è ancora troppo vicino perché la partita si possa considerare chiusa – solo perché le stazioni televisive hanno dichiarato suoi questi stati, non significa che dobbiamo farlo anche noi. Possiamo trascinare questa cosa per settimane, se non per mesi.”

“E causare una crisi di successione,” disse Kurt.

“Possiamo fronteggiarla,” disse Kat. “Ne abbiamo viste di peggiori. L’insediamento non si terrà che il venti gennaio. Se ci vuole così tanto, che così sia. Guadagniamo tempo. Se ci sono stati brogli, i nostri analisti lo scopriranno. Se c’è stata soppressione del voto come pensiamo, ci saranno cause legali. Nel frattempo governiamo ancora noi.”

“Su questo sono d’accordo con Kat,” intervenne Marybeth dal monitor. “Io dico che combattiamo finché non cadiamo.”

Susan guardò Haley Lawrence. Era alto e robusto, con scarmigliati capelli biondi. Aveva il completo così spiegazzato che sembrava quasi che ci fosse svenuto dentro. Sembrava essersi svegliato appena dieci minuti prima da un incostante sonno pieno di incubi. Tranne che per l’altezza uguale, lui e Kurt Kimball nell’aspetto erano quasi agli antipodi.

“Haley, sei tu l’unico repubblicano della stanza,” disse Susan. “Monroe è del tuo partito. Voglio sapere che cosa pensi tu della cosa, prima di decidere.”

Lawrence si prese un lungo momento prima di rispondere. “Non penso che Jefferson Monroe sia davvero un repubblicano. Le sue idee sono molto più radicali che conservatrici. Si circonda di gang di giovani teppisti. Ha trascorso l’ultimo anno facendo leva sulle più ingenue e basilari nozioni della gente rabbiosa e risentita. È un pericolo per la pace mondiale, per l’ordine sociale e per gli stessi ideali sui quali è stato fondato questo paese.”

Haley fece un respiro profondo. “Odierei vedere lui e i tipi come lui occupare questo ufficio e questo edificio, anche se si scopre che ha vinto davvero. Se fossi in lei, lo ostacolerei il più a lungo possibile.”

Susan annuì. Era quello che voleva sentire. Era ora di prepararsi alla battaglia. “Ottimo. Non terrò il discorso della sconfitta. Non ce ne andiamo da nessuna parte.”

Kurt Kimball sollevò una mano. “Susan, sarò d’accordo con qualsiasi cosa lei voglia fare, fin quando avrà presente le potenziali conseguenze di queste azioni.”

“Quali sono?”

Cominciò a enumerarle sulle dita, in quello che non sembrava un ordine specifico, come se fosse pronto a descriverne ciascuna come gli venivano in mente.

“Non sostenendo volontariamente la carica, sta rompendo una tradizione di due secoli. Verrà chiamata traditrice, usurpatrice, aspirante dittatrice, e probabilmente di peggio. Infrangerà la legge, e alla fine potrebbero esser mosse contro di lei delle accuse formali. Se non sorgono prove di brogli elettorali, lei farà la figura della vanesia e della sciocca. Potrebbe danneggiare il suo posto nei libri di storia – in questo momento ha una reputazione eccellente.”

Adesso sollevò la mano Susan.

“Kurt, comprendo le conseguenze,” disse, e fece un respiro profondo.

“E io dico, portiamole in scena.”

CAPITOLO QUATTRO

11 novembre

16:15 ora della costa orientale

Cimitero di Mount Carmel

Reston, Virginia

Una sola rosa rossa, appena recisa, giaceva sull’erba marrone. Luke fissò il nome e l’epitaffio incisi sul marmo nero luccicante.

REBECCA ST. JOHN

Vivere, ridere, amare.

La tetra giornata uggiosa stava già svanendo e arrivava la sera. Sentì un brivido attraversalo. Era stanchissimo per il lungo viaggio di ritorno all’est. Si era anche rasato, aveva i capelli corti – non era più protetto dal freddo dalla criniera ispida. Distolse lo sguardo dalla pietra e guardò il cimitero, righe su righe di lapidi che coprivano i pendii tondeggianti in una zona tranquilla dei sobborghi di Washington DC.

Sollevò lo sguardo sul cielo grigio piombo. Quando si erano sposati, Becca aveva preso il suo cognome. Apparentemente aveva scelto di scendere nella tomba con il suo cognome da nubile. La cosa lo aveva bruciato, nel profondo. La loro rottura era stata completa. Quasi agitò il pugno contro il cielo, contro Becca, ovunque si trovasse adesso.

La odiava? No. Però lo aveva fatto arrabbiare moltissimo. Lo aveva incolpato di tutto ciò che era andato male nel loro matrimonio, fino a includere la sua stessa morte di cancro.

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