Domenico Petrilli - Principi della conoscenza dell'interno e dell'esterno.
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Principi della conoscenza dell'interno e dell'esterno.: краткое содержание, описание и аннотация
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che anche se inconscio ha un effetto duplice operando e determinando sia la coscienza sia il movimento caotico e atemporale in modo soggettivo dell’inconscio. Da ciò anche l’assioma della necessità della distinzione che ha nella legittimità del suo concatenarsi e come base il movimento che presiederebbe a tale diversificazione. E’ tale movimento ad essere a base anche del concetto di evoluzione. Ciò determina la necessità della finitezza delle diversificazione, ed in ciò risiede la legittimità stessa del limite; è la materia ad essere finita ,e quindi permanente nella sua diversificazione ,perché rimane pur sempre materia al di là del mutamento della sua forma ,che è ciò in cui il movimento si palesa ,e attraverso cui si rende visibile, ossia attraverso la sua opera di mutamento di forma: la figurazione estetica. Materia e movimento pongono il concetto di limite, il movimento lo sviluppa nell’inconscio, parlando di nuovo idealisticamente, in quanto è innato, ovvero conservativo da talune angolazioni, e la materia lo sotto definisce dopo l’esercizio della facoltà della vista organo dell’intelletto a dire di Aristotele. Tale mutamento si appalesa a noi attraverso la vista, mentre a livello ideativo attraverso la coscienza della idea, ovvero la sua rappresentazione, che non sempre è autocoscienza. Da ciò la sua importanza come organo dell’intelletto attribuitale da Aristotele nella Metafisica. E’ la vista che determina la costruzione razionale e oggettiva del tempo attraverso il mutamento dell’aspetto figurativo della materia nel tempo con ciò permettendoci però anche di cogliere il carattere della successione che si sedimenta nella possibilità del tempo come dimensione soggettiva, ovvero come successione idealistica, e conseguentemente come intuizione pura , senza di cui cesserebbe il presupposto di un esistenza nella contingenza spaziale, ovvero quella che conosciamo. Il calibrarsi dello scorrere del tempo al movimento esterno della materia lo connota oggettivamente ovvero secondo una oggettività soggettiva, oggettiva nella condivisione o nella illusione se per caso Parmenide avesse ragione, e ciò può porsi anche se direte è astruso. Nel cervello è presente una connotazione oggettiva del tempo ,organicamente parlando, derivante dalla scissione soggetto-sensazione, che rende tale ricostruzione deprimente e dipendente, rispetto quella che si determina a prescindere del fluire dello spazio esterno che delinea il rapporto trascendentale descritto da Kierkegaard nel Concetto dell’angoscia che infinitizza l’uomo, e tale è la trascendenza e il trascendere, ovvero il distacco rispetto cui la contraddizione di Freud è di aver valorizzato la cultura e nello stesso averla negata proprio con tale categoria del distacco psicotico, paranoico o schizofrenico. L’incidenza di ciò sulla strutturazione della volontà in termini di vita sessuale e di peccato si può evincere leggendo direttamente le pagine del Kierkegaard, ovvero con riguardo, ossia in correlazione, da un lato alla architettura mentale della perversione e dall’altro alla empiria erotomane del contatto sensistico, fermo restando che vi è molto altro, e che la perversione si rapporta indirettamente all’oggetto sensistico materiale. Le implicazioni della sessualità, sulla incidenza temporale, pongono per Kierkegaard la possibilità come scelta, ossia il peccato, e la disperazione, ovvero il fatto che si struttura nella pena per la donna di partorire pone la temporalità o meglio il porsi della temporalità si associa a tale punizione emblematica, essendovi una continuità di peccato tra il prima e il dopo la successione di madre e figlio-a ,cosa differente rispetto al prega e lavora che riguarda la punizione maschile, e rispetto cui la posizione femminile appare già teologicamente peggiore, ovvero stiamo analizzando il porsi della temporalità con la caduta dal paradiso, di cui sono intrise parte delle opere di codesto elevato esistenzialista e dannato, nel senso positivo, connotativo e non connotativo. Si possono analizzare le successive pagine svolte da Kierkegaard sul rapportarsi dell’uomo e della donna in quanto egli non pone la differenziazione platonica amante-dio ,e amata, ma analizza la questione in termini simbolici conseguenziali e di combinamento la cui risultante è il culmine dell’amore, interpretato anche come contemplativo, ma siamo sempre sul piano del lavoro e della famiglia. La donna riporta al finito l’uomo, con il suo peccato, ovvero un uomo che vuole volare e non vola: in tale affermazione si coglie la dualità del rapporto uomo-donna e si evince la ragione dell’attribuzione del peccato alla donna in quanto caratteriologicamente concreta ovvero non idealistica, e come direbbe Lacan non vi è nulla di più folle del reale. Ovvero testimonia il valore di una analisi di orientazione teo-psicologica sia il mito junghiano e le sue incidenze ma anche le stesse pagine di Totem e Tabù che pongono ad un dato livello metastorico e meta psicologico , ovvero pulsionale, il Censore morale. Si sono poste le interrelazioni tra idealismo ed etica ,e materialismo e l’etica, ovvero tra il trascendere, il volo, l’infinito, il contemplativo platonico ed il finito-materiale. Si può dire che le visioni materialistiche si caratterizzino strutturalmente ,come agnostiche, riguardo il problema etico, ossia lo ignorano e si rapportano al finito, tranne per il materialismo dialettico che disvela il ruolo della ragione fino all’eventuale e comunque possibile meccanicismo della dialettica dei mezzi di produzione, da cui il determinismo freudiano proviene ed inoltre si caratterizzano come
immanenti la cui evoluzione è il pragmatismo attuale inglese ,che va a determinare la elaborazione scientifica in termini di analisi il cui completo strutturarsi attuativo della ricerca necessita della capacità sintetica, ovvero del trascendere e dell’ulteriore dirigersi verso il puro, e necessita inoltre della organizzazione dei dati raccolti, ovvero di una qualcosa di idealistico, rispetto cui la sintesi della analisi non si pone come vera sintesi, ed organizzazione che dunque ed ovviamente partecipa del processo sintetico e di giudizio, ma in modo limitato come sottolinea Popper. Di qui lo scindersi o meglio la necessità della scissione all’interno di un piano di ricerca delle persone deputate a descrivere gli status che si determinano e dall’altro di coloro che dall’intersecarsi dell’obiettità derivano la obiettità per conseguenza, sia induttiva che deduttiva, e che si scinde dalla visione materialistica ed implica un approccio idealistico in quanto libero seppure necessitante dell’obbligo della chiusura in formule che avviene a livello numerico e matematico, o di premessa e conseguenza, rispetto cui la verifica è impossibile, ovvero la migliore teoria è quella che non si può verificare, come Popper insegna negando con ciò il ruolo della induzione, e ciò parzialmente altrimenti non avrebbe parlato di verificabilità, ed ancora premessa e conseguenza e formule la cui derivazione simbolica è la fisica. Ma la vista di tali limiti è quindi necessariamente l’organo dell’intelletto come Aristotele lo definì, e come non intuì forse Kant, in quanto la sua percezione del tempo ,ossia l’oggettità del tempo, si appalesa nel mutamento di forma pur rimanendo la soggettività del tempo che si traduce in un Io penso, parallelo e da cui deriva la percezione dell’esterno ed ancora in cui si radica la possibilità del trascendere. Ma la percezione del tempo dell’Io penso che individua la percezione soggettiva, in quanto non inconscia e quindi a temporale, è occultata dal determinarsi della sensazione, unitamente al contatto con la materia. Il mutamento della forma si appalesa all’esterno e viene percepito dal soggetto attraverso la luce, ovvero l’intelletto vede la luce, con esclusione di considerazione sulla fisiologia della vista, e motivo proseguendo da cui deriva l’importanza del colore nella percezione della esplicazione e nel determinarsi della diversificazione della materia attraverso il movimento. La vista è l’organo dell’intelletto in quanto si fonda su tali esplicitazioni della forma materiale, ovvero della forma anche come rappresentazione modellata sulla materiale ed altro, e si distingue dall’udito le cui ricostruzioni sensistiche sono più vicine a connotazioni che colgono aspetti soggettivi nella commistione prodotta nel procedimento della diversificazione della idea tra materia e idea in cui la materia equivale a necessità della sensazione per l’intelletto. Anche l’udito poi coglie una successione di suoni, che permette al nostro intuito di cogliere la temporalità, la cui forma è la successione, successione che a sua volta è costruita razionalmente, e modella la ragione attorno l’unità razionale dell’Io penso che rappresenta in tal caso e differentemente da prima la permanenza come prima la materia, relazioni. Il movimento poi determina la genesi del tempo, ossia si colloca nel tempo ,comunque volendolo definire, il movimento è l’esplicazione del tempo, ossia la sua forza che si dispiega: sottolineando come alla sua definizione di forza si riconnettono le concettualizzazioni relative alla sua centralità nella genesi del tempo. La stessa materia che si diversifica attraverso il movimento si colloca nel tempo che è una costruzione anche razionale (se esaminata da tale punto di vista) per distinguere i diversi movimenti, ma tale tempo è essenziale e diviene intuizione pura e presupposto perché è alla base del concetto di evoluzione, ossia se non ci fosse scansione temporale il movimento coinciderebbe con la stasi o la non evoluzione. La materia che attraverso il movimento si diversifica ha bisogno e le è connaturale il tempo.
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