Da quel punto elevato, lo sguardo poteva distendersi su tutta la parte meridionale dell’isola, cioè dal capo Artiglio, a sudest, fino al promontorio del Rettile a sudovest. A nordovest si ergeva il monte Franklin, che nascondeva più di un quarto dell’orizzonte.
Ma, dall’alto del suo osservatorio, Harbert poteva scorgere proprio tutta quella parte ancora sconosciuta dell’isola, che aveva potuto dare o dava ancora rifugio agli stranieri, di cui si supponeva la presenza.
Il ragazzo guardò con estrema attenzione. Sul mare, niente in vista. Non una vela, né all’orizzonte, né ai punti d’approdo dell’isola. Tuttavia, siccome il folto degli alberi nascondeva il litorale, era possibile che un bastimento, specie un bastimento disalberato, si trovasse sotto costa e, per conseguenza, fosse invisibile per Harbert.
In mezzo ai boschi del Far West, egualmente nulla. La foresta formava un’impenetrabile copertura, misurante parecchie miglia quadrate, senza una radura, senza uno spazio scoperto. Era persino impossibile seguire il corso del Mercy e distinguere il punto della montagna da cui nasceva. Probabilmente, altri corsi d’acqua andavano verso l’ovest, ma nulla permetteva di constatarlo.
Se ogni indizio di accampamento sfuggiva ad Harbert, non poteva egli almeno sorprendere nell’aria qualche spira di fumo, che svelasse la presenza dell’uomo? L’atmosfera era pura, e il più lieve vapore si sarebbe nettamente rilevato sullo sfondo del cielo.
Per un istante, Harbert credette di vedere un sottile filo di fumo innalzarsi a ovest, ma una più attenta osservazione gli dimostrò che s’ingannava. Guardò ancora con la massima cura, e la sua vista era anche eccellente… No, non c’era nulla, assolutamente.
Harbert ridiscese ai piedi del kauri e i due cacciatori ritornarono a GraniteHouse. Cyrus Smith ascoltò il racconto del ragazzo, scrollò il capo e tacque. Era evidente che non sarebbe stato possibile pronunciarsi sull’importante problema, se non dopo un’esplorazione completa dell’isola.
Due giorni dopo, il 28 ottobre, si verificò un altro avvenimento inspiegabile, che lasciò i coloni perplessi e insoddisfatti.
Mentre si aggiravano sulla spiaggia, a due miglia da GraniteHouse, Harbert e Nab furono abbastanza fortunati da catturare un magnifico esemplare dell’ordine dei chelonidi. Era una testuggine franca, del genere mydase, il cui guscio aveva magnifici riflessi verdi. Harbert scoperse questa tartaruga mentre strisciava fra le rocce per raggiungere il mare.
«A me, Nab, a me!» gridò il giovinetto. Nab accorse.
«Che bell’animale!» disse Nab «ma come catturarlo?»
«Nulla di più facile, Nab» rispose Harbert. «Rovesceremo questa tartaruga sul dorso, e non potrà più fuggire. Prendi la picca e imitami.»
Il rettile, sentendo il pericolo, s’era ritirato nel suo guscio: non se ne vedevano più né la testa né le zampe, ed era immobile come un masso.
Harbert e Nab fecero passare i loro bastoni sotto lo sterno dell’animale e unendo i loro sforzi riuscirono, non senza fatica, a voltarlo sul dorso. Quella testuggine, lunga tre piedi, doveva pesare almeno quattrocento libbre.
«Bene!» esclamò Nab «farà felice l’amico Pencroff!»
E infatti, l’amico Pencroff non poteva non essere contento, poiché la carne di queste tartarughe, che si cibano di zostere, è straordinariamente saporita. In quel momento la bestia catturata non lasciava intravedere che la testa piccola, piatta, ma molto allargata posteriormente da grandi fosse temporali, celate sotto una volta ossea.
«E adesso, che cosa faremo di questa selvaggina?» disse Nab. «Non possiamo certo trascinarla a GraniteHouse.»
«Lasciamola qui, tanto non può voltarsi» rispose Harbert; «ritorneremo a prenderla con il carro.»
«D’accordo.»
Tuttavia, per maggior precauzione, Harbert volle ancora coprire l’animale con dei grossi ciottoli, cosa che Nab trovò superflua; dopo di che i due cacciatori ritornarono a GraniteHouse, seguendo la spiaggia, che la marea, allora bassa, lasciava scoperta per largo tratto. Harbert, volendo fare una sorpresa a Pencroff, non gli disse nulla del «superbo esemplare dei chelonidi» che aveva capovolto sulla sabbia; ma due ore dopo, Nab e lui erano di ritorno con il carro sul luogo dove l’avevano lasciato. Il «superbo esemplare dei chelonidi» non c’era più.
Nab e Harbert prima si guardarono l’un l’altro, poi si guardarono intorno. Eppure, la testuggine era stata lasciata proprio in quel punto. Il ragazzo ritrovò persino i ciottoli di cui s’era servito e, per conseguenza, era sicuro di non ingannarsi.
«Ah!» disse Nab «possono, dunque, voltarsi queste bestie?»
«Così sembra» rispose Harbert, che non ci capiva più nulla e guardava i ciottoli sparsi sulla sabbia.
«Orbene, Pencroff non ne sarà certo contento!»
«E il signor Smith sarà probabilmente assai imbarazzato a spiegare questa sparizione!» pensò Harbert.
«Bene!» fece Nab, che voleva celare la sua disavventura «non ne parleremo.»
«Invece bisogna parlarne, Nab» rispose Harbert.
E riprendendo il carro inutilmente condotto fin là, tutt’e due tornarono a GraniteHouse.
Arrivati al cantiere, dove l’ingegnere e il marinaio lavoravano insieme, Harbert raccontò quel ch’era accaduto.
«Ah, malaccorti!» esclamò il marinaio. «Avete lasciato scappare almeno cinquanta minestre!»
«Ma, Pencroff,» ribatté Nab «non è colpa nostra, se la bestia è fuggita, poiché ti assicuro che noi l’avevamo rivoltata!»
«Allora, vuol dire che non l’avevate voltata abbastanza!» rimbeccò l’intrattabile marinaio, sottolineando con vivacità questa buffa risposta.
«Non abbastanza bene?» esclamò Harbert.
E raccontò che aveva preso la precauzione di mettere persino dei ciottoli sopra la tartaruga.
«È un miracolo, dunque!» soggiunse Pencroff.
«Io credevo, signor Cyrus,» disse Harbert «che le testuggini, una volta poste sul dorso, non potessero rimettersi sulle zampe, soprattutto quando sono di grosse dimensioni.»
«È proprio così, ragazzo mio» rispose Cyrus Smith.
«Allora, come può essere stato possibile?…»
«A quale distanza dal mare avevate lasciato questa tartaruga?» domandò l’ingegnere, che, sospeso il suo lavoro, rifletteva sull’incidente.
«A una quindicina di piedi al massimo» rispose Harbert.
«E la marea era bassa allora?»
«Sì, signor Cyrus.»
«Orbene,» rispose l’ingegnere «quel che la tartaruga non poteva fare sulla sabbia, può darsi che l’abbia fatto nell’acqua. Si sarà rivoltata quando il flusso l’avrà ripresa e sarà tranquillamente ritornata in alto mare.»
«Ah! che imprudenti siamo stati!» esclamò Nab.
«È proprio quanto avevo avuto l’onore di dirvi!» ribatté Pencroff.
Cyrus Smith aveva dato questa spiegazione, ch’era senza dubbio ammissibile. Ma era egli stesso ben convinto della sua giustezza? Non oseremmo affermarlo.
CAPITOLO II
PRIMA PROVA DELLA PIROGA «UN RELITTO SULLA COSTA» IL RIMORCHIO «LA PUNTA DEL RELITTO» INVENTARIO DELLA CASSA: ARNESI, ARMI, STRUMENTI, VESTITI, LIBRI, UTENSILI VARI «QUELLO CHE MANCA A PENCROFF» IL VANGELO «UN VERSETTO DEL LIBRO SACRO»
IL 29 OTTOBRE, il canotto di corteccia d’albero era finito. Pencroff aveva mantenuto la promessa e in cinque giorni era stata costruita una specie di piroga, il cui scafo aveva un’ossatura formata di bacchette flessibili di crejimba. Un banco a poppa, un secondo al centro, per mantenere la distanza fra i bordi, un terzo a prua, una falchetta per sostenere gli scalmi di due remi, un remo a bratto (Nota: Il remo è uno strumento di legno che, opportunamente maneggiato, imprime il movimento ad una imbarcazione, vedi gondola. Fine nota) a poppa per governare, completavano quest’imbarcazione, lunga dodici piedi e che non pesava duecento libbre. L’operazione del varo fu estremamente semplice: la leggera piroga venne portata sulla sabbia, al limite del litorale dinanzi a GraniteHouse, e la marea crescente la sollevò. Pencroff, che vi saltò dentro subito, vogò a bratto (Nota: La voga consiste in una serie di rapidissimi mezzi giri alternati in un senso e nell’altro, che si fanno compiere al remo intorno a se stesso. Fine nota) e poté constatare che si prestava benissimo all’uso che ne voleva fare.
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