Laura Merlin - Morrigan

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Stavo respirando a fondo quel dolce profumo di acqua e terra bagnata, quando un rumore attirò la mia attenzione.

Mi tolsi le cuffiette per ascoltare meglio.

Sembravano dei singhiozzi.

Mi fermai e guardai un po’ in giro. Con il dorso della mano asciugai la fronte imperlata di sudore e feci qualche passo avanti sempre ascoltando da dove provenisse quel rumore.

E la vidi.

Era una vecchina dal viso dolce e dai capelli bianchi raccolti con cura in uno chignon. Stava piangendo, rattristata per qualcosa che non potevo sapere.

‹‹Signora, tutto bene?›› chiesi avanzando piano di qualche passo.

Accanto a lei c’era un cesto con dentro degli abiti. Stava semplicemente lavando dei vestiti nel fiume.

Mi sentivo incuriosita e spaventata allo stesso tempo, senza sapere il perché. Dopotutto era solo una signora anziana, triste e sola per di più!

‹‹Signora?›› riprovai con un tono più dolce dato che non sembrava avermi notata.

Ormai ero vicina abbastanza da poter capire cosa stringeva tra le mani.

In un primo momento pensai che potessero essere i vestiti del suo probabile defunto marito. Invece, guardando bene, notai che era una canotta troppo piccola per essere indossata da un uomo e troppo giovanile per essere sua.

Strizzai gli occhi per vedere meglio e due cose mi fecero rimanere senza fiato.

C’era un disegno su quella canotta bianca, una semplice farfalla rosa. Abbassai lo sguardo e vidi che era la stessa che indossavo io.

Non aveva senso!

Stavo ancora dormendo?

Ma quando mi ero addormentata?

No, ero sveglia e cosciente. Purtroppo.

La vecchina era intenta al suo lavoro, impegnata a togliere una macchia.

Una macchia rossastra e irregolare.

Mi rilassai un attimo. Magari era di una nipote. Sì, sicuramente l’aveva sporcata e la nonna la stava pulendo.

Ma perché piangeva?

I miei occhi si bloccarono sul colore dell’acqua scarlatta che scendeva. Poteva essere una macchia di sangue fresco? Proprio all’altezza del fianco destro.

La mia fantasia si era messa a viaggiare troppo velocemente. Era tutto così assurdo per essere vero!

La nonnina si girò in lacrime e mi fissò con due occhi di ghiaccio che sembravano implorarmi di capirla.

‹‹Mi dispiace››.

‹‹Per cosa, signora?››, cercai di chiedere in tono calmo, ‹‹Cos’è successo? Perché c’è tutto quel sangue?››.

‹‹Lo capirai… presto… mi dispiace tanto››, e ritornò al suo lavoro, sempre singhiozzando e lasciando che le lacrime le rigassero il volto già solcato da rughe.

Avrei voluto consolarla, parlarle ancora, chiederle di più, ma non appena aprii bocca sentii un cane abbaiare.

Mi girai e vidi che era lì, a due passi da me. Un lupo dal manto nero come la notte stava abbaiando nella mia direzione.

Ebbi un attimo di timore per la signora e, quando mi girai per avvisarla, non c’era più.

Né lei né il cesto dei panni.

Il cuore perse un colpo, non potevo essermi immaginata tutto!

Intanto il lupo avanzò verso di me e poggiò il naso umido sulla mia mano per attirare l’attenzione.

Si fece accarezzare la testa, poi scattò in direzione della zona Nord-Est del bosco, la zona in cui di solito andavano le coppiette per appartarsi.

In effetti era un posto abbastanza isolato, con grandi salici piangenti che potevano creare un ottimo nascondiglio.

Io non c’ero mai andata perché mi sembrava un posto pericoloso.

I dubbi dentro la mia testa svanirono quando sentii delle urla provenire proprio da quel punto e, senza nemmeno pensarci, corsi dietro al lupo.

Dopo un paio di metri arrivai. Le urla erano più forti e potevo sentire delle voci. Spostai qualche ramo di salice e vidi tutta la scena.

‹‹Sei solo una piccola stronza››, urlò la ragazza dai corti capelli biondi che le ricadevano tutti da un lato.

‹‹No, ti prego, lasciami andare. Non ho fatto niente››.

Voltai lo sguardo da dove proveniva quella voce. Era una ragazza semplice, con i capelli mossi e castani che le ricadevano sulle spalle.

Una terza ragazza dietro di lei la teneva ferma per le braccia in modo che non potesse muoversi. Non diceva nulla, si limitava a sogghignare e masticare fastidiosamente una gomma. La cresta in testa colorata di rosa e verde e un sacco di piercing sulle orecchie e sul viso la facevano sembrare un maschiaccio.

‹‹Cosa?›› disse la bionda ‹‹Tu, stupida ragazzina, sei andata a dire alla polizia che ti spilliamo soldi per la coca››.

‹‹Io… io…››, balbettò la povera ragazza.

‹‹Tu cosa? Ammettilo oppure…››. La mano della bionda scivolò nella tasca posteriore dei jeans, tirò fuori un coltellino a serramanico e con uno scatto fece uscire la punta che scintillò minacciosa davanti agli occhi della povera vittima indifesa.

Odiavo i bulli. Era successo anche a me di essere preda di prese in giro, ma mai nessuno era arrivato al punto di minacciarmi con un coltello.

Non lo concepivo, questo era troppo.

Notai l’espressione della povera ragazza. Era terrorizzata, piangeva a dirotto e le era perfino colato quel poco trucco che si era messa sugli occhi.

Come si poteva trattare così una povera ragazza indifesa?

Qualcosa dentro me cominciò a fremere. Senza che me ne accorgessi, le gambe si mossero da sole, come attirate da una forza esterna.

‹‹Ei, lasciatela stare››, urlai.

Mi precipitai verso di loro, ormai l’adrenalina era entrata in circolo e non rispondevo più delle mie azioni.

‹‹Che vuoi? Vattene, non sono affari che ti riguardano››, disse la bionda fulminandomi con lo sguardo.

‹‹Lasciatela in pace e me ne vado››.

‹‹Vedi di andartene adesso››, disse facendo roteare gli occhi. ‹‹Non sono affari tuoi, quante volte devo ripeterlo? Vai a fare l’eroina da un’altra parte››.

‹‹Già à à ››, disse la ragazza punk trascinando l’ultima lettera.

La bionda alzò il coltello: ‹‹Questo ti farà male, ma è solo un invito a ritirare la denuncia. Se non lo fai… ›› imitò con la mano libera il gesto di tagliarle il collo.

‹‹Non scherzare, lasciala in pace. Ha fatto bene a denunciarvi. Voi non potete capire cosa vuol dire essere presi di mira. Vuol dire avere il terrore di uscire di casa, di andare a scuola. Ci si isola per colpa di ragazzine odiose come voi, che rovinate la vita di povere ragazze innocenti. Lascia andare il coltello adesso, mettilo a terra››. Quasi urlai queste ultime parole.

‹‹Certo, lo metto via. Mi hai davvero commossa, sai››, disse beffarda la bionda tirando su col naso e fingendo di piagnucolare. Poi aggiunse: ‹‹Prima, però, lo conficco nelle sue cosce››.

La bionda fece per colpire la ragazza, io mi gettai davanti a lei e il respiro mi si bloccò in gola.

Sentii qualcosa di caldo scorrermi giù dal fianco destro e una sensazione di intorpidimento cominciò a scorrermi lungo tutto il corpo. Abbassai lo sguardo e vidi una macchia rossastra rovinarmi l’immacolata canotta bianca.

Una lacrima mi rigò il volto, poi una seconda. La testa cominciò a girare e attorno a me tutto sembrava ovattato. Il respiro iniziò a farsi sempre più corto e irregolare. Le gambe cedettero e mi accasciai a terra come un sacco vuoto.

Sentii la ragazza punk esclamare: ‹‹Oh merda, questa è morta… è morta sul serio. L’hai ammazzata››.

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