1 ...7 8 9 11 12 13 ...28 Nonostante i cambiamenti, don José María non voleva perdere i contatti con i malati e i poveri. Desiderava portare loro, come aveva fatto sinora, la luce e la consolazione cristiana: «Nel Patronato de Enfermos —scrisse— il Signore volle che io trovassi il mio cuore di sacerdote» [108]. Ecco perché poche settimane dopo il suo arrivo a Santa Isabel, e grazie a una conversazione con il sacrestano della chiesa, entrò in contatto con la “Congregazione di San Filippo Neri dei secolari” [109]. I cosiddetti filippini costituivano una confraternita formata da laici di varie professioni civili e da alcuni sacerdoti, che assistevano i malati nell’Ospedale Generale. I loro compiti di volontariato erano preziosi, perché il personale del centro sanitario non era sufficiente per assistere gli oltre mille pazienti ricoverati.
La domenica i filippini si riunivano nella cappella dell’Ospedale alle quattro del pomeriggio per pregare. Poi, per due o tre ore, si distribuivano in coppie e giravano l’ospedale per assistere i malati. Spesso erano costretti a svolgere compiti sgradevoli, sia per le condizioni dei pazienti —bisognava lavarli, tagliare loro i capelli o le unghie, rifare i letti—, sia per le reazioni anticlericali di alcuni malati o delle loro famiglie. José María Escrivá collaborò a quest’opera di misericordia a partire da domenica 8 novembre [110].
La sua presenza nell’Ospedale Generale e in altri ospedali si intensificò col passare dei mesi. Il sacerdote Pedro Cantero lo accompagnò «moltissime volte» [111]in vari centri: l’Ospedale Generale, l’Ospedale Nazionale delle Malattie Infettive che aveva sede a Chamartín de la Rosa, l’Ospedale de la Princesa nella strada omonima, all’angolo di calle Alberto Aguilera, e l’Ospedale del Niño Jesús ubicato dietro al Parque del Retiro. Rimase impressionato dal modo con cui Escrivá diceva «ai malati parole di consolazione intense e profonde, non dolciastre, ma piene di amore e di fortezza» [112]. Allo stesso tempo, e come contropartita, il fondatore invitava i pazienti «a offrire al Signore le loro sofferenze, la degenza, la loro solitudine —alcuni erano veramente soli—, per il lavoro che svolgeva con i giovani, senza altre spiegazioni. Per questo era ragionevole che umanamente e soprannaturalmente si producessero degli effetti soprannaturali, perché il Signore voleva che l’Opera andasse avanti a prescindere dagli uomini, malgrado me stesso, che sono un povero uomo» [113].
L’ampiezza dell’attività sacerdotale
Era arrivato il tempo della prima espansione dell’Opus Dei. Scriverà tempo dopo il fondatore, facendo un riassunto delle sue attività in quei mesi: «Da quel giorno [2 ottobre 1928] il somaro rognoso (burrito sarnoso) si rese conto di quanto fosse bello e pesante il carico che il Signore, nella sua insondabile bontà, aveva posto sulle sue spalle. Quel giorno il Signore fondò la sua Opera: da allora ho cominciato a trattare anime di laici, studenti o no, purché giovani. E a formare gruppi» [114]. Come abbiamo visto, queste persone erano di estrazione diversa: studenti, operai, artigiani, professionisti e sacerdoti.
Don José María fece in modo che la domenica i ragazzi conosciuti lo accompagnassero all’Ospedale Generale. Sapeva bene che l’incontro con il dolore aiuta sia il malato che il visitatore. Tra gli studenti c’erano Pepe Romeo e Adolfo Gómez Ruiz, i quali, a loro volta, portarono i fratelli —rispettivamente, Manuel e Pedro— e alcuni amici, come José Manuel Doménech, studente di Giurisprudenza, o Julio Torres Azara [115].
Dopo le visite ai malati, si fermavano un po’ a conversare. Ricorda Pepe Romeo: «qualche volta passeggiavamo, altre volte ci sedevamo su una panchina del Retiro o andavamo a fare merenda al Sotanillo, un locale dove bevevamo una birra. Altre volte facevano merenda per strada con panini e ciccioli» [116]. Escrivá si fermava per qualche minuto a parlare con qualcuno a quattr’occhi o interveniva nella discussione «per portare, con naturalezza, la conversazione verso temi spirituali e apostolici» [117]. Assai spesso li invitava a vivere pratiche spirituali o iniziative di carità cristiana, come la recita del Rosario, la lettura del Vangelo o le visite ai poveri per portare un po’ di affetto e qualche aiuto materiale.
Domenica 22 novembre 1931, per esempio, scriveva: «Quando sono uscito dall’ospedale, mi aspettavano Adolfo e Isidoro. La sorpresa mi fece piacere. Siccome si può dire che non ho una casa, siamo andati al Sotanillo. C’era molta gente e il padrone del locale ci fece entrare nella sua sala da pranzo. Lì abbiamo parlato molto della O. [Opera] di D. [Dio] e di cose spirituali» [118]. Qualcosa di simile accadde tre settimane dopo, domenica 13 dicembre, quando si riunì con altri: «Ieri sera ci siamo riuniti, con D. Norberto e in casa sua, Pepe R. [Romeo], Isidoro, Pepe A. [Muñoz Aycuéns] e Adolfo [Gómez Ruiz]. Prima siamo stati nel Sotanillo» [119].
Come già era avvenuto con gli studenti di Cicuéndez, Escrivá conquistava l’attenzione perché parlava con determinazione. Non aveva alcuna importanza l’evidente mancanza di mezzi, la difficile situazione della Chiesa in Spagna o la sempre più complessa congiuntura internazionale, in allarme per l’affermarsi dei totalitarismi. L’Opera di Dio —ripeteva con convinzione— si aprirà strada tra gli uomini. Così Dio glielo aveva detto in molti modi. Uno di questi fu molto eloquente. Il 12 dicembre 1931 sentì con una tale intensità, nel suo intimo, le parole latine del versetto 10 del salmo 103 — Inter medium montium pertransibunt aquae (“le acque passeranno attraverso le montagne”)— che sentì l’impulso di annotarle: «le ho capite; sono la promessa che l’O. [Opera] di D. [Dio] supererà gli ostacoli e che le acque del suo apostolato passeranno oltre tutti gli impedimenti che si presenteranno [120]. Incoraggiato da questa fede, continuò l’apostolato con i laici e i sacerdoti che venivano a parlare con lui.
In novembre, Norberto Rodríguez parlò dell’Opera con Lino Vea−Murguía [121]. Lino era stato il primo cappellano del Patronato de Enfermos prima di Escrivá e ora era il cappellano delle religiose Schiave del Sacro Cuore. Norberto lo invitò a far parte dell’Opera e, avendo ricevuto una risposta affermativa, ne parlò a José María [122]. L’arrivo di Lino fu provvidenziale perché allora il fondatore si chiedeva come imprimere un carattere più formativo e organico alle riunioni che organizzava.
Il 29 dicembre 1931 José María si riunì con Lino e Norberto in casa di quest’ultimo. Discussero sulla possibilità di scegliere alcuni presbiteri ai quali spiegare il messaggio dell’Opera. Lino suggerì i nomi dei suoi amici di seminario, i “tre José María” come li chiamava. Pochi giorni dopo —era la prima settimana del 1932— Lino presentò José María Vegas [123], cappellano della parrocchia di San Ginés, e José María Somoano [124], cappellano di un padiglione per tubercolotici nell’Ospedale Nazionale di Malattie Infettive, volgarmente conosciuto come Ospedale del Re, ubicato a Tetuán de las Victorias, a nord di Madrid. I due si entusiasmarono alle proposte di Escrivá. Un mese dopo il fondatore andò a trovare il terzo, José María García Lahiguera, direttore spirituale del Seminario di Madrid; in questo caso, e forse perché García Lahiguera aveva numerosi incarichi pastorali, gli chiese di pregare per l’Opera, ma non lo invitò a farne parte [125].
Il 22 febbraio i sacerdoti che aderivano al messaggio dell’Opera —Rodríguez, Vea−Murguía, Somoano, Vegas e Cirac— si riunirono con il fondatore in casa di Norberto. Dall’incontro nacque un primo corso di formazione nello spirito dell’Opus Dei. Per rendere la riunione più fruttuosa, José María Escrivá distribuì alcuni fogli, come scrisse: «Lunedì scorso ci siamo riuniti per la prima volta in cinque sacerdoti. Proseguiremo queste riunioni una volta la settimana, per essere sempre più consapevoli. A tutti ho consegnato la prima meditazione, di una serie sulla nostra vocazione, per pregare nella notte fra il giovedì e il venerdì» [126]. Da allora il fondatore incontrò i sacerdoti tutti i lunedì, nella cosiddetta conferenza sacerdotale o riunione del lunedì. Nel maggio del 1932 si aggiunse un altro presbitero, Saturnino de Dios [127], che Escrivá aveva conosciuto all’Ospedale Generale.
Читать дальше