Alek's Books - La colpa è sua

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Daniel sta perdendo la speranza di trovare la persona giusta definitivamente. Per lui, vivere nell'ambiente gay, è una condanna a rimanere solo per tutta la vita. Quando la sua amica del cuore Emma si innamora di Phil, dimostrandogli anno dopo anno che l'amore esiste, si dispera ancora di più.
La sua vita viene stravolta quando incontra Jayed in circostanze bizzarre. Il ragazzo gli apre una finestra ad un mondo a lui nuovo, fatto di violenze fisiche, droga e sesso.
Sconosciuti ad entrambi, i sentimenti che nascono in pochissimo tempo tra i due, danno a Jayed l'opportunità di aprire il suo cuore, togliendosi di dosso anni di segreti agghiaccianti. Le verità dolorose su un passato difficile e le sue conseguenze, trasformeranno la vita di Daniel in un'altalena fatta di continui cambi d'umore che metteranno a dura prova l'amore appena nato.

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Arrivato all’ospedale mi accompagnarono immediatamente da lui, senza però farmi sapere cosa fosse successo, né in che condizioni fosse, perché per la legge il nostro legame non aveva alcun valore. Dissero solo che era stabile.

La prima reazione a ciò che mi apparve davanti agli occhi, fu di lasciarmi cadere sulla prima sedia che trovai. Le ginocchia già tremolanti non mi reggevano più. I bendaggi attorno al suo torace, per fortuna, coprivano le ferite più profonde e nascondevano l’effettivo danno arrecato a quel corpo. Avevo bisogno dei miei amici adesso.

Emma e Phil mi raggiunsero verso l’una di notte. Avevo scritto nel cuore della notte ed erano partiti immediatamente. Stavo riposandomi sulla sedia vicino al suo letto quando arrivarono.

“Daniel”, sentii una voce ancora nel dormiveglia, una mano mi accarezzò i capelli. Mi girai di scatto guardandoli spaventato. Appena mi ero reso conto di dov’ero e che non ero più solo, non riuscii più a trattenermi. Coprii la bocca con una mano e corsi fuori nel corridoio.

Emma aveva temuto che prima o poi sarebbe successo qualcosa di terribile dall’istante in cui le avevo raccontato di quel ragazzo misterioso. Quando poi lo aveva conosciuto di persona, l’aveva conquistata subito. Era impossibile non volergli bene. Ma io ero il suo migliore amico. La remota eventualità di vedermi in qualche modo in contatto con un mondo così fuori dalla nostra comprensione, le aveva causato non pochi momenti di ansia. Aveva visto giornalmente i sentimenti che c’erano tra noi due ed era convinta che fossero reali e sinceri come l’amore suo per Phil. Il suo timore era stato però che il passato del ragazzo, prima o poi, ci avrebbe colpiti.

Phil mi aveva seguito in corridoio. Non mi vergognavo delle mie lacrime. Era quasi un sollievo, sicuramente un lusso, potermi permettere di essere debole.

“Non si meritava anche questo, Phil. Non ha mai fatto niente a nessuno…”

Le mie parole si interruppero per colpa di un nuovo attacco di pianto. Ero stravolto. Non sarei riuscito a tenermi in piedi, se Phil non mi avesse sostenuto. Mi strinse a sé.

Nei sette anni passati era diventato come un fratello per me, e vedermi in quelle condizioni gli avrà spezzato il cuore. Con una mano mi accarezzava la testa riversa sulla sua spalla. D’altronde è difficile trovare le parole giuste in queste situazioni. Consolarmi sarebbe stato invano.

“Vieni”, disse Phil, trascinandomi con sé. Io, il suo amico, tempo fa amante della vita, spesa per rendere vivibile quella di un ragazzo nel morso della sfortuna. In quel momento, invece, sembravo più morto che vivo, e sinceramente non mi sentivo altrimenti. Avrei dovuto mangiare qualcosa, almeno bere un po’ di acqua.

“Non aiuta a nessuno se crolli anche tu, Daniel.”

Si fermò davanti al primo distributore lungo il corridoio e mi fece sedere. Prese una bottiglia d’acqua e due caffè e me ne porse uno.

Continuavo a fissare il pavimento, gli occhi rossi e gonfi dal pianto. Sapevo di far sentire impotente Phil, ma cosa avrei dovuto fare? Non avevo né fame, né sete. Il dolore nel petto sembrava crescere in modo perpetuo, come se mi volesse tenere in vita per farmi soffrire il più a lungo possibile. Volevo solo vedere un sorriso sulle labbra del mio cucciolo. Presi il caffè. Era quello che mi ci voleva adesso. Non volevo dormire. Dovevo essere sveglio, lì per lui quando avrebbe aperto gli occhi.

“Si rimetterà, vero?”

“Certo che si rimetterà”, mi rispose Phil, decisamente contento di sentire la mia voce. “Tutto si rimetterà a posto, Daniel. È un combattente. Devi essere forte adesso. Ha bisogno che tu sia forte per lui.”

Come se non lo fossi già stato innumerevoli volte. Phil sapeva delle nostre lotte, intenti a risolvere l’apparentemente irrisolvibile, meravigliandosi ogni volta della nostra resistenza. Quando mi ascoltava raccontare le mie pazzie da salva-mondo, avrebbe voluto urlarmi in faccia SVEGLIATI. Si sedette sulla sedia vicina a me e mise un braccio attorno alle mie spalle.

Non riuscivo nemmeno più a piangere. Solo quelle lacrime, maledette, continuavano a fuggirmi dagli occhi. Sapevo che avrei dovuto riposarmi. Il mio corpo mi supplicava da ore di concedergli un poco di sonno. Ma ogni volta che chiudevo gli occhi, immagini terribili apparivano, torturando la mia mente con scene che non ero più in grado di sopportare. Non ce la facevo più. Mi abbandonai un momento tra le braccia di Phil, giusto per caricarmi dell’energia necessaria per tornare dal mio amore.

“La colpa è sua,” sussurrai.

“Andrà tutto bene”, cercò di rassicurarmi Phil, abbracciandomi ancora più forte.

“Voglio tornare da lui.”

Mi liberai dalle braccia del mio amico e mi alzai barcollando. Phil mi sorresse subito, vedendo che quasi non mi reggevo in piedi.

Emma mi venne incontro sostituendo le braccia del suo compagno con le sue e mi abbracciò. Niente al mondo aveva sognato di più che sapermi in preda ad un amore come lei lo viveva con il suo Phil. Si vergognava quasi delle proprie lacrime, quando staccandosi dall’abbraccio guardò il mio viso. Mi accompagnò sulla sedia vicina al letto e, mettendosi dietro di me, mi mise le mani sulle spalle.

“Andrà tutto bene, cucciolo”, mormorai, riprendendo nelle mie la mano sua.

Avevo difficoltà a crederci io stesso. Continuavo a dire queste parole al ragazzo, ma la speranza di riuscire a cambiargli la vita sembrava di dover rimanere un’ideale, troppo distante per essere lontanamente realistico. Accarezzandogli la mano dolcemente, lasciavo scorrere davanti agli occhi i due anni passati. Quando ci eravamo conosciuti, avevo sempre allontanato dalla mente la possibilità di trovarmi un giorno al capezzale di un letto d’ospedale, nuovamente incredulo di fronte alla bestia chiamata essere umano e ciò che essa era capace di fare.

C’erano giorni singoli, ma solo sporadici, nei quali mi chiedevo come sarebbero state le nostre vite, se quella sera non avessi sentito quei rantoli che rompevano il silenzio della notte. Come sarebbero state, se non fossi mai stato preso in ostaggio da quel sentimento chiamato amore.

"Andrà tutto bene…"

Marzo 2009

“Arrivederla, signora Whitley!”

Seguii con lo sguardo l’anziana signora avviarsi verso la porta d’uscita. Era già la seconda volta questa settimana che passava per chiedere quando sarebbe dovuta venire per la fisioterapia. Brutta bestia l’Alzheimer, anche se regalava non pochi momenti umoristici. Proprio a causa della memoria a breve termine mancante di alcuni dei nostri pazienti, si verificavano delle scene degne delle migliori commedie hollywoodiane.

Allora erano stati già dieci anni che avevo iniziato a lavorare nel centro d’accoglienza per anziani. Amo tutt’ora il mio lavoro. Fosse stato per i miei, sarei già stato un medico in carriera, ma non era quello che volevo fare nella mia vita. Mia madre, dottoressa Mary Clark, mi aveva già assicurato un posto nella clinica privata nella quale lavora come psichiatra. Sapevo solo di voler aiutare le persone. L’unica differenza tra me e i miei era che io volevo aiutare a chi aveva bisogno e basta, non solo a chi se lo poteva permettere.

L’idea di seguire le orme di papà, John Clark, un avvocato rinomato a New York City, mi aveva sfiorato la mente. Aiutare i poveri a difendersi dai ricchi! Che nobile pensiero. Sarei stato il Robin Hood della nuova York, versione moderna. La mia visione di fare l’avvocato in una città come NYC non aveva però nulla a che fare con la realtà. Seguendo dall’esterno i casi di papà, avevo capito ben presto che anche quel settore era dominato dal dio denaro e non dal cuore.

Feci comunque le scuole scelte dai miei fino ai 18 anni. Conscio del fatto, che per avere successo in qualsiasi ambito bisognava dare il meglio, studiavo come un matto. Ero uno studente modello.

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