Alessandro Ziliotto - Oltre Il Limite Della Legalità

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Oltre Il Limite Della Legalità: краткое содержание, описание и аннотация

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Il romanzo si svolge tra le strade di Bologna. Il protagonista è un ex poliziotto cacciato via dalla pubblica amministrazione per degli abusi compiuti ai danni di alcuni spacciatori extracomunitari. Si ritrova così, solo e per strada, vivendo alla giornata, sino al giorno in cui decide che l’unico modo per cambiare vita è passare dall’altra parte. Dopo la gentile ospitalità di un amico senza pregiudizi nei suoi confronti, passa all’azione, racimolando soldi facili correndo però più di qualche rischio. I reati che compie sono di gran lunga peggiori di quelli per cui è accusato, ma oramai la sua nuova strada è stata tracciata. Enrico Del Nero si imbatte in Sophia, una ragazza marocchina e fidanzata di una personaggio della sua nuova famiglia. Tra di loro s’instaura un feeling magico e pericoloso che lo accompagnerà per tutto il romanzo.
Enrico del Nero era un sovrintendente della polizia di stato di Bologna, dove lavorava nella squadra mobile, sezione narcotici, ma a causa della sua troppa voglia di fare si ritrova senza lavoro. Una banda, che lui stesso piano piano stava smantellando, gli tende un’imboscata, accusandolo di aver aggredito e rapinato tre extracomunitari magrebini. Inizialmente il sovrintendente viene arrestato, incarcerato e sospeso dal servizio, ma non appena esce dal carcere cominciano i guai e le sue avventure. Senza un tetto dove andare a dormire, e uno stipendio che lo mantiene, si ritrova a vivere alla giornata. Stanco però di quella vita, e accecato dalla smania di denaro, decide di darsi alla criminalità. Inizia con un furto d’auto, poi di una borsetta, successivamente cerca contatti per entrare in una banda, la cui specialità è far saltare i bancomat, anche se nel frattempo comincia a far consegue di carichi di droga, per una banda di magrebini. Grazie alla sua astuzia e anche al possesso di un tesserino finto della polizia, riesce a sfuggire alle porte del carcere nuovamente. Quest’ultima banda però, fatta eccezione per un suo vecchio conoscente, nonché interprete per la polizia, risulterà essere la stessa banda che lo ha incastrato. A legare e complicare questa situazione c’è Sophia, donna e moglie di Abdlak, capo della banda, la quale, a causa delle poche attenzioni del marito si affeziona a Enrico, sino ad innamorarsene. 
Nel finale vengono svelati tutti i misteri che si intrecciano nel romanzo. Si susseguono fasi di azione, come fughe dai poliziotti, in Italia come all’estero, a Barcellona, a momenti di svago e apprensioni. Vengono tirati in ballo molti soldi, come fossero chicchi di grano, ma che nella realtà sarebbero molti di più. 
E’ un romanzo dinamico e basato su fatti che viaggiano paralleli alla realtà. La maggior parte del romanzo di svolge a Bologna dove il sovrintendente lavorava e abitava.

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Non so per quanto tempo assecondai i miei sensi, anche se ipotizzavo per diverse ore, visto che scostando il foglio di giornale, la luce del giorno non filtrava più dalle finestre. Aprii gli occhi e a stento riuscii a vedere l’ambiente che mi circondava. Questa volta non era a causa della vista appannata, bensì del buio dal quale ero stato invaso nel sonno. Ad aiutarmi c’erano i fari delle autovetture che transitavano per le strade adiacenti al fabbricato, le quali con il loro riflesso, mi permettevano, sebbene a intermittenza, di conoscere il terreno sul quale avrei posato i piedi.

Decisi quindi di rialzarmi e uscire da lì. Ora che guardavo intorno però un interrogativo mi giungeva naturale, ma dov’era l’uscita? Rimasi immobile a osservare, ma non riuscivo a individuarla. Il mal di testa andava lentamente scemando. La mente si era messa in moto ma il mondo leggermente sbiadito che mi circondava non m’aiutava per niente. Era come se stessi guardando un film degli anni settanta alla tv, e in tutto questo, nessun elemento riusciva a farmi individuare ciò che cercavo. M’avvicinai a quella che sembrava una porta, ma non appena provai ad azionarne la maniglia e a tirare verso di me, m’accorsi che era bloccata con una spessa catena aggrovigliata alle maniglie antipanico, ed un lucchetto a bloccarla. Provai con un’altra porta, ma la storia era sempre uguale. Mi ritrovai così a girovagare per la fabbrica in cerca di un’uscita. Passai vicino a quello che un tempo doveva essere stato un ufficio, o qualcosa predisposto per esserlo. Sembrava la classica stanza ricava all’interno di quell’immensa struttura per avere un po’ di tranquillità e conservare le scartoffie dell’azienda, senza ritrovarsele sparse per tutta la ditta. Passando accanto alla porta, i cui infissi erano stati divelti, mi accorsi che una tenue luce arancione illuminava il suo interno. Non si vedeva gran che, ma tanto bastava ai miei occhi per scovare un’apertura, magari la stessa dalla quale ero entrato. Una volta all’interno, cominciai a guardarmi un po’ intorno per scovare la fonte del chiarore. Le pareti laterali erano completamente intatte, prive di qualsiasi finestra. Trovandomi senza alternativa, alzai la testa, constatando che sul soffitto c’era un foro. Era stato fatto grossolanamente con un martello, considerati i margini tutt’altro che simmetrici e levigati. Da quel foro, che prendeva forma vicino alla parete laterale, vi era una scala di ferro, la quale permetteva l’accesso al piano superiore. Visto che i miei impegni per le prossime ore non erano così alettanti all’interno di quello stabile, illuminando il display del mio Casio nero anni ’90, comperato da un cinese a poco meno di dieci euro, controllai l’ora, 22.30, dopo di che mi avventurai su per quella scala, accedendo così al soffitto della stanza. Una volta raggiunto il tetto, mi trovai di fronte ad una finestra aperta, o meglio, i vetri erano stati rimossi dall’intelaiatura dell’infisso, e si poteva utilizzare questo difetto come accesso, visto che dava direttamente alla scala antincendio.

Senza guardarmi molto intorno e senza pensarci più del dovuto, mi ritrovai in strada. E ora? Pensai. Dove vado? Cosa faccio? Non ho più una meta, uno scopo, non sono più nessuno. Tutto quello che ero, non lo sono più. Tutta la mia vita sino ad ora era come se non l’avessi vissuta, come se fosse stata spazzata via da un uragano, senza preavviso e ringraziamento, ero solo, quasi fossi stato partorito da ventiquattro ore e buttato in mezzo alla strada senza nessuna guida o persona che si prendeva cura di me. Alcune macchine mi sfrecciavano accanto incuranti della mia presenza, presi dalla loro vita così all’apparenza perfetta e priva di pensieri, o almeno degni di essere chiamati tali. Ora che stavo meglio, mi era tornata la voglia di bere, di ridurmi uno straccio per far passare un’altra notte e un altro giorno. Lo avevo fatto per un mese e avevo voglia di rifarlo sino allo sfinimento, per ritrovarmi ogni mattina in quella dannata fabbrica e chiedermi come cazzo ero arrivato lì e cosa diavolo mi era accaduto. Alzai lo sguardo e un negozio di pakistani era lì a un centinaio di metri con le sue luci accese e i suoi alcolici. Cominciai a incamminarmi pregustando il bruciore dell’alcool nella bocca e nello stomaco. Infilai le mani nelle tasche per controllare quanti soldi avessi, ma ciò che trovai fu solo un fazzoletto di carta usato: nemmeno al tempo del baratto ci avrei ricavato qualche cosa. Come diavolo avrei fatto ora? Con cosa l’avrei pagato il rum? Non c’erano molte macchine parcheggiate per strada, sempre meglio che nessuna, pensai. Le controllai una a una, per verificare se qualcuna avesse la porta aperta o il finestrino abbassato di qualche centimetro, ma non ebbi molta fortuna, infatti mi ritrovai di fronte alla vetrina del negozio con pochi spiccioli in mano. Che cosa avrei fatto ora? E se fossi entrato e dopo aver preso quello che m’interessava me ne fossi andato a gambe levate senza pagare? Forse quel pakistano non mi avrebbe riconosciuto, anche se qualche volta ero stato suo cliente, ma non certo conciato così. Nella migliore delle ipotesi si sarebbe limitato a inseguirmi per qualche decina di metri prima di desistere, comprendendo che una persona trasandata, come lo ero io, non sarebbe mai riuscita a pagare ciò che aveva sottratto dal suo negozio. Arrivai sulla soglia dell’ingresso, intravedendo dalle vetrine che all’interno non c’era nessuno, fatta eccezione di Hamed, il proprietario. Attesi qualche secondo sulla soglia, cercando di non essere visto, anche perché quel figlio d’Allah non ci avrebbe impiegato molto a riconoscermi, gli sarebbe solamente bastato guardarmi negli occhi. Era più scaltro di una lince e anche se ero conciato male, trasandato e puzzolente, non mi avrebbe confuso con nessun altro.

La mia attesa fu ricompensata. Quattro ragazzi arrivarono in macchina, fermandosi nei pressi dell’alimentari. La vettura non era proprio nuovissima, anche perché dall’età e da com’erano vestiti, potevo ipotizzare fossero degli studenti universitari, e con molta probabilità quella sera non avevano molta voglia di stare sui libri, bensì di fare festa, magari bevendo un po’, rifornendosi da Hamed anziché andare in qualche locale pre-serata spendendo un patrimonio. Sembrava di rivedermi dieci, dodici anni più giovane, quanti anni erano passi, quante cose erano accadute, quanti guai scampati, ma che ricordi incredibili. Chiunque avesse guardato quei ragazzi, avrebbe captato la loro euforia, la loro voglia di vivere e divertirsi, e avrebbe compreso che il loro unico pensiero era ingerire un po’ d’alcool per lasciarsi andare, con la speranza magari di trovare una bella ragazza per trascorrere la serata. Mi trasmettevano quella sicurezza mista fragilità, che solo una persona della loro età poteva avere. Parcheggiarono la macchina proprio di fronte all’entrata. In tre scesero dall’auto e dopo aver oltrepassato il marciapiede salirono i tre scalini che li condussero al negozio. Io rimasi lì a osservarli. Mi passarono accanto senza degnarmi di uno sguardo, anche perché non so la loro vista quanto nitida potesse essere stata. La loro camminata era tutt’altro che normale, oscillavano a destra e sinistra come dei pendoli. Sicuramente erano giunti sino a lì perché avevano finito la scorta di birra a casa e ora volevano continuare da dove si erano interrotti. La persona che apriva la fila andò a inciampare sul primo scalino e se l’amico che lo seguiva non l’avesse afferrato al volo, mi sarebbe rovinato addosso. Con tutta sincerità, come aveva fatto ad avere quella prontezza di riflessi quel ragazzo ancora me lo sto chiedendo, buon per me comunque. Non credo che avessero molto da prendere in quel mini market, ma di certo fecero una gran caciara, perdendo del tempo su ogni minima stupidaggine. Urlavano e chiamavano l’amico che era rimasto in macchina, incitandolo a raggiungerli. Inizialmente questo attese, alzando e ascoltando un po’ di musica pop orecchiabile e coinvolgente trasmessa alla radio, ma vedendo che gli amici tardavano a tornare, decise di scendere per dar loro una strigliata, e convincerli ad accelerare i tempi. Lasciò la macchina accesa con la musica ad alto volume, e con il cantante che intonava “Dangerous…Dangerous…Bad Girl…”

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