«Amico Pencroff,» rispose l’ingegnere, ridendo «giusto o no, bisogna pur subire la situazione; ed ecco da che proviene questa particolarità. La terra non descrive un cerchio intorno al sole, bensì un’ellisse, come vogliono le leggi della meccanica razionale. La terra occupa uno dei fuochi dell’ellisse e, di conseguenza, a un certo punto del suo percorso, essa è al suo apogeo, vale a dire alla sua più grande lontananza dal sole, e a un’altra epoca al suo perigeo, cioè alla sua più breve distanza. Ora, precisamente durante l’inverno delle contrade australi, essa è al suo punto più lontano dal sole, e di conseguenza, nelle condizioni volute perché queste regioni soffrano i più grandi freddi. Contro tutto questo non c’è nulla da fare, e gli uomini, Pencroff, per quanto sapienti siano, non potranno mai cambiare alcunché nell’ordine cosmografico stabilito da Dio stesso.»
«Eppure,» soggiunse Pencroff, che mostrava una certa difficoltà a rassegnarsi «il mondo è tanto dotto! Che grosso libro, signor Cyrus, si potrebbe fare con tutto quello che si sa!»
«E che libro più grosso ancora con tutto quello che non si sa!» aggiunse Cyrus Smith.
Insomma, per una ragione o per l’altra, nel mese di giugno ricominciarono i freddi, con la loro consueta violenza, e i coloni furono molto spesso costretti a rimanere chiusi in GraniteHouse.
Ah! quella prigionia sembrava dura a tutti e forse più particolarmente a Gedeon Spilett.
«Vedi,» diss’egli un giorno a Nab «io ti farei donazione, mediante atto notarile, di tutte le eredità che mi spetteranno un giorno, se tu fossi un ragazzo abbastanza bravo per andare, non importa dove, ad abbonarmi a un giornale qualsiasi! Certo, quello che più manca alla mia felicità è di sapere tutte le mattine, quel ch’è accaduto altrove il giorno prima!»
Nab s’era messo a ridere.
«In fede mia,» aveva risposto «quello che più m’interessa sono invece le faccende quotidiane.»
E, in verità, sia dentro che fuori, il lavoro non mancava.
La colonia dell’isola di Lincoln si trovava allora al massimo della sua prosperità; tre anni di fatiche l’avevano portata a quel punto. L’incidente del brigantino distrutto era stato una nuova fonte di ricchezze. Oltre l’attrezzatura completa, che sarebbe servita alla nave in costruzione, utensili e strumenti d’ogni sorta, armi e munizioni, vestiti e attrezzi, colmavano ora i magazzini di GraniteHouse. Non c’era stato più bisogno nemmeno di ricorrere alla fabbricazione di grosse stoffe di feltro. Se i coloni avevano sofferto il freddo durante la prima invernata, adesso la cattiva stagione poteva venire, senza ch’essi avessero a temerne i rigori. Anche la biancheria era abbondante e d’altronde veniva conservata con cura straordinaria. Dal cloruro di sodio, che non è altro che il sale marino, Cyrus Smith aveva facilmente estratto la soda e il cloro. La soda, che fu facile trasformare in carbonato di soda, e il cloro, di cui egli fece dei cloruri di calce e altri derivati, furono adoperati per diversi usi domestici e precisamente per il bucato. Del resto, i coloni facevano il bucato solo quattro volte l’anno, come si usava nelle famiglie antiche; e ci sia permesso d’aggiungere che Pencroff e Gedeon Spilett, quest’ultimo in attesa che il postino gli portasse il suo giornale, si dimostrarono eccellenti lavandai.
Così passarono i mesi d’inverno, giugno, luglio e agosto. Furono mesi freddissimi, e la media delle osservazioni termometriche non diede più di otto gradi Fahrenheit (13°,33 centigradi sotto zero). Essa fu, dunque, inferiore alla temperatura dell’inverno precedente. Ma che bel fuoco fiammeggiava incessantemente nei focolari di GraniteHouse, mentre il fumo macchiava di lunghe liste nere la muraglia di granito. Il combustibile non veniva risparmiato, che, tanto, esso cresceva naturalmente a pochi passi dall’abitazione. Inoltre, il superfluo del legname destinato alla costruzione del bastimento, permise d’economizzare il carbon fossile, che richiedeva un più faticoso trasporto.
Uomini e animali stavano tutti bene. Mastro Jup si mostrava un po’ freddoloso, bisognava riconoscerlo. Era forse il suo solo difetto, e bisognò fargli una buona veste da camera, bene ovattata. Ma che domestico accorto, zelante, infaticabile, non indiscreto, non chiacchierone! Si sarebbe potuto a ragione proporlo per modello a tutti i suoi colleghi bipedi del vecchio e del nuovo mondo!
«Dopo tutto,» diceva Pencroff «quando si hanno quattro mani al proprio servizio, fare le proprie faccende con bel garbo è il meno che si possa!»
E, difatti, l’intelligente quadrumane faceva così!
Durante i sette mesi che seguirono le ultime ricerche fatte attorno alla montagna e durante il mese di settembre, che ricondusse le belle giornate, il genio dell’isola non fece parlare di sé. La sua azione non si manifestò in alcuna circostanza. D’altra parte, essa sarebbe stata inutile, poiché non si verificò nessun incidente, che potesse mettere i coloni in qualche penosa contingenza.
Cyrus Smith osservò pure che, se per caso le comunicazioni fra lo sconosciuto e gli ospiti di GraniteHouse avevano avuto per tramite il massiccio granitico e se l’istinto di Top le aveva, per così dire, presentite, in quel periodo nemmeno da quella parte si notò alcunché di anormale. I brontolii del cane erano completamente cessati, e così pure le inquietudini della scimmia. I due amici, giacché erano amici, non giravano più intorno alla bocca del pozzo, l’uno non abbaiava, e l’altro non gemeva più nel modo singolare che aveva, fin dal principio, messo sull’avviso l’ingegnere. Ma poteva questi assicurare che sul tanto discusso enigma tutto era ormai detto, e che mai sarebbe stato possibile averne la chiave? Poteva affermare che non si sarebbe verificata di nuovo qualche circostanza atta a riportare sulla scena il misterioso personaggio? Chi sapeva che cosa riservava l’avvenire?
Finalmente, l’inverno finì; ma un fatto, le cui conseguenze potevano, tutto sommato, essere gravi, avvenne appunto nei primi giorni che seguirono il ritorno della primavera.
Il 7 settembre, Cyrus Smith, osservando la cima del monte Franklin, vide fluttuare sopra il cratere un pennacchio di fumo, i cui primi vapori si innalzavano nell’aria.
CAPITOLO XV
IL RISVEGLIO DEL VULCANO «LA BELLA STAGIONE» RIPRESA DEI LAVORI «LA SERATA DEL 15 OTTOBRE» UN TELEGRAMMA «UNA DOMANDA» UNA RISPOSTA «PARTENZA PER IL RECINTO» L’AVVERTENZA «IL FILO SUPPLEMENTARE» LA COSTA DI BASALTO «CON L’ALTA MAREA» CON LA BASSA MAREA «LA CAVERNA» UNA LUCE ABBAGLIANTE
I COLONI, avvertiti dall’ingegnere, avevano sospeso i lavori e osservavano in silenzio la cima del monte Franklin.
Il vulcano s’era, dunque, risvegliato, e i vapori erano filtrati attraverso lo strato minerale accumulatosi nel fondo del cratere. Ma i fuochi sotterranei avrebbero provocato qualche violenta eruzione? Ecco un’eventualità impossibile a prevenirsi.
Tuttavia, anche ammettendo l’ipotesi di un’eruzione, era probabile che l’isola di Lincoln, nel suo insieme, non avesse a soffrirne. Le effusioni di materie vulcaniche non sono sempre disastrose. L’isola era già stata sottoposta a simili prove, come attestavano le colate di lava, che rigavano i pendii settentrionali della montagna. Inoltre, la forma del cratere e la sua bocca dovevano far si che le materie eruttate venissero proiettate in direzione opposta alle parti fertili dell’isola.
Ma il passato non vincolava, naturalmente, l’avvenire. Spesso, sulla cima dei vulcani, antichi crateri si chiudono, ma se ne aprono di nuovi. Il fatto si è prodotto in tutt’e due i mondi: sull’Etna, sul Popocatepetl, sull’Orizaba, e alla vigilia di un’eruzione, tutto si può temere. Bastava, insomma, un terremoto — fenomeno che accompagna talvolta le manifestazioni vulcaniche «perché la disposizione interna della montagna si modificasse e nuove vie si aprissero alle lave incandescenti.»
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