Verso il 25, dopo un altro alternarsi di neve e di pioggia, il vento spirò da sudest, e il freddo divenne improvvisamente molto intenso. Secondo la stima dell’ingegnere, la colonna di mercurio d’un termometro Fahrenheit non avrebbe segnato meno di otto gradi sotto zero (22°,22 centigradi sotto zero); questo freddo intenso, reso ancor più doloroso da un vento tagliente, durò parecchi giorni. I coloni dovettero rinchiudersi di nuovo in GraniteHouse, e siccome fu necessario tappare ermeticamente tutte le aperture della facciata, non lasciando che il passaggio strettamente necessario per il rinnovarsi dell’aria, il consumo di candele steariche fu considerevole. Per economizzarle, i coloni si accontentarono spesso della luce proveniente dalla fiamma dei focolari, dove il combustibile non veniva risparmiato. Più volte, l’uno o l’altro dei coloni provò a discendere sulla spiaggia, in mezzo ai ghiacci, che il flusso vi ammucchiava a ogni marea, ma tutti dovettero subito risalire a GraniteHouse, afferrandosi a stento ai pioli della scala che, dato il gran freddo, bruciavano loro le dita.
Bisognò ancora pensare al modo di occupare gli ozi, a cui la segregazione costringeva gli ospiti di GraniteHouse. Cyrus Smith intraprese allora un’operazione, che poteva farsi anche stando rinchiusi.
È noto che i coloni non avevano a loro disposizione altro zucchero se non la sostanza liquida, che traevano dall’acero, facendo profonde incisioni in detto albero. Bastava che raccogliessero il succo in vasi, e poi lo adoperavano senz’altro così, allo stato grezzo, in diversi usi culinari, e tanto meglio in quanto il liquido, invecchiando, tendeva a imbiancare, prendendo una consistenza sciropposa.
Ma c’era di meglio da fare, e un giorno Cyrus Smith annunciò ai suoi compagni ch’essi stavano per trasformarsi in raffinatori.
«Raffinatori!» disse Pencroff. «È un mestiere un po’ caldo, vero?»
«Caldissimo!» rispose l’ingegnere.
«Allora, bene: sarà adatto alla stagione!» replicò il marinaio.
Questa parola, «raffinazione», non deve però destare nella mente l’immagine di fabbriche complicate, di attrezzi e operai. No! Per cristallizzare il succo di cui si parla, bastava epurarlo mediante un’operazione estremamente facile. Esso fu semplicemente sottoposto a una certa evaporazione, mettendolo sul fuoco in grandi vasi di terra; poco dopo della schiuma apparve alla sua superficie; quando il liquido cominciò a divenir denso, Nab ebbe cura di rimestarlo con una spatola di legno, per accelerare la sua evaporazione e impedirgli nello stesso tempo di contrarre un gusto di bruciaticcio.
Dopo alcune ore di ebollizione su di un buon fuoco, che faceva tanto bene agli operatori quanto alla sostanza lavorata, quest’ultima si trasformò in un denso sciroppo. Questo sciroppo fu versato in stampi d’argilla, precedentemente fabbricati nel fornello stesso della cucina, ai quali erano state impresse forme svariate. L’indomani, lo sciroppo, raffreddato, formava pani e tavolette: era zucchero, di colore un po’ rossastro, ma quasi trasparente e di ottimo gusto.
Il freddo continuò fino a metà settembre e i prigionieri di GraniteHouse cominciavano a trovare assai lunga la loro prigionia. Quasi tutti i giorni tentavano qualche sortita, che però non poteva essere che molto breve. Lavoravano, quindi, costantemente a ordinare e abbellire la loro casa, e lavorando conversavano. Cyrus Smith istruiva i compagni in molte cose e spiegava loro principalmente le applicazioni pratiche della scienza. I coloni non avevano una biblioteca a loro disposizione, ma l’ingegnere era un libro sempre pronto, sempre aperto alla pagina di cui ciascuno aveva bisogno, un libro che risolveva loro tutti i problemi e che essi sfogliavano molto spesso. Così il tempo passava e quella brava gente non sembrava temere per nulla l’avvenire.
Però, era tempo che quella segregazione finisse. Tutti avevano fretta di vedere, se non la bella stagione, almeno la cessazione di quel freddo insopportabile. Se solamente fossero stati vestiti in modo da poterlo sfidare, quante escursioni avrebbero tentate, sia alle dune, sia alla palude delle tadorne! La selvaggina doveva essere facilmente avvicinabile e la caccia sarebbe stata sicuramente fruttuosa. Ma Cyrus Smith teneva a che nessuno compromettesse la propria salute, giacché aveva bisogno di tutte le braccia, e i suoi consigli furono seguiti.
Ma bisogna dire che il più stanco della prigionia, dopo Pencroff, era Top. Il fedele animale si trovava molto a disagio nella GraniteHouse. Andava e veniva da una camera all’altra e manifestava a modo suo la noia d’essere rinchiuso.
Cyrus Smith notò spesso che, quando si avvicinava all’oscuro pozzo, che era in comunicazione con il mare e la cui apertura si trovava in fondo al magazzino, Top faceva udire strani brontolii: girava intorno a quel buco, ch’era stato coperto con una tavola di legno. Talvolta cercava persino d’introdurre le zampe sotto la tavola, come avesse voluto sollevarla, e abbaiava allora in modo particolare, che indicava collera e inquietudine insieme.
Più volte l’ingegnere osservò questo lavorio. Che cosa c’era dunque in quell’abisso, che potesse tanto impressionare l’intelligente animale? Il pozzo finiva nel mare, questo era certo. Si ramificava in stretti canali attraverso l’isola? Era forse in comunicazione con altre cavità interne? Qualche mostro marino veniva forse, di tanto in tanto, a respirare nel suo fondo? L’ingegnere non sapeva che cosa pensare e non poteva fare a meno di fantasticare bizzarre complicazioni. Avvezzo ad andar lontano nel campo delle realtà scientifiche, egli non si perdonava di lasciarsi trascinare nel dominio dello strano e quasi del soprannaturale; ma come spiegarsi che Top, uno di quei cani sensati, che non perdono il loro tempo abbaiando alla luna, s’ostinasse a sondare con il fiuto e con l’udito quell’abisso, se niente vi accadeva, che potesse destare la sua inquietudine? La condotta di Top impensieriva Cyrus Smith più di quanto gli sembrasse ragionevole confessare a se stesso.
Però, l’ingegnere non comunicò le sue impressioni che a Gedeon Spilett, trovando inutile iniziare i suoi compagni alle riflessioni involontarie, prodotte in lui da quella che forse era solo una fissazione di Top.
Finalmente, il freddo cessò. Vi furono ancora piogge, raffiche miste di neve, piovaschi, temporali, colpi di vento, ma furono intemperie passeggere. Il ghiaccio s’era disciolto, la neve si era fusa; la spiaggia, l’altipiano, le rive del Mercy, la foresta erano ridivenuti praticabili. Questo ritorno della primavera trasse i coloni fuori da GraniteHouse, e pochi giorni dopo essi non vi trascorrevano che le ore del sonno e dei pasti.
Nella seconda metà di settembre la caccia fu molto intensificata e Pencroff ebbe così occasione di reclamare con nuova insistenza le armi da fuoco, che affermava essere state promesse da Cyrus Smith. Questi, ben sapendo che senza uno speciale complesso di attrezzi gli sarebbe stato quasi impossibile fabbricare un fucile che potesse essere di una qualche utilità, si schermiva sempre e rimandava l’operazione. D’altra parte faceva osservare che Harbert e Gedeon Spilett erano divenuti abili arcieri, che ogni sorta d’animali eccellenti: aguti, canguri, capibara, piccioni, ottarde, anatre selvatiche, beccaccini, insomma, molta selvaggina di pelo o di piuma, cadeva sotto le loro frecce, e che, di conseguenza, si poteva aspettare. Ma l’ostinato marinaio non ci sentiva da quell’orecchio e non avrebbe certo lasciato tregua all’ingegnere, sino a che questi non avesse soddisfatto il suo desiderio. Gedeon Spilett, del resto, appoggiava Pencroff.
«Se l’isola, come abbiamo ragione di sospettare,» diceva egli «ospita delle bestie feroci, bisogna pensare a combatterle e sterminarle. Può venire un momento in cui questo sia il nostro primo dovere.»
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