Simone Arnold-Liebster - Sola di fronte al Leone

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Alsazia, anni Trenta. Simone, una ragazzina felice e spensierata, scopre a poco a poco la povertà, l'ingiustizia, l'intolleranza e quindi l'angoscia della guerra, degli arresti e degli interrogatori. A scuola, in città e ovunque è sempre più sola di fronte al ?Leone?, il sistema nazista avido di prede. Costanza, 8 luglio 1943. La porta dell'istituto Wessenberg viene serrata pesantemente. Simone viene separata con crudeltà da sua madre e internata in un riformatorio nazista. Privata di tutte le sue gioie. Sola nella tana del Leone? Con uno stile vivace e anche un tocco di umorismo, Simone Arnold Liebster narra la sua sopravvivenza a un mondo diventato improvvisamente tragico e duro, e la vittoria di una ragazzina normale e vulnerabile in lotta contro il Leone. La sua autobiografia dà alle vittime ignote del nazionalsocialismo un viso, un'identità. È anche una prova molto avvincente che la coscienza ha la forza di resistere a ogni manipolazione, anche sotto pressioni estreme. Fino a oggi il destino dei figli dei testimoni di Geova, che hanno rigettato l?ideologia nazista fin dai suoi albori, è stato totalmente occultato. Questo racconto, simile nella sua forma al Diario di Anna Frank, ci aiuterà a conoscerlo e a non dimenticare mai il pensiero riassunto da Primo Levi: ?Nel rileggere le cronache del nazismo, dai suoi inizi torbidi alla sua fine convulsa, non riesco sottrarmi all'impressione di una generale atmosfera di follia incontrollata che mi pare unica nella storia?.

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Questo libro documenta il mondo interiore di una piccola testimone di Geova perseguitata dai nazisti. È la chiave per comprendere la sua posizione, premessa a qualsiasi tipo di ricerca storica sull’argomento.

Hans Hesse

Storico tedesco

Primavera 2002

RINGRAZIAMENTI

Per quanto la memoria mi abbia permesso, ho raccontato la mia vita ricostruendo fedelmente i fatti. Nondimeno mi sento di ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutata a dare forma alla narrazione. Tra questi Germaine Villard, Françoise Milde, Adolphe Sperry, sua nipote Virginie ed Esther Martinez, che hanno effettuato ricerche a conferma dell’esattezza storica dei luoghi e degli avvenimenti rimasti nei miei ricordi. Ho anche confrontato le mie memorie con quelle, ancora molto vivide, di due altre testimoni oculari, Rose Gassmann e Maria Koehl. La signora Bautenbacher del Wessenberg’schen Erziehungsanstalt für Mädels e il Servizio degli Archivi della città di Costanza hanno collaborato con me per ritrovare i documenti relativi al mio internamento. Ringrazio lo scrittore Andreas Müller, che ha pubblicato la storia di mio marito, arricchendo il mio bagaglio culturale con numerose informazioni storiche sulle attività della Hitlerjugend. Altri documenti, soprattutto quelli fotografici, sono stati messi a disposizione dagli archivi della Watchtower Society a Brooklyn (New York) e delle rispettive filiali a Selters (Germania) e Thun (Svizzera), come pure dal Cercle Européen des Témoins de Jéhovah Anciens Déportés et Internés (Circolo Europeo dei Testimoni di Geova Ex Deportati e Internati), al quale aderisco.

I calorosi incoraggiamenti di due meravigliosi amici, il defunto Lloyd Barry e John Barr, mi hanno fornito la motivazione necessaria per scrivere.

È anche doveroso ricordare due persone che hanno avuto un ruolo decisivo nella realizzazione del mio libro. Per primo il mio editore Fred Siegel che mi ha costantemente sostenuta col suo ottimismo. Poi Jolene Chu, che mi ha messo a disposizione il suo scrupoloso talento letterario: con l’attenta lettura del manoscritto inglese, le brillanti osservazioni e una buona comunicativa è stata un impareggiabile aiuto. Questo lavoro ci ha unite in un forte legame affettivo; per me è diventata come una figlia che ha accettato di tramandare la mia vicenda quale personale eredità.

Un sentito grazie a Patrick Giusti, il mio prezioso segretario, che ha ricoperto in modo straordinario il ruolo di intermediario per il lavoro di tutti i traduttori in Europa.

Per la versione italiana ringrazio Gabriella Palermo e il team dei traduttori: Biancalisa Baroni, Cinzia Guiracocha, Lorena Gheza, Anna Ghezzi, Elena Necchi, Antonella Petrocchi, Gennaro Romano. Un buon traduttore è colui che, pur intervenendo sulla base del proprio bagaglio personale, accetta di rimanere nell’ombra per comprendere e rispettare sia il pensiero dell’autore sia i suoi sentimenti e i suoi modi di esprimersi: queste persone ne sono indiscutibilmente una fedele e avvincente immagine. Aggiungerò che la loro serietà, devozione, disponibilità e coinvolgimento nei confronti di vicende e personaggi del libro hanno contribuito a tessere tra noi profondi legami di amicizia. Di grande valore è stato il contributo di Marco Palermo, che ha pianificato e supervisionato in modo attento tutto il lavoro del gruppo.

Per finire, ringrazio Max, mio amato sposo, per la sua eccezionale pazienza e i suoi amorevoli incoraggiamenti.

INTRODUZIONE

Tutta l’Europa si stava preparando a celebrare il cinquantesimo anniversario della liberazione dal terrore nazista. Il mondo doveva ricordarsi ancora una volta di un periodo entrato nella storia con appellativi tanto inquietanti come “abisso”, “inferno”, “epoca di terrore” o “tenebre”. Anche un piccolo gruppo di testimoni oculari ha commemorato l’avvenimento: aveva portato il triangolo viola, contrassegno dei Testimoni di Geova nei campi di concentramento. Cominciando da Strasburgo e Parigi queste persone, me compresa, hanno visitato numerose città francesi per narrare la loro storia nell’ambito di esposizioni itineranti. I nostri racconti hanno suscitato molta curiosità, sia su fatti storici sia sul vissuto personale. Le insistenti domande dei visitatori mi hanno obbligata ad alzare a una a una le saracinesche solidamente serrate della mia memoria. Ho avuto l’impressione di ritrovare la mia infanzia, di tornare a essere la bimba di un tempo, con i suoi ricordi, sentimenti, gioie e paure. Le numerose interviste hanno proiettato luce sui miei sogni – e i miei incubi – e hanno richiamato gli orrori del mio passato. Tutto si è delineato con tanta vividezza e precisione che ho rivissuto quel periodo, in cui ero confrontata con l’oppressione del “Leone” nazista.

Al coro si sono uniti numerosi amici: “Scrivi tutto, dipingici un quadro, fissa i tuoi ricordi sulla carta. Scrivi adesso, finché c’è ancora tempo…”

Sono ritornata nell’Alsazia degli anni Trenta, una bella regione dai paesaggi maestosi, dai forti valori ancestrali, una terra agognata, che portava ancora le dolorose cicatrici dei passati conflitti fratricidi.

Proprio in questa cornice la ragazzina felice e allegra che ero allora aveva sviluppato una maturità precoce, scoprendo la povertà dei figli delle famiglie operaie, le ingiustizie, l’intolleranza, le dispute tra i sostenitori della Francia o della Germania e l’angoscia crescente degli adulti ossessionati dalla prospettiva di una nuova guerra.

Il “Leone” – così soprannominavamo il regime nazista avido di prede – aveva finito per estendere la sua tana alla nostra regione, braccando i miei amici, disperdendo la mia famiglia, infrangendo il mio universo e defraudando la mia fanciullezza. Non mi restavano altro che i miei ricordi, definiti simpaticamente da mio padre la mia “biblioteca privata”. La prova fu terribile.

Nonostante tutto, la mia storia è una testimonianza vivente che la coscienza, anche quella di una bambina, può rimanere fedele a se stessa e trionfare sulle avversità, purché educata e alimentata da un ideale o da elevati valori. Che questa vicenda possa infondere fiducia e coraggio a chiunque in futuro debba affrontare qualunque Leone possa sorgere!

PRIMA PARTE

dal giugno 1933 all’estate 1941

CAPITOLO 1

La mia infanzia tra città e campagna

Giugno 1933

La mia famiglia abitava a Husseren-Wesserling, un piccolo e grazioso villaggio situato nella valle di Thann nei Vosgi, non lontano dalla fattoria dei nonni. La nostra casa era incantevole: un rigoglioso pergolato di rose consentiva l’accesso al giardino e ai prati. Il mio paese si trovava in Alsazia-Lorena, una regione di frontiera teatro di lunghe contese tra Germania e Francia.

Avevo quasi tre anni quando la mamma, il papà, io e la mia cagnetta Zita ci trasferimmo a Mulhouse, al terzo piano di un palazzo situato in Rue de la Mer Rouge al numero 46. A quel tempo la mia famiglia era tutto il mio mondo. Nemmeno nei miei più inquietanti incubi avrei potuto immaginare le sofferenze, la miseria e il terrore che sarebbero piombati su di noi. Il nome della nostra via, Rue de la Mer Rouge – Via del Mar Rosso – sarebbe divenuto il simbolo del nostro destino: disperazione, separazioni, viaggi, ma soprattutto speranza. Mi domando se i miei genitori abbiano mai riflettuto sull’affinità fra il significato storico del nome della via e le nostre future vicissitudini.

La stazione ferroviaria di Mulhouse-Dornach segnava l’inizio della lunga Rue de la Mer Rouge, che si snodava tra giardini e prati, e serviva agli abitanti di una serie di case popolari e di palazzine. Il numero 46 era un edificio di quattro piani e otto appartamenti, dove abitavano alcuni operai della ditta Schaeffer & Co., una stamperia tessile rinomata in tutto il mondo. Il papà vi lavorava come consulente artistico.

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