Svyatoslav Albireo - Solo Per Uno Schiavo

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Storia di un amore tra due uomini, contornato da sadomaso e fantascienza
A Firokami, la Città-Stato di Diamante, non vige certo la parità. 
La Legge Della Giungla domina le vite dei suoi abitanti. 
Ricchi e Poveri, Corifei e Schiavi. Così è, così è sempre stato, così sempre sarà.
Riuscirà l’amore tra due reietti a cambiare lo Status Quo?
Translator: Magda Pala

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“Smettila di resistere, ragazzino, non hai scelta.”

Ad, se possibile, fu ancora più scioccato. Con disprezzo, le lanciò il libro addosso.

“Vattene via, zoccola! Ma guardati, fai schifo!”

Aletta sgranò gli occhi. Ma sarebbe morta prima di ammettere che quelle parole l’avevano offesa. Quindi, rise. Dopotutto, lei sapeva di essere bella. Fasulla, ma pur sempre attraente. A settantasette anni mangiava la pastasciutta in testa a qualsiasi ragazzina di venti.

O così credeva, poraccia.

Si rivestì e raccolse il libro da terra.

“Preferisci i maschioni, nevvero?” gorgheggiò.

Era proprio il tono di voce che più infastidiva Ad. Rabbrividì di rabbia e disgusto.

“Mi sembra chiaro!” rispose. “Te ne vuoi andare o no?”

E spalancò la porta della cabina, indicandole l’uscita.

Aletta, per tutta risposta, si sedette sul letto.

“Cos’è che leggi, di bello?” chiese, raccogliendo il libro appena lanciatole. “Vediamo. ‘ Più Forte Della Morte ’. E dimmi, ti piace?”

“Sì, molto,” rispose. “Adesso vattene o chiamo il Capitano. Ringrazia di essere una vecchia pazza, altrimenti ti avrei preso a calci in culo. Vattene, ho detto!”

Aletta, alla menzione del Capitano, decise di non sfidare la sorte. Almeno per quel giorno. Quello Schiavo si stava comportando come tutti gli Schiavi non ancora domati. Gli sarebbe passata. Una volta che la sede di Dora fosse stata notificata, anche lui si sarebbe piegato.

“Non hai idea di cosa ti aspetta,” disse la donna, mentre usciva.

Prima di allontanarsi definitivamente, però, non resistette ed allungò una mano sui genitali del giovane.

Lui la colpì immediatamente.

Quella vecchia troia stava mettendo alla prova la sua pazienza.

“Lo so. Mi attendono grandi gioie e infinite prosperità. Per non parlare dell’incontro con un bellissimo straniero alto e moro! Ora, vai pure a unirti al mio fanclub. Vanta già un membro. Sicuro che lo conosci. È uno stramboide secco, tipo tossicomane, sempre vestito di nero.”

Era la perfetta descrizione di Stine.

“Abbi rispetto,” sibilò la donna.

Ad rise di scherno. Dopo di che, sbatté la porta e mise su il chiavistello. Aveva poca voglia di ricevere altre visite.

Ridicoli, tutti quanti.

Erano gelosi perché l’avevano visto con Alon.

Alon.

Non faceva altro che pensare a lui.

Era già la seconda volta che faceva la parte della donzella corteggiata. Non che gli dispiacesse, ma non era proprio il suo stile.

Era il momento di agire. Avrebbe dato la caccia a quel cazzo di Dio.

Fu ciò che pensò, mentre si coricava e scivolava in sogni fatti di carne e sudore e singhiozzi.

CAPITOLO NOVE

Aletta rientrò alla base.

Stine si voltò a guardarla, mentre la donna si versava un drink e svuotava il bicchiere in un sorso solo. L'uomo spense un’altra sigaretta nello sfintere di Alon, per gettarla -poi- assieme alle altre.

“Credo che, per oggi, abbia finito di ballare. Missà che dovrai prenderlo in braccio,” rise.

Aletta annuì.

“Ovvio.”

I due, quindi, si baciarono. Ma Stine uscì dalla stanza, mentre lei iniziò a spogliarsi.

L’incontro con quel ragazzino sfacciato aveva fatto accrescere la sua voglia di scopare a livelli inimmaginabili.

Voleva un maschio e lo voleva subito.

“Vieni qui e lavora, invece di bighellonare,” disse ad Alon.

“Vado prima a lavarmi, Padrona?” chiese lui, trattenendo uno sbadiglio.

“Non ne hai bisogno,” rispose la donna, con una scrollata di spalle.

La Bestia si alzò, lentamente. Ogni movimento era pura agonia. Ma nulla poteva superare la sua ennui. Inoltre, non è che potesse disubbidire.

Aletta si sedette sul bordo del letto. Sorridente, accarezzò le lenzuola.

“Vieni qui,” disse.

Alon si avvicinò e si sdraiò accanto a lei. La donna lo avvicinò a sé e lui quasi soffocò nel suo petto.

“Coraggio,” sospirò. “Datti da fare.”

Alon l’abbracciò, per poi accarezzarla. Conosceva quell’atteggiamento. Era raro, ma la sua Signora non aveva quasi segreti per lui. Sapeva che voleva essere baciata e sapeva che pretendeva ricevere complimenti. Anche esagerati, non importava. Ma prima, la penetrò. Dopotutto, una cosa per volta.

“Dimmi che sono bella, dimmi che sono una bomba a letto,” sussurrò.

“Siete deliziosa, mia Padrona.”

“Di più.”

“Siete bellissima, mia adorata,” mormorò Alon, muovendosi sempre più veloce.

La donna chiuse gli occhi, in estasi. Venne tra quelle forti braccia, ignorando -come sempre- che lo Schiavo era costretto a tutto ciò.

Ma subito dopo, tutto tornò uguale a prima.

Ogni giorno, Aletta faceva un clistere alla Bestia. Mezz’ora dopo ogni pasto. Così, perché poteva. E come ogni giorno, la Compagnia si riuniva in piscina. Quel pomeriggio, la discussione verteva su come rapire Ad.

“Presto avremo carne fresca, tra i ranghi,” disse Amos, uno degli Schiavi di Gene.

Era un giorno speciale. Infatti, non solo gli Schiavi potevano nuotare nella stessa piscina dei loro Signori ma -evento più unico che raro- avevano avuto perfino il permesso di comunicare fra di loro.

Alon fissava l’acqua, fingendo non gli importasse di nessuna conversazione e nessun novellino da rapire.

Dopo la piscina, tutta l’allegra combriccola decise di ritirarsi -di nuovo- nella suite di Aletta. La donna guidava il suo Schiavo, tenendogli il cazzo in mano. A mo’ di guinzaglio.

Ad vagò come un disperato alla ricerca della Bestia per tutto il santo giorno. All’improvviso, gli parve di vedere una schiena -e un fondoschiena - piuttosto familiare. Corse subito incontro alla sua cotta, felice di averlo trovato. Non si accorse né di Aletta né di Stine. In realtà, non li ricordava. O, meglio, non ricordava i loro volti. Non poteva farci nulla. Quando qualcuno non lo interessava, lui lo cancellava dalla memoria. Ma successe qualcosa che lo bloccò. Innanzitutto, quel David era circondato da mezza dozzina di persone. Poi, indossava delle catene. Inoltre, una donna lo stava trascinando per l’uccello. Il ragazzo non capiva. Successivamente, uno di quei tizi insignificanti lo fece inginocchiare e lo costrinse a succhiarglielo. Ad era sempre più confuso.

Non era mica uno Schiavo?

Si appoggiò al muro, mordendosi le nocche.

Che fare? Che pensare?

Ma osservare quella grande e terribile bellezza così sottomessa fece scattare qualcosa nel giovane.

E se ci fosse stato lui, al posto di quel vecchio? Avrebbe potuto possederlo. Gli sarebbe appartenuto. Sarebbe stato tutto suo, solo suo.

Tali pensieri vennero bruscamente interrotti quando quel bavoso venne in bocca ad Alon. Subito dopo, tutta la cricca sparì dietro a una porta.

Ad si avvicinò. Non sapeva se bussarla o sfondarla a calci.

Nel dubbio, un po’ di entrambe. Almeno, così aveva intenzione di fare.

“Oh, ma chi è che abbiamo qui?” disse una voce alle sue spalle.

“So-”

“Troppe chiacchere,” lo interruppe l’altro. Aprì la porta della suite e lo spinse dentro.

Senza saperlo, lo sconosciuto gli aveva fatto un immenso favore. Si trovava proprio dove voleva essere.

Tutti i Padroni si girarono a guardare i nuovi arrivati.

“Gene?!” esclamò Aletta. “Sono sbalordita!”

“Sì, beh, immagino,” rispose il Padrone.

“Dove l'hai trovato?” chiese Melinda. Poi, rise. “È proprio da te! Vecchio marpione!”

“Era dietro la porta. Quindi, adess-”

Il giovane si guardò a malapena attorno. Una volta individuato Alon, si mosse verso di lui.

Stine lo afferrò subito per la spalla, affrontandolo faccia a faccia.

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