«Sì» riprese l’ingegnere. «Così pure, poiché la notte è serena, voglio tentare questa sera stessa di ottenere la nostra latitudine, calcolando l’altezza della Croce del Sud, vale a dire del polo australe, al di sopra dell’orizzonte. Voi comprenderete, amici, che prima d’intraprendere seri lavori d’installazione, non bisogna accontentarsi solo di sapere che questa terra è un’isola, ma bisogna determinare, per quanto è possibile, a quale distanza essa si trova, sia dal continente americano, sia dal continente australiano, e dai principali arcipelaghi del Pacifico.»
«Infatti,» disse il giornalista «invece di costruire una casa, possiamo avere interesse a costruire un’imbarcazione, se per caso non siamo che a un centinaio di miglia da una costa abitata.»
«Ecco perché» ripeté Cyrus Smith «io mi preparo questa sera a tentar di ottenere la latitudine dell’isola di Lincoln, e domani, a mezzogiorno tenterò di calcolarne la longitudine.»
Se l’ingegnere avesse posseduto un sestante, apparecchio che permette di misurare con grande precisione la distanza angolare degli oggetti per riflessione, l’operazione non avrebbe presentato alcuna difficoltà. In quella sera stessa, per mezzo dell’altezza del polo, l’indomani con il passaggio del sole al meridiano, egli avrebbe ottenuto le coordinate dell’isola. Ma, poiché l’apparecchio mancava, bisognava supplire in qualche modo.
Cyrus Smith rientrò, dunque, ai Camini. Alla luce del focolare, tagliò due righelli piatti, che unì l’uno all’altro per l’estremità, in modo da formare una specie di compasso, i cui bracci potevano scostarsi e riaccostarsi. Il punto d’attacco era fissato a mezzo di una robusta spina d’acacia, che si trovò in un ramo secco della legnaia.
A lavoro ultimato, l’ingegnere tornò sulla spiaggia; ma, poiché occorreva ch’egli prendesse l’altezza del polo su un orizzonte nettamente disegnato, vale a dire un orizzonte di mare, e il capo Artiglio invece gli nascondeva l’orizzonte a sud, dovette cercare un punto d’osservazione più adatto. Il migliore, evidentemente, sarebbe stato sul litorale esposto direttamente al sud, ma si sarebbe dovuto attraversare il Mercy, allora profondo, il che era molto difficile.
Cyrus Smith decise, quindi, di andare a fare le sue osservazioni sull’altipiano di Bellavista, riservandosi di tener conto della sua altezza sul livello del mare, altezza ch’egli si riprometteva di calcolare l’indomani con un semplice procedimento di geometria elementare.
I coloni si trasferirono, dunque, sull’altipiano, risalendo la riva sinistra del Mercy, e andarono a collocarsi sull’orlo orientato da nordovest a sudest, cioè sulla linea di rocce capricciosamente frastagliate che costeggiava il fiume.
Questa parte dell’altipiano dominava di una cinquantina di piedi le alture della riva destra, che discendevano, per una duplice china, fino all’estremità del capo Artiglio e fino alla costa meridionale dell’isola. Nessun ostacolo si opponeva, dunque, allo sguardo, che abbracciava l’orizzonte per un semicerchio, dal capo Artiglio fino al promontorio del Rettile. A sud, questo orizzonte, rischiarato inferiormente dalla prima luce lunare, spiccava vivamente sul cielo e lo si poteva traguardare con una certa precisione.
In quel momento, la Croce del Sud si presentava all’osservatore capovolta, con la stella alfa alla base, che è più vicina al polo australe.
Questa costellazione non è così vicina al polo antartico quanto la stella polare al polo artico. La sua stella alfa ne dista ventisette gradi circa, ma Cyrus Smith sapeva di dover tener conto di questa distanza nel suo calcolo. Egli ebbe inoltre cura di osservare la stella al momento in cui essa passava al meridiano inferiore, il che avrebbe reso più facile la sua osservazione.
Cyrus Smith diresse, dunque, un braccio del suo compasso di legno sull’orizzonte del mare, l’altro su alfa, come avrebbe fatto con i cannocchiali di un circolo ripetitore, e l’apertura dei due bracci gli diede la distanza angolare che separava alfa dall’orizzonte. Allo scopo, poi, di conservare intatto l’angolo ottenuto, fissò, per mezzo di spine, le due assicelle del suo apparecchio su di una terza, posta trasversalmente, in modo che il loro divario fosse stabilmente assicurato.
Ciò fatto, non restava che calcolare l’angolo ottenuto, riportando l’osservazione al livello del mare, tenendo cioè conto della depressione dell’orizzonte, ciò che rendeva necessario misurare l’altezza dell’altipiano. Il valore di quest’angolo avrebbe dato così l’altezza di alfa, e conseguentemente quella del polo sopra l’orizzonte, vale a dire la latitudine dell’isola; poiché la latitudine di un punto del globo è sempre uguale all’altezza del polo al di sopra dell’orizzonte di quel punto.
Questi calcoli furono rimandati all’indomani, e, alle dieci, tutti dormivano profondamente.
CAPITOLO XIV
LA MISURA DELLA MURAGLIA GRANITICA «UN’APPLICAZIONE DEL TEOREMA DEI TRIANGOLI SIMILI» LA LATITUDINE DELL’ISOLA «UNA ESCURSIONE A NORD» UN BANCO D’OSTRICHE ~ PROGETTI PER L’AVVENIRE «IL PASSAGGIO DEL SOLE AL MERIDIANO» LE COORDINATE DELL’ISOLA DI LINCOLN
L’INDOMANI, 16 aprile, domenica di Pasqua, i coloni uscirono dai Camini allo spuntar del giorno, e provvidero a lavare la loro biancheria e a pulire i loro abiti. L’ingegnere si proponeva di fabbricare del sapone, appena avesse potuto procurarsi le materie prime necessarie, soda o potassa, grasso od olio. Anche l’importante problema del rinnovamento del guardaroba sarebbe stato trattato a tempo e luogo. A ogni modo, i vestiti sarebbero durati certo sei mesi ancora, giacché erano solidi e potevano resistere alla fatica dei lavori manuali. Ma tutto sarebbe dipeso dalla posizione dell’isola rispetto alle terre abitate: fatto, questo, che sarebbe stato determinato in quello stesso giorno, tempo permettendo.
Ora, il sole, sorgendo su di un orizzonte limpido, annunciava una giornata magnifica, una di quelle belle giornate d’autunno che sono come l’estremo addio della stagione calda.
Si trattava, perciò, di completare gli elementi di osservazione della vigilia, misurando l’altitudine dell’altipiano di Bellavista al di sopra del livello del mare.
«Non vi occorre uno strumento analogo a quello di cui vi siete servito ieri?» domandò Harbert all’ingegnere.
«No, ragazzo mio,» rispose questi, «procederemo diversamente, ma in un modo quasi altrettanto preciso.»
Harbert, che amava istruirsi su tutte le cose, seguì l’ingegnere, che s’allontanò dalla base della muraglia di granito, discendendo sino alla spiaggia. Nel frattempo, Pencroff, Nab e il giornalista si occupavano di vari altri lavori.
Cyrus Smith si era munito di una specie di pertica diritta e lunga circa dodici piedi, che aveva misurata con la maggior esattezza possibile confrontandola con la propria statura, che conosceva con una buona approssimazione. Harbert portava un filo a piombo, che Cyrus Smith gli aveva dato, vale a dire una semplice pietra fissata all’estremità di una fibra flessibile.
Arrivato a una ventina di piedi dal limite della spiaggia, e a cinquecento piedi circa dalla muraglia di granito, che si drizzava perpendicolarmente, Cyrus Smith conficcò la pertica per due piedi nella sabbia e, rincalzandola con cura, pervenne, a mezzo del filo a piombo, a rizzarla perpendicolarmente al piano dell’orizzonte.
Fatto questo, indietreggiò di quel tanto ch’era necessario perché, mettendosi egli prono sulla sabbia, il raggio visivo, partito dal suo occhio, sfiorasse contemporaneamente l’estremità della pertica e la cresta della muraglia. Poi segnò accuratamente quel punto con un paletto.
Allora, rivolgendosi a Harbert:
«Conosci le prime nozioni della geometria?» gli chiese.
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