Gemma Cates - Voglio Morderti Il...

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Inarcando le sopracciglia aveva risposto, “Non sono sicuro di cosa intendi dire. Tu sai di cannella.”

Perché stavo trangugiando Fireball come un ragazzo di una confraternita, ma vabbè.

Quello che era successo dopo era inatteso. Ero nel mezzo di una festa. Erano presenti alcuni dei miei colleghi di lavoro. Certo, organizzavo regolarmente feste alcoliche, ma avevo degli standard per il mio comportamento.

Standard che non comprendevano maltrattare un ospite, anche se era un imbucato.

Non sono del tutto sicura del perché avessi deciso per quella festa, quella sera, quel tipo… ma lo avevo fatto.

Avevo fatto scivolare la mano – quella che aveva ripreso a sfregare i duri piani del suo petto – sulla clavicola e lungo la nuca, abbassando la sua testa verso la mia.

Cercando di abbassare la sua testa verso la mia.

Essendo a malapena sette centimetri sopra il metro e mezzo, avevo difficoltà a baciare Mr. Sexy e Villoso e Buon Profumo senza il suo aiuto. Doveva essere alto più di 1,80.

Come poteva avere un odore così buono e non baciarmi all’istante? Non andava bene così. Avevo alzato lo sguardo per vedere che cavolo di problema avesse e aveva ancora quella medesima espressione divertita. Che mi aveva fatto lanciare un’occhiataccia.

Un’occhiata alla mia espressione da stronza dagli occhi di ghiaccio e lui…

Si era messo a ridere.

Ridacchiare, per l’esattezza. Sembrava che il mio atteggiamento da stronza cattiva non lo spaventasse, e quello mi eccitava fottutamente.

Se non mi avesse baciato seduta stante, mi sarei arrampicata su di lui come se fosse stato un fottuto albero e l’avrei fatto succedere.

Questa volta, quando avevo cercato di abbassargli la testa, lui mi aveva lasciato fare. L’odore di bosco e di uomo pulito aveva riempito il mio naso prima che le nostre labbra si incontrassero.

Questo coglione stava sorridendo?

Sì. Sì, stava sorridendo.

E in quel momento era cominciato lo strapazzo.

Avevo infilato entrambe le mani tra i suoi capelli folti, scuri, non-proprio-selvaggi, avevo premuto le mie tette contro di lui, avevo inclinato la testa e mi ero concentrata sul farlo volere.

Quello che era cominciato come una delicata esplorazione era diventato un attacco violento con pressione e respiro affannoso e un desiderio di mordicchiare, morsicare, lasciare segni che non avevo mai provato prima.

Avevo intrappolato il suo labbro superiore tra i miei denti e lo avevo succhiato. Il suo ringhio mi aveva colpito basso, nell’addome, e proprio mentre stavo pensando a come fare per avvicinarmi, lui mi aveva preso per le natiche e mi aveva sollevata.

Dea. Volevo sentire ogni centimetro di lui premuto contro di me. Volevo strofinarmi contro di lui. Volevo… volevo e basta.

Aveva risposto alla mia aggressione frontale, la sua bocca dura ed esigente, e mi piaceva.

Le nostre lingue si erano attorcigliate in una guerra di calore e passione per non so quanto tempo.

A un certo punto mi era venuto il pensiero fugace che, praticamente, eravamo nel bel mezzo della mia festa.

Ma… chi se ne frega?

Lui era sexy, il suo bacio rovente, e io volevo imprimere il suo corpo muscoloso, il suo sapore, la sensazione delle sue labbra nel profondo della mia anima.

Poi aveva ammorbidito il nostro bacio.

La qual cosa era avvenuta quando il mio cervello aveva ripreso a funzionare.

La qual cosa era avvenuta quando mi ero resa conto di essere avvinghiata a lui come una spogliarellista squattrinata nel mezzo di una lap dance privata.

Poiché non lavoravo per le mance ed ero nel mio soggiorno, circondata da amici e colleghi di lavoro, probabilmente sarebbe stata una buona idea scendere da quell’albero villoso e sexy sul quale mi ero arrampicata.

Ero scivolata giù dal suo corpo, desiderando che lui non si sentisse il mio personale regalo di compleanno. Non poteva essere un regalo per me? Per piacerissimo?

Magari.

Non nel mezzo della mia festa di Halloween.

Ma magari.

“Sei ubriaca.” Mi aveva sussurrato le parole all’orecchio, ma comunque erano cadute con una spiacevole fermezza.

“No. Non lo sono.” Sfortunatamente, in quel momento il mio corpo aveva scelto di tradirmi e mi era venuto il singhiozzo.

“Uh-huh.” Mi aveva girato i capelli dietro l’orecchio, passato il pollice sulle labbra e in generale mi aveva fatto rimpiangere – duramente – quegli ultimi bicchierini. Perché altrimenti, forse, avrei preso altro di lui. Altro suo calore, altro suo odore e altro della sua bocca. Proprio lì e in quel momento, alla mia festa di Halloween.

Poi era sparito.

Il patetico bastardo se n’era andato.

Gli uomini fanno schifo.

Certo, aveva salutato.

E mi aveva ricordato che avevo il suo numero.

Aveva anche detto che sarebbe stato interessato a sentirmi. E quando aveva detto “interessato”, avevo pensato che intendesse… forse, entusiasta?

Ma che cazzo, poi. Mi aveva lasciato eccitata e insoddisfatta, il coglione. Anche se ero circondata da amici e colleghi a una festa che io ospitavo, comunque lui aveva lasciato me.

Prima che potessi decidere se ero arrabbiata, triste, o forse anche solo minimamente grata, un tizio che reggeva un’enorme borsa di carta aveva gridato, “Megan! Sto cercando una certa Megan.”

Alcuni ospiti avevano indicato nella mia direzione.

“Sei tu Megan?”

“Sì.” Sembrava proprio che la mia festa avesse ufficialmente una porta aperta. Lasciavamo entrare chiunque, anche chi portava borse di carta.

Aspetta un attimo.

Un tizio che portava una borsa di carta? Perché c’era un fattorino della consegna a domicilio alla mia festa?

“Consegna per te. Qualcuno ha ordinato questo e ha detto che dovevo assicurarmi che venisse consegnato direttamente a Megan.” Mi aveva guardato come se avessi dovuto saperne qualcosa. Come se l’avessi pianificato. Come… oh, voleva la mancia.

“Seguimi.” Avevo degli spiccioli in cucina. Gli avevo dato una banconota da venti dollari per un ordine che non avevo fatto, lui mi aveva ringraziato e aveva posato la borsa.

Dopo averla spacchettata, avevo trovato alcune vaschette grandi di queso. Ma certo. Se non fossi stata mezza sbronza, lo avrei capito prima.

Avevo trovato anche una ricevuta che mostrava l’addebito per il queso, le spese di consegna e una lauta mancia per il fattorino, tutto prepagato.

Mi sentivo un’idiota totale e non solo per la mancia da venti dollari.

2

Ero andata a letto davvero tardi quella sera.

Davvero tardi.

Dopo altri drink. Potenzialmente parecchi altri drink, perché non riuscivo a ricordare esattamente quanti fossero stati.

Quello che ricordavo erano i messaggi.

Con un villoso sexy.

Messaggi da ubriachi.

Quando la sveglia s’era messa a suonare, a una certa ora strana, mi ero girata e l’avevo spenta, perché ero troppo stanca, con troppi postumi da sbornia, troppo impreparata ad affrontare la vita anche solo per cominciare a prendere in considerazione gli eventi della sera prima.

Ma poi la sveglia aveva ripreso a suonare, e poi ancora.

Alla quarta volta ero abbastanza sveglia da ricordare quei fottuti messaggi. Tranne che nessuno era così stupido, nemmeno la me ubriaca delle tre del mattino.

Mi ero sfregata gli occhi e avevo toccato l’icona dei messaggi, cercando di ignorare il fatto che erano le 6:37 del fottuto mattino e la notte prima avevo dormito meno di quattro ore.

Ma lì c’era tutto: la mia stupidità, immortalata per sempre nello storico dei miei messaggi.

Io: Hey figo chitarrista barista uomo peloso

Figo peloso: Fammi indovinare… Megan

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