«Come! Non possiamo trasportarlo a GraniteHouse?» chiese Pencroff.
«No, Pencroff» rispose il giornalista.
«Maledizione!» esclamò il marinaio, mostrando il pugno al cielo.
«Pencroff!» disse Cyrus Smith.
Gedeon Spilett si era rimesso a esaminare il giovinetto ferito con estrema attenzione. Harbert era sempre così spaventosamente pallido che il giornalista si sentì prendere dallo sgomento.
«Cyrus,» disse «io non sono medico… sono in una terribile perplessità… Bisogna che mi aiutiate con i vostri consigli, con la vostra esperienza!…»
«Ritornate calmo, amico» rispose l’ingegnere, stringendo la mano al cronista. «Giudicate con sangue freddo… Non pensate che a questo: bisogna salvare Harbert!»
Queste parole resero a Gedeon Spilett quella sicurezza di sé che, in un istante di scoraggiamento, il vivo senso della propria responsabilità gli aveva fatto smarrire. Si sedette accanto al letto. Cyrus Smith rimase in piedi. Pencroff aveva lacerato la sua camicia e macchinalmente ne faceva filacce.
Gedeon Spilett spiegò allora a Cyrus Smith che credeva di dovere prima di tutto arrestare l’emorragia, ma non chiudere le due piaghe, né provocare la loro cicatrizzazione immediata, perché c’era stata la perforazione interna e non bisognava, quindi, lasciare che la suppurazione s’accumulasse nel petto.
Cyrus Smith l’approvò completamente. Fu, quindi, deciso di medicare le due ferite, senza però tentare di chiuderle mediante un bendaggio troppo rigido. Fortunatamente non parve che avessero bisogno d’essere drenate.
E adesso, per reagire contro la sopravveniente infiammazione, avevano i coloni un agente efficace?
Sì, ne avevano uno, poiché la natura l’ha generosamente prodigato. Avevano l’acqua fredda, cioè il sedativo più potente che si possa adoperare contro l’infiammazione delle piaghe, l’agente terapeutico più efficace nei casi gravi e che, adesso, è adottato da tutti i medici. L’acqua fredda offre per di più il vantaggio di lasciare la piaga in assoluto riposo e di rendere inutile ogni medicazione prematura, vantaggio questo considerevole, giacché l’esperienza ha dimostrato che il contatto diretto con l’aria è piuttosto funesto durante i primi giorni.
Gedeon Spilett e Cyrus Smith ragionavano così, con il loro semplice buon senso, e agirono come avrebbe agito il migliore dei chirurghi. Compresse di tela furono applicate sulle due ferite del povero Harbert e dovettero essere costantemente inzuppate d’acqua fredda.
Il marinaio, innanzi tutto, aveva acceso il fuoco nel caminetto. Non mancavano in quella dimora le cose indispensabili alla vita. Zucchero d’acero e piante medicinali — le medesime che il giovinetto aveva colte sulle sponde del lago Grant — permisero di fare delle tisane rinfrescanti, che vennero fatte bere all’infermo senza ch’egli se ne rendesse conto. La febbre era straordinariamente alta e tutta la giornata e la notte passarono così, senza che riprendesse conoscenza. La vita di Harbert era attaccata a un filo e questo filo poteva rompersi a ogni momento.
L’indomani, 12 novembre, Cyrus Smith e i suoi compagni ripresero qualche speranza. Harbert rinvenne dal suo lungo assopimento. Aperse gli occhi, riconobbe Cyrus Smith, il giornalista, Pencroff. Pronunciò due o tre parole. Egli non aveva nozione dell’accaduto. I compagni lo informarono e Gedeon Spilett lo supplicò di conservare un riposo assoluto, dicendogli che la sua vita non era in pericolo e che le ferite si sarebbero cicatrizzate in pochi giorni. Del resto, Harbert non soffriva quasi più e l’acqua fredda, con cui si bagnavano incessantemente le ferite, ne impediva l’infiammazione. La suppurazione si produceva regolarmente, la febbre non tendeva ad aumentare e si poteva sperare che la terribile ferita non avrebbe prodotto nessuna sciagura. Pencroff si sentiva a poco a poco più sollevato. Egli era come una suora di carità, come una madre al letto del suo figliolo.
Harbert s’assopì di nuovo, ma il suo sonno parve assai migliore.
«Ditemi che sperate, signor Spilett!» disse Pencroff. «Ripetetemi che salverete Harbert!»
«Sì, lo salveremo!» rispose il giornalista. «La ferita è grave e probabilmente la palla ha attraversato il polmone, ma la perforazione di quest’organo non è mortale.»
«Che Dio vi ascolti!» aggiunse Pencroff.
Come si può immaginare, da ventiquattro ore ch’erano al recinto i coloni non avevano avuto altro pensiero che di curare Harbert. Non s’erano preoccupati né del pericolo che poteva minacciarli se i deportati ritornavano, né delle precauzioni da prendere per l’avvenire.
Ma quel giorno, mentre Pencroff vegliava al letto del malato, Cyrus Smith e il giornalista discussero in merito a quello che conveniva fare.
Prima di tutto visitarono il recinto. Non v’era traccia di Ayrton. Lo sventurato era forse stato trascinato via dai suoi complici d’un tempo? Era stato sorpreso nel recinto? Aveva lottato e dovuto soccombere nella lotta? Quest’ultima ipotesi era fin troppo probabile. Gedeon Spilett, nel momento in cui dava la scalata alla palizzata, aveva veduto perfettamente uno dei deportati scappare per il contrafforte sud del monte Franklin, mentre Top si slanciava alle sue calcagna. Era uno di quelli la cui lancia si era sfasciata sugli scogli all’imboccatura del Mercy. D’altronde, quello che Cyrus Smith aveva ucciso e che fu ritrovato cadavere al di fuori della cinta, apparteneva proprio alla banda di Bob Harvey.
Il recinto non aveva ancora subito alcuna devastazione. Le porte erano chiuse e gli animali domestici non avevano potuto disperdersi nella foresta. Non si vedeva traccia di lotta, né guasto alcuno all’abitazione o alla palizzata. Solo le munizioni di cui Ayrton era provvisto erano sparite con lui.
«L’infelice sarà stato sorpreso,» disse Cyrus Smith «e, siccome avrà opposto resistenza, avrà dovuto soccombere.»
«Sì, lo temo!» rispose il giornalista. «Poi, senza dubbio, i deportati si sono installati nel recinto, dove han trovato tutto in abbondanza, e hanno preso la fuga solo quando ci hanno veduti arrivare. È chiaro, altresì, che al nostro arrivo Ayrton, morto o vivo che fosse, non era più qui.»
«Bisognerà battere la foresta,» disse l’ingegnere «e sbarazzare l’isola da quei miserabili. Pencroff aveva dei giusti presentimenti, quando voleva che si desse loro la caccia come a bestie feroci. Ci sarebbero state risparmiate molte disgrazie!»
«Sì,» rispose il giornalista «ma adesso abbiamo il diritto d’essere senza pietà.»
«Però,» disse l’ingegnere «adesso siamo costretti ad aspettare qualche tempo e a rimanere qui sino a quando si potrà trasportare senza pericolo Harbert a GraniteHouse.»
«E Nab?» chiese il giornalista.
«Nab è al sicuro.»
«E se, inquieto per la nostra assenza, si arrischiasse a venir qui?»
«Bisogna che non venga!» rispose vivacemente Cyrus Smith. «Sarebbe assassinato per via!»
«Il guaio è che molto probabilmente egli cercherà di raggiungerci!»
«Ah, se il telegrafo funzionasse ancora, si potrebbe avvertirlo! Ma adesso è impossibile! Lasciar soli qui Harbert e Pencroff, non possiamo! Ebbene, andrò io solo a GraniteHouse.»
«No, no! Cyrus,» rispose il giornalista «bisogna che voi non vi esponiate! Il vostro coraggio sarebbe vano. Quei miserabili, evidentemente, sorvegliano il recinto, sono in agguato nelle fitte boscaglie che lo circondano e, se partite, avremo presto a lamentare due disgrazie invece di una!»
«Ma Nab?» ripeteva l’ingegnere. «Da ventiquattr’ore è senza nostre notizie! Vorrà certo venire.»
«E siccome starà meno in guardia di noi,» rispose Gedeon Spilett «sarà colpito!…»
«Non c’è, dunque, modo di avvertirlo?»
Mentre l’ingegnere rifletteva, il suo sguardo cadde su Top che, andando e venendo, sembrava dicesse: «E non ci sono qua io?»
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