Beatrice Gavazza - Agatone e la tragedia attica di fine V sec. a.C.

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Agatone e la tragedia attica di fine V sec. a.C.: краткое содержание, описание и аннотация

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Il libro approfondisce la figura del tragediografo Agatone (fine V secolo a.C.) e fornisce ai 34 frammenti superstiti della sua opera un'edizione critica con commento. Questo lavoro s'inserisce nell'attuale tendenza degli studi classici a dedicare particolare attenzione a testi frammentari. Sebbene le tragedie di Agatone risultino dimenticate già in epoca antica, sembra che in ambito tragico egli sia stato un autore di successo, nonché d'avanguardia. Il contributo più importante che diede alla storia del teatro fu la sostituzione delle parti corali tradizionali con intermezzi del tutto slegati rispetto al contenuto della trama. L'analisi svolge un'indagine quanto più possibile completa intorno a una figura determinante del genere tragico e pone le basi per una più profonda comprensione delle trasformazioni del teatro tra il V e il IV secolo a.C.
Beatrice Gavazza è assistente alla cattedra di Filologia e Letteratura Greca dell'Università Albert Ludwig di Friburgo in Brisgovia. Per il suo lavoro sul poeta tragico Agatone ha ricevuto nel 2020 il premio Günter Wöhrle, promosso dalla fondazione Humanismus Heute per tesi dottorali eccellenti inerenti al campo dell'Antichistica e composte presso l'Università Albert Ludwig di Friburgo.

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Interpretazione

Nello scambio di battute che apre il Simposio , Apollodoro domanda a Glaucone se non sia a conoscenza del fatto che Agatone non risieda più ad Atene, specificando che il poeta non abita lì da molti anni, mentre Apollodoro stesso ha iniziato a frequentare Socrate soltanto da meno di tre anni.

L’espressione Ἀγάθων ἐνθάδε οὐκ ἐπιδεδήμηκεν, ricordando l’assenza di Agatone da Atene in un momento in cui il poeta doveva essere ancora vivo, conferma la notizia della test. 8 e offre un argomento definitivo per leggere il passo aristofaneo come un riferimento alla partenza del poeta, e non alla sua dipartita. Il perfetto οὐκ ἐπιδεδήμηκεν (ἐπιδημέω: ‘vivere’, ‘abitare’, ‘risiedere in città’) indica la condizione attuale41 e che dura da molti anni (πολλῶν ἐτῶν) di Agatone, il quale, al momento della conversazione, risulta ancora in vita. Apollodoro afferma infatti di frequentare Socrate da quasi tre anni, e che già dall’inizio del rapporto di confidenza tra Socrate e Apollodoro, Agatone non abitava più ad Atene da molti anni. La condanna a morte di Socrate è del 399 a.C.,42 e dal dialogo tra Apollodoro e Glaucone non emerge nulla che possa far presagire un imminente processo. Pertanto, l’incontro dei due deve essere ambientato prima dell’anno 399. Anche ipotizzando una datazione quanto più bassa possibile, ossia intorno all’anno 400 a.C., la prima data utile per collocare cronologicamente l’inizio della frequentazione tra Socrate e Apollodoro è il 403; a questa data, Agatone ha già lasciato Atene da tempo, tanto che Apollodoro non ha fatto in tempo a conoscerlo nell’ambito della cerchia socratica.

Test. 10 (9 S.–K.)

[Eur.] Ep. 5, 2 p. 278 Herch (= TrGF I 11 test. 3)

ἴσθι μέντοι μηδὲν μᾶλλον ἡμῖν ὧν νῦν Ἀγάθων ἢ Μέσατος λέγει μέλον ἢ τῶν Ἀριστοφάνους φληναφημάτων οἶσθά ποτε μέλον.

Sappi però che nulla di quello che ora dicono Agatone o Mesato ci preoccupa più di quanto, lo sai, ci preoccupassero un tempo le sciocchezze di Aristofane.

Interpretazione

La quinta lettera del breve corpus epistolare tramandato sotto il nome di Euripide e opera di un anonimo autore attivo nell’ambito della Seconda Sofistica (fine II–inizi III sec. d.C.)43 attribuisce ad Agatone un periodo di permanenza ad Atene più lungo di quello di Euripide. Mentre quest’ultimo si troverebbe in Macedonia presso la corte di Archelao, Agatone sarebbe ancora nella città ateniese, impegnato, insieme a Mesato, altro poeta tragico ( TrGF I 11),44 in un’attività denigratoria nei confronti dell’assente Euripide. Il trasferimento di Euripide da Atene in Macedonia è datato al 408 a.C.45

Le lettere sono presumibilmente frutto di un esercizio letterario di un autore di II–III sec. d.C., il quale attinge a materiale biografico già disponibile, senza aggiungere alcuna nuova notizia storicamente rilevante, anzi, forse modificando di propria iniziativa la tradizione biografica. La presenza del nome di Agatone si può dunque spiegare come un riferimento colto, non necessariamente corrispondente a verità storica, a un famoso tragediografo, che una persona di buona cultura ai tempi della Seconda Sofistica poteva facilmente riconoscere e collegare all’ambiente ateniese da cui proveniva Euripide.46 Tuttavia, nel caso in cui l’autore abbia attinto a materiale affidabile, bisognerebbe ricavarne la partenza di Agatone da Atene in un momento successivo al 408 a.C.

Test. 11 (10 S.–K.)

Plat. Resp. VIII 568b 5–8

Τοιγάρτοι … ἅτε σοφοὶ ὄντες οἱ τῆς τραγῳδίας ποιηταὶ συγγιγνώσκουσιν ἡμῖν τε καὶ ἐκείνοις ὅσοι ἡμῶν ἐγγὺς πολιτεύονται, ὅτι αὐτοὺς εἰς τὴν πολιτείαν οὐ παραδεξόμεθα ἅτε τυραννίδος ὑμνητάς.

Perciò … poiché sono sapienti, i poeti tragici ci perdonano, noi e quelli che hanno una forma di governo simile alla nostra, perché non li accetteremo nella nostra costituzione, visto che tessono le lodi della tirannide.

Interpretazione

Il libro VIII della Repubblica di Platone costituisce, insieme al libro IX, una riflessione sulla corrispondenza tra sapienza ed etica da una parte e le forme di governo a cui gli uomini danno vita dall’altra. Giunti al discorso sulla condizione del tiranno e dello stato sottoposto al governo di un simile individuo, gli interlocutori ricordano alcune parole di lode nei confronti della tirannide attribuite a Euripide ( Resp . VIII 568a–b).47 Il personaggio di Socrate afferma a questo punto la necessità di escludere i poeti tragici dallo stato da lui prospettato come il più giusto, in quanto sarebbero responsabili di opere elogiative – composte dietro compenso (568c 7: μισθοὺς λαμβάνουσι) – nei confronti di quelle costituzioni che si reggerebbero sulla κακία/ἀδικία dei singoli (malvagità/ingiustizia): la democrazia e la tirannide.48

Il passo è inserito da Snell–Kannicht tra le testimonianze di Agatone sulla base dell’esegesi proposta da Wilamowitz.49 Secondo quest’ultimo, le parole pronunciate da Socrate in merito alla predilezione dei poeti tragici per la tirannide sarebbero da riferire non solo al citato Euripide, ma anche ad Agatone, benché nel testo non compaia il suo nome. L’intuizione di Wilamowitz di affiancare Agatone a Euripide nell’esclusione dallo stato ideale dei poeti tragici con tendenze filo–tiranniche è condivisibile: quando al passo VIII 568a si estende il discorso a οἱ ἄλλοι ποιηταί oltre a Euripide, sembra che Platone stia alludendo ad altre personalità precise.50 In secondo luogo, la critica del passo 568b–c colpisce quei poeti che esercitano la loro arte a favore della tirannide o della democrazia dietro compenso (μισθοὺς λαμβάνουσι καὶ τιμῶνται); questo dato può essere messo in relazione con l’allontanamento di Agatone da Atene e la sua permanenza in Macedonia (testt. 7. 8), presso la corte di re Archelao, nonché con il rapporto di amicizia con il re stesso (testt. 15. 16), il quale era considerato da Platone un prototipo di tiranno ( Gorg . 479a. 525d). Se accettiamo di riconoscere un’allusione ad Agatone nella critica platonica contro i poeti tragici, la testimonianza diventa una conferma del rapporto professionale dell’autore con il re macedone. Come per Euripide è attestata la composizione di un dramma dal titolo Archelao ,51 così non sarebbe da escludere la realizzazione, da parte di Agatone, di opere encomiastiche nei confronti del sovrano.

I.3. Ricchezza, bellezza e amori (testt. 12–16)

Test. 12 (13 S.–K.)

Agathon opulentus erat

a) Plat. Symp. 175b

ἀλλ’ ἡμᾶς, ὦ παῖδες, τοὺς ἄλλους ἑστιᾶτε. πάντως παρατίθετε ὅτι ἂν βούλησθε, ἐπειδάν τις ὑμῖν μὴ ἐφεστήκῃ – ὃ ἐγὼ οὐδεπώποτε ἐποίησα – νῦν οὖν, νομίζοντες καὶ ἐμὲ ὑφ’ ὑμῶν κεκλῆσθαι ἐπὶ δεῖπνον καὶ τούσδε τοὺς ἄλλους, θεραπεύετε, ἵν’ ὑμᾶς ἐπαινῶμεν.

Ragazzi, servite da mangiare a noi altri. Voi servite in ogni caso come volete, quando non ci sia nessuno a darvi ordini – cosa che io non ho mai fatto – e ora, facendo come se io e questi altri fossimo invitati da voi a banchetto, prestate il vostro servizio, affinché noi possiamo lodarvi.

b) Plat. Symp. 194c

Οὐ μεντἂν καλῶς ποιοίην, φάναι, ὦ Ἀγάθων, περὶ σοῦ τι ἐγὼ ἄγροικον δοξάζων· ἀλλ’ εὖ οἶδα ὅτι εἴ τισιν ἐντύχοις οὓς ἡγοῖο σοφούς, μᾶλλον ἂν αὐτῶν φροντίζοις ἢ τῶν πολλῶν.

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