Nicolás Maquiavelo - El príncipe

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Además de ser una traducción impecable hecha por Stella Mastrángelo, la edición bilingüe de este clásico del pensamiento político se enriquece con un extenso aparato crítico hecho por Luce Fabbri Cressatti, cuyas notas contextualizan de manera puntual, analizan y hacen comprensible al lector actual un libro que ha influido en las formas de reflexionar y practicar la política desde hace casi cinco siglos.

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V QUOMODO ADMINISTRANDAE SUNT CIVITATES VEL PRINCIPATUS, QUI, ANTEQUAM OCCUPARENTUR, SUIS LEGIBUS VIVEBANT

Quando quelli stati che si acquistano, come è detto, sono consueti a vivere con le loro leggi e in libertà, a volerli tenere ci sono tre modi; el primo, ruinarle; l’altro, andarvi ad abitare personalmente; el terzo, lasciarle vivere con le sue leggi, traendone una pensione e creandovi drento uno stato di pochi che te le conservino amiche. Perché, sendo quello stato creato da quello principe, sa che non può stare sanza l’amicizia e potenzia sua, e ha a fare tutto per mantenerlo; e piú facilmente si tiene una città usa a vivere libera con il mezzo de’ suoi cittadini, che in alcuno altro modo, volendola preservare.

In exemplis, ci sono gli Spartani e li Romani. Li Spartani tennono Atene e Tebe creandovi uno stato di pochi, tamen le riperderno. Li Romani, per tenere Capua, Cartagine e Numanzia, le disfeciono, e non le perderono; volsero tenere la Grecia quasi come tennono li Spartani, faccendola libera e lasciandoli le sue leggi, e non successe loro: in modo che furono costretti disfare di molte città di quella provincia, per tenerla. Perché, in verità, non ci è modo securo a possederle, altro che la ruina. E chi diviene patrone di una città consueta a vivere libera, e non la disfaccia, aspetti di essere disfatto da quella; perché sempre ha per refugio, nella rebellione, el nome della libertà e gli ordini antichi suoi; li quali né per la lunghezza dei tempi né per benefizii mai si dimenticano. E per cosa che si faccia o si provvegga, se non si disuniscono o dissipano li abitatori, e’ non dimenticano quel nome né quegli ordini, e subito in ogni accidente vi ricorrono; come fè Pisa dopo cento anni che ella era suta posta in servitú da’ Fiorentini. Ma quando le città o le provincie sono use a vivere sotto uno principe, e quel sangue sia spento, sendo da uno canto usi ad obbedire, dall’altro non avendo el principe vecchio, farne uno infra loro non si accordano, vivere liberi non sanno: di modo che sono piú tardi a pigliare le armi, e con piú facilità se li può uno principe guadagnare e assicurarsi di loro. Ma nelle republiche è maggiore vita, maggiore odio, piú desiderio di vendetta; né li lascia, né può lasciare riposare la memoria della antiqua libertà: tale che la piú sicura via è spegnerle o abitarvi.

V DE QUÉ MODO DEBEN GOBERNARSE LAS CIUDADES O LOS PRINCIPADOS QUE ANTES DE SER OCUPADOS VIVÍAN CON SUS LEYES

Cuando los estados que se adquieren 1, como se ha dicho, están habituados a vivir con sus leyes y su libertad, si se desea mantenerlos hay tres modos: el primero es destruirlos; el segundo, ir a residir personalmente en ellos; el tercero, dejarlos vivir con sus leyes, exigiéndoles un tributo y creando en ellos un estado de pocos que te los mantenga amigos. Porque ese estado, habiendo sido creado por ese príncipe, sabe que no puede estar sin su amistad y su potencia y tiene que hacer todo para mantenerlo. Y es más fácil mantener una ciudad acostumbrada a vivir libre por medio de sus ciudadanos que de ninguna otra manera, si se desea conservarla.

Como ejemplos tenemos a los espartanos y los romanos. 2Los espartanos tuvieron dominadas a Atenas y a Tebas creando en ellas un estado de pocos, y las perdieron. Los romanos para conservar Capua, Cartago y Numancia las destruyeron, y no las perdieron. Quisieron tener a Grecia casi como la tuvieron los espartanos, haciéndola libre y dejándole sus leyes, y no tuvieron éxito, de modo que se vieron obligados a destruir muchas ciudades de esa provincia, para conservarla. Porque en realidad no hay modo seguro de poseerla, fuera de la ruina. Y quien se hace señor 3de una ciudad habituada a vivir libre y no la destruye, que espere ser destruido por ella, porque en la rebelión siempre tiene por refugio el nombre de la libertad y sus propios órdenes antiguos, los cuales no se olvidan jamás, ni por el transcurso del tiempo ni por beneficios. Y por cosa que se haga y se provea, si no se desune y dispersan los habitantes, nunca olvidan aquel nombre ni aquellos órdenes y en cualquier accidente inmediatamente vuelven a ellos, como hizo Pisa después de cien años que llevaba sometida a la servidumbre por los florentinos. Pero cuando las ciudades 4o las provincias están acostumbradas a vivir bajo un príncipe y esa sangre se extingue, estando por un lado acostumbrados a obedecer, y por el otro no teniendo al príncipe antiguo, para hacer otro entre ellos no se ponen de acuerdo, vivir libres no saben, de modo que son más lentos para tomar las armas y con más facilidad puede un príncipe ganárselos y asegurarse de ellos. Pero en las repúblicas 5hay mayor vida, mayor odio, más deseo de venganza; y no las deja ni puede dejarlas descansar el recuerdo de la antigua libertad, de manera que el camino más seguro es destruirlas o residir en ellas.

VI DE PRINCIPATIBUS NOVIS QUI ARMIS PROPRIIS ET VIRTUTE ACQUIRUNTUR

Non si maravigli alcuno se, nel parlare che io farò de’ principati al tutto nuovi, e di principe e di stato, io addurrò grandissimi esempli; perché, camminando gli uomini quasi sempre per le vie battute da altri, e procedendo nelle azioni loro con le imitazioni, né si potendo le vie di altri al tutto tenere, né alla virtú di quelli che tu imiti aggiugnere, debbe uno uomo prudente intrare sempre per vie battute da uomini grandi, e quelli che sono stati eccellentissimi imitare, acciò che, se la sua virtú non vi arriva, almeno ne renda qualche odore; e fare come gli arcieri prudenti, a’ quali parendo el loco dove disegnano ferire troppo lontano, e conoscendo fino a quanto va la virtú del loro arco, pongono la mira assai piú alta che il loco destinato, non per aggiugnere con la loro freccia a tanta altezza, ma per potere, con lo aiuto di sí alta mira, pervenire al disegno loro.

Dico, adunque, che ne’ principati tutti nuovi, dove sia uno nuovo principe, si trova a mantenerli piú o meno difficultà, secondo che piú o meno è virtuoso colui che gli acquista. E perché questo evento di diventare, di privato, principe, presuppone o virtú o fortuna, pare che l’una o l’altra di queste dua cose mitighi, in parte, di molte difficultà; nondimanco, colui che è stato meno in sulla fortuna, si è mantenuto piú. Genera ancora facilità essere il principe costretto, per non avere altri stati, venire personalmente ad abitarvi. Ma per venire a quelli che, per propria virtú e non per fortuna, sono diventati principi, dico che li piú eccellenti sono Moisè, Ciro, Romulo, Teseo e simili. E benché di Moisè non si debba ragionare, sendo suto uno mero esecutore delle cose che gli erano ordinate da Dio, tamen debbe essere ammirato solum per quella grazia che lo faceva degno di parlare con Dio. Ma consideriamo Ciro e gli altri che hanno acquistato o fondato regni: li troverrete tutti mirabili; e se si considerranno le azioni e ordini loro particulari, parranno non discrepanti da quelli di Moisè, che ebbe sí gran precettore. Ed esaminando le azioni e vita loro, non si vede che quelli avessino altro dalla fortuna che la occasione; la quale dette loro materia a potere introdurvi dentro quella forma parse loro; e sanza quella occasione la virtú dello animo loro si sarebbe spenta e sanza quella virtú la occasione sarebbe venuta invano.

Era dunque necessario a Moisè trovare il populo d’Israel, in Egitto, stiavo e oppresso dalli Egizii, acciò che quelli, per uscire di servitú, si disponessino a seguirlo. Conveniva che Romulo non capissi in Alba, fussi stato esposto al nascere, a volere che diventassi re di Roma e fondatore di quella patria. Bisognava che Ciro trovassi e’ Persi malcontenti dello imperio de’ Medi, e li Medi molli ed effeminati per la lunga pace. Non posseva Teseo dimostrare la sua virtú, se non trovava gli Ateniesi dispersi. Queste occasioni, pertanto, feciono questi uomini felici, e la eccellente virtú loro fece quella occasione essere conosciuta; donde la loro patria ne fu nobilitata e diventò felicissima.

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