Augusto Elia - Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. II

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Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. II: краткое содержание, описание и аннотация

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È bello, è doveroso il dire che fu ammirevole l'accoglienza fatta agli sbarcati dalla patriottica cittadinanza marsalese. Essa accolse i Mille con esultanza. Vecchi e giovani, uomini e donne – persone civili e popolani fecero a gara per usare loro ogni sorta di gentilezze – facendo echeggiare grida di "evviva Garibaldi".

Il generale dispose che Missori occupasse con forza la porta Trapani.

Bruzzesi, vestito da ufficiale dei bersaglieri, con una pattuglia di camicie rosse, ebbe ordine di occupare l'ufficio postale e telegrafico.

Mosto, coi bravi carabinieri genovesi, fu appiattato nella scogliera che forma il porto per respingere le imbarcazioni armate distaccate dalle navi da guerra borboniche e difatti pochi tiri delle brave carabine bastarono a metterle in ritirata. Le truppe rimasero scaglionate durante la notte, a destra e a sinistra della città.

Ecco il proclama che il generale Garibaldi indirizzava al popolo Siciliano appena sbarcato a Marsala:

Siciliani,

"Io vi ho guidato una schiera di prodi, accorsi all'eroico grido della Sicilia. Resto delle battaglie lombarde, noi siamo con voi e non chiediamo altro che la liberazione della vostra terra. Tutti uniti, l'opera sarà facile e breve. All'armi dunque; chi non impugna un'arma è un codardo o un traditore della patria. Non vale il pretesto della mancanza delle armi. Noi avremo fucili, ma per ora un'arma qualunque ci basta, impugnata dalla destra di un valoroso.

"I Municipi provvederanno ai bimbi, alle donne ed ai vecchi derelitti. All'armi tutti! La Sicilia insegnerà ancora una volta, come si liberi un paese dagli oppressori, colla potente volontà di un popolo unito.

G. Garibaldi"

Occorreva però non perdere tempo, e marciare avanti al più presto. Garibaldi comandò quindi che all'alba dell'indomani tutta la colonna fosse pronta alla partenza, ed infatti la mattina si metteva per la via di Salemi. A Rampagallo, feudo del Barone Mistretta, fu ordinato il grand'alto per pernottarvi. Fu in questa prima tappa, che si ebbero i primi segni dell'insurrezione siciliana, perchè vedemmo con gioia arrivare le bande comandate dai Baroni di S. Anna, e quelle del Barone Mocarta. Saranno stati un'ottantina, armati di schioppetti.

Intanto fu riordinata la Legione, già ripartita in otto compagnie; si formarono con esse due battaglioni ai comandi di Bixio e Carini, e si organizzò coi marinai del "Piemonte" e del "Lombardo" una compagnia di cannonieri.

Alla mattina seguente la colonna si rimetteva in via per Salemi, dove, dopo una marcia alquanto faticosa, arrivava accolta da grande festa di popolo, e al suono delle campane e di musica. Un vero delirio! A Salemi, il generale pubblicò il Decreto col quale per volontà dei liberi comuni di Sicilia, ed in nome di Vittorio Emanuele, Re d'Italia, assumeva la Dittatura.

Italia e Vittorio Emanuele.

"Giuseppe Garibaldi, comandante in capo l'armata nazionale in Sicilia, invitato dai principali cittadini e sulla deliberazione dei Comuni liberi dell'Isola, considerando che in tempo di guerra è necessario che i poteri civili e militari sieno concentrati nelle medesime mani, decreta di prendere la dittatura di Sicilia in nome di Vittorio Emanuele.

Salemi, 14 maggio.

G. Garibaldi

Altre bande intanto arrivavano, comandate da Giuseppe Coppola e dal frate Pantaleo, che davano notizia che Rosolino Pilo e Corrao tenevano sempre la campagna e con una mano di prodi erano nelle alture di S. Martino, dominanti Monreale; si sapeva pure che verso Missilmeri mantenevansi, asserragliati sulla montagna, il La Porta, il Firmatari, il Piediscalzi, il Paternostro, e, cosa significantissima e per noi sorprendente, il clero faceva parte della rivoluzione e ne era il principale istigatore.

Ma il Borbone non stava inoperoso. Ordini erano stati dati al comando delle truppe di Sicilia, per arrestare la marcia dei garibaldini e distruggerli.

Infatti nella notte del 14 al 15 maggio Garibaldi aveva notizia che il generale Landi con un corpo di 3000 uomini ed artiglieria marciava su Calatafimi, e che a quella volta si era pure avviato il presidio di Trapani.

Le bande dei Picciotti non erano ancora giunte nel numero che il generale avrebbe desiderato. Era dunque da pensare bene se con lo scarso numero di volontari male armati, fosse prudente attaccare posizioni fortissime, coperte ai fianchi ed alle spalle e difese da truppe regolari armate da buone carabine e da artiglieria.

Non sarebbe forse stato più prudente consiglio trincerarsi in Salemi, occupare coi Picciotti le alture circostanti ed attendervi l'attacco?

Sì sarebbe potuto ricevere il nemico con una energica controffensiva e costringerlo alla ritirata; le bande avrebbero avuto tempo di formarsi numerose ed accorrere in aiuto, attaccando il nemico alle spalle.

Ma Garibaldi era impaziente di misurarsi col nemico; sentiva nell'animo che una vittoria gli era necessaria; senza di che tutto sarebbe stato compromesso e, forse, tutto perduto.

Non era dunque il caso di attendere il nemico a Salemi; bisognava andargli incontro audacemente, romperlo e sloggiarlo ad ogni costo da Calatafimi.

E così fu deciso.

La posizione nella quale eransi accampati i napolitani, chiamata fin dall'epoca romana " il Monte del Pianto " era forte per se stessa, perchè mentre impediva un rapido attacco, offriva validissimo riparo alla difesa.

Da Vita, villaggio che si erge su di un poggio a cinque chilometri circa da Salemi, Garibaldi dispose che le bande Siciliane che sopraggiungevano e si andavano raccogliendo, si distendessero il più diffusamente possibile sul dorso delle colline a destra e a sinistra della strada, mostrandosi sempre pronte alla pugna. Dopo questo spiegamento Garibaldi ordinava la marcia in avanti della colonna, con la sinistra in testa.

Precedeva Carini con l'ottava compagnia cui tenevano dietro la settima, la sesta e la quinta; al centro marciava l'artiglieria i cui avantreni consistevano in carri comuni a due ruote; poi alcuni volontari del genio, e i marinari del Piemonte e del Lombardo . Seguiva il battaglione Bixio con le altre quattro compagnie.

Durante la marcia Garibaldi si spingeva in avanti con alcune sue guide, avendo al fianco il capitano Menotti suo figlio, il capitano Schiaffino ed il maggiore Elia, i quali non avendo voluto accettare comandi, formavano la guardia del corpo del generale. Osservata la posizione del nemico, che, colla sua linea di cacciatori coronava l'altura del "Pianto", senza indugio inviava ai suoi l'ordine di schierarsi sulle pendici di Monte Pietralunga e sulla strada.

Egli aveva appena le forza di un battaglione sul piede di guerra, e dovette disporlo secondo esigeva il terreno, lo scarso numero dei suoi e la posizione formidabile del nemico.

Stabilì quindi un ordinamento profondo e rado in linee successive; i Carabinieri Genovesi in prima linea dietro ripari naturali; poi stese l'ottava e la settima compagnia in cacciatori colle squadriglie a brevi intervalli sul versante dell'avvallamento che separava la sua posizione da quella nemica e le teneva nascoste nel grano già alto; in seconda linea stavano le altre due compagnie 6a e 5a, pure in ordine rado, quasi sul ciglio; ed a rovescio del ciglio aspettava il battaglione di Bixio in riserva.

Questo schieramento si fece in ordine mirabile.

Da una parte e dall'altra delle alture apparivano secondo l'ordine di Garibaldi, sui verdi dossi gli insorti siciliani, che per entusiasmo sparavano i loro fucili e mandavano alte grida di guerra, che si ripercuotevano minacciose per le lontane campagne.

Questa apparizione, nel momento in cui si stava per venire alle mani, dovette certo, come aveva preveduto il generale, produrre sgomento e depressione nell'animo delle truppe napoletane, mal disponendole alla battaglia.

Verso il mezzogiorno parve che il nemico accennasse ad un serio attacco. I suoi sostegni si avvicinarono alla linea dei cacciatori, la quale cominciò a spiegarsi, scendendo per la costa del monte del Pianto. Per giungere fino a noi, doveva toccare il fondo del Monte, passare la convalle e rimontare la china verso l'altura di Pietralunga. Garibaldi avrebbe avuto grande vantaggio nell'attirare il nemico in basso, attendendolo a piè fermo nella posizione occupata dai suoi; egli veniva a paralizzare così la superiorità delle sue armi da fuoco e al momento opportuno, che egli avrebbe saputo ben cogliere, avrebbe potuto rovesciare addosso ai Napoletani le forze garibaldine coll'impeto irresistibile dell'attacco alla baionetta. A questo intento Garibaldi ordinò ai suoi di star tranquilli, distesi a terra e di non sparare alcun colpo.

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