3.2 Lingue prime e lingue seconde
Basandomi su dati di apprendimento dell’italiano come lingua seconda in contesto non guidato1, prenderò in esame alcuni aspetti di ordine generale dell’organizzazione dei paradigmi nel sistema verbale, il cui sviluppo si intreccia con quello dei paradigmi del sistema nominale senza che, per ora, si possa con sicurezza parlare della precedenza dell’uno sull’altro2.
Nell’organizzazione dei paradigmi verbali, apprendimento di lingue prime e di lingue seconde si differenziano nettamente, tra l’altro, per l’ input che ne constituisce le condizioni di partenza. L’ input per le lingue prime è infatti costituito in buona parte dal baby-talk , con il quale, per certi versi, l’adulto aiuta il bambino nell’operazione di segmentazione con la ripetizione di enunciati lievemente modificati (Peters 1981:237). In questo contesto, l’adulto fornisce al bambino anche una base cognitivamente adeguata per costruire i paradigmi verbali, riferendosi spesso, anche se non esclusivamente, ai partner dell’interazione con nominali pieni e, di conseguenza, verbi alla terza singolare (cfr. viéne il mio bambino “vieni qui subito”, Calleri 1987:6; cfr. anche Savoia 1984). Per questa via, che comporta l’analisi delle forme verbali in radice e morfema e la sua riapplicazione in base ai principi operativi di Slobin (1985), mi sembra si possa spiegare la frequenza di regolarizzazioni analogiche nei bambini, nota a livello interlinguistico, che in italiano riguardano in particolare formazioni del tipo dicio “dico” e simili (Berretta 1988a) e che in diacronia stabiliscono le vie privilegiate dei cambiamenti morfologici (Bybee 1980, 1985:50 sg.).
Nell’apprendimento non guidato di lingue seconde l’ input è invece del tutto casuale e, a seconda delle condizioni sociali di apprendenti e comunità ospitante, può essere ricco di forme nel caso di frequenti e cooperative interazioni con nativi o via via sempre più povero fino all’estremo dello xenoletto, nel caso di forte distanza psicologica e sociale tra apprendenti e nativi. In ogni caso il compito di segmentare le parole riconosciute e di costruire i paradigmi della lingua di arrivo adottando eventualmente forme base da cui derivarne altre è funzione della frequenza e della salienza fonetica di certe forme nell’ input (p. es. sillabe aperte non ridotte). Ciò può essere illustrato dall’esempio seguente (M dopo un mese di soggiorno in Italia)3:
3.3 Strategia a “parole e paradigmi”
L’organizzazione del piano paradigmatico della lingua di arrivo da parte degli apprendenti, in particolare dei paradigmi dei tempi verbali, si può ricondurre a tre strategie principali.
La prima strategia è caratterizzata dall’uso di parole polifunzionali tra cui si suddivide lo spazio semantico di un paradigma della lingua di arrivo, con la conseguenza di frequenti sovraestensioni, p. es.:
In base alla disponibilità e alla frequenza di forme dell’ input , diverse a seconda dei singoli tipi lessicali, un paradigma viene così costruito come un puzzle , specializzando via via il significato grammaticale delle singole forme con l’aggiunta di nuovi elementi. Questa strategia ricorda l’impostazione a “parole e paradigmi” della teoria morfologica (Matthews 1975 tra gli altri) in quanto non comporta alcun processo di segmentazione da parte dell’apprendente, come mostra il caso di apprendenti eritrei di italiano1, che per il presente indicativo sovraestendono persone diverse a seconda dei lessemi, come mostra lo schema seguente:
Si noti che presso questi apprendenti non si hanno retroformazioni del tipo * anda , in sé plausibili per il grande numero di forme alla 3 asg. della prima coniugazione.
Nelle fasi più precoci le parole polifunzionali in questione coprono lo spazio semantico sia delle persone che delle distinzioni temporali-aspettuali e modali più basilari, cioè quelle tra presente abituale e atemporale, passato risultativo e modo di non-attualizzazione2.
Ciò è attestato dall’esempio (6), dove andate (pres. indic., 2 apl.) è di fatto in conflitto con andato (part. pass. m. sg.)3 e dagli enunciati in (7), che sono stati prodotti a poca distanza l’uno dall’altro nello stesso contesto di narrazione al passato.
In questa fase l’ Aktionsart dei singoli tipi lessicali determina ovviamente, per la frequenza nell’ input , la comparsa delle prime sovraestensioni (p. es. lavorare vs. finito vs. parla, hai, andate ) e il loro uso in qualsiasi contesto temporale, cfr.:
La differenziazione delle tre forme del protosistema verbale di italiano lingua seconda è inferibile dall’uso, p. es. di presente e participio passato, in coerenza con le distinzioni temporali all’interno di una narrazione. Nei dati esaminati compare comunque una prova formale della costituzione di questo primo paradigma nell’uso di fini/si-fini opposto a finito in T a circa 3 m. di permanenza in Italia. Cfr.:
La forma fini probabilmente va ricondotta sia a una retroformazione da finito , che come abbiamo visto è, per la sua Aktionsart risultativa, estremamente disponibile per frequenza nell’ input ; sia al sostantivo fine (cfr. alla fini nell’esempio 9). La i finale che si ritrova sia nella versione del sostantivo che in quella del verbo va a sua volta ascritta a ipodifferenziazione di /i/ e /e/ finali atone nelle prime fasi nel caso del sostantivo e all’uso molto caratteristico di questo apprendente della desinenza di 2 asg. (cfr. sotto ess. 15, 16)4. È comunque evidente dagli esempi riportati che finito e (si-)fini per T si oppongono come parlato – parla (e parlare ).
La strategia di costruzione a “parole e paradigmi”, per l’italiano, si esplica in modo particolarmente interessante nell’organizzazione delle persone del presente indicativo, che pur comincia in fasi relativamente precoci. Le sovraestensioni sembrano essere governate da principi generali (p. es. tutte le persone del singolare vengono sovraestese su persone del plurale, ma le poche sovraestensioni delle persone plurali rimangono nell’ambito di questo numero)5. Cfr.:
La frequenza nell’ input di certe persone (solitamente la terza e la seconda singolari) può indurre presso certi apprendenti la prevalenza di una sola forma sovraestesa. A questo proposito, per l’italiano, la frequenza di sovraestenzioni della seconda singolare del presente indicativo è connessa con l’uso molto diffuso del tu impersonale nel parlato colloquiale, anche in contesti non del tutto appropriati, come mostra l’esempio (14), tratto dai materiali raccolti da Cereia (cfr. Cereia Fuso 1988).
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